domenica 19 ottobre 2025

Gerard Bolland: IL VANGELO — Un ‘rinnovato’ tentativo di indicare l’origine del cristianesimo 1:11

 (segue da qui)


Ma allora il Vangelo non è che un’interpretazione della scrittura narrata in forma di racconto! “Samuele” — osserva Filone — “forse è stato un essere umano, ma qui viene piuttosto inteso non come un composto vivente, bensì come l'intelletto pago solo di adorare e servire Dio” (De Ebr. 36). E ciò significa, in realtà, che tra i giudei alessandrini di quell’epoca si era giunti a elaborare raffigurazioni edificanti in forma di personaggi. Il giorno “sinottico” dell’arresto, della passione e della morte di Gesù è infatti, come giorno iniziato con un pasto pasquale alla sera (Matteo 26:17; Marco 14:13; Luca 22:15), cioè un giorno pasquale, dal punto di vista giudaico impossibile, mentre va inteso da subito come un giorno romano. Ma come giorno in cui l’agnello purificatore dei cristiani, secondo la parola paolina (1 Corinzi 5:7), è stato immolato come pasqua, il giorno giovanneo (Giovanni 1:29; 18:28; 19:14) si rivela come una concezione simbolica, di matrice ellenistica oltre che mosaica, probabilmente elaborata ad Alessandria. Come, del resto, avrebbero potuto i discepoli di un Giosuè galileo realmente giustiziato, a partire dallo sgomento per la fine dolorosa del maestro, sviluppare una nuova religione che lo divinizzasse? La crocifissione di un uomo difficilmente poteva fare di lui il punto d’origine di un nuovo culto; anche qui, dunque, si impone l’idea di un racconto elaborato fuori dalla terra giudaica, con intenti simbolici. Papia di Gerapoli, in Frigia, aveva infatti sentito dire già nella prima metà del 2° secolo che il primo redattore di un racconto evangelico, Marco — il quale, secondo la tradizione ecclesiastica, avrebbe fondato la comunità di Alessandria — non aveva mai visto il Salvatore (Eusebio, H. E. 3:39, 15). Alla fine del 2° secolo anche il Canone muratoriano ripete questa affermazione, presupponendo che il nostro secondo vangelo sia stato scritto da quel Marco. Secondo l’antica tradizione, il fondatore della comunità alessandrina avrebbe dunque messo per iscritto un vangelo non per esperienza diretta, ma per averlo sentito raccontare. Ma chi può dire chi fossero coloro che glielo raccontarono? E dove sta la certezza che il primo evangelista non abbia riferito altro che ciò che egli stesso aveva elaborato? Come Signore resuscitato da Dio il terzo giorno dopo la sua messa a morte, il Giosuè evangelico non si è manifestato al popolo della terra giudaica, ma a testimoni scelti, che leggevano e parlavano il greco (Atti 1:8; 10:40-41), vale a dire: furono giudei ellenistici a predicarlo in chiave mitologica come segno di pace (Atti 10:36; cf. 10:42). E questo, anzitutto, a partire dall’Egitto, dove il “terzo giorno” era già considerato come giorno della rinascita di Osiride e, come “immagine della bontà di Dio” (Sapienza 7:26), un Giosuè giudaico poteva essere presentato in chiave ellenistica. Che i profeti, dai quali si pensava di aver appreso, avessero sì cercato la verità, ma fossero morti senza averla raggiunta, è ciò che — intorno al 165 — il Salvatore stesso avrebbe detto (Hom. Clem. 3:53). E secondo un vangelo che ancora Giustino conosceva (Dialogo 51), ma che una mano giudaizzante ha oscurato in Matteo 11:12-14 (cfr. Luca 16:16), la legge e i profeti, cioè la religione giudaica, valsero fino a Giovanni; ma da allora è annunciato il vero regno di Dio. Secondo Giovanni 1:17, infatti, la legge fu data per mezzo di Mosè, mentre grazia e verità vennero soltanto con Gesù Cristo. Tuttavia, questo Cristo è già in Matteo 18:20 (cfr. 23:10) lo Spirito che regna nei cristiani; in 2 Clemente 9:5 (cfr. 2 Corinzi 3:17) leggiamo che il Cristo che ci redime è uno Spirito fattosi carne, e che in realtà la comunità è il suo corpo, come appare da 1 Corinzi 10:16; Efesini 1:23; Colossesi 1:24; 2 Clemente 14:2 e altrove. Gesù Cristo stesso, afferma Ebrei 13;8, rimane in realtà lo stesso in eterno.

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