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L'Itinerario.
Nella seconda parte degli Atti, quella paolina, ci sono alcuni brani dove lo scrittore parla in prima persona plurale: 16:10—17; 20:5—15; 21:1—18; 27:1—28:16. Questi, anche se non troveremo ragioni contro l'opinione che contengano porzioni di un diario scritto da un compagno di viaggio di Paolo, non possono, come si presentano, aver fatto parte di un siffatto diario. Per questo essi sono fin troppo elaborati nella forma storica del libro e mostrano fin troppe tracce di modifica in accordo con quella forma. Si prenda il quarto di essi, che comprende il racconto del naufragio. Molte circostanze indicano che nella narrativa precedente Paolo fece il suo viaggio da Cesarea a Roma non come prigioniero, ma con i suoi amici da uomo libero. Coloro che lo accompagnarono a Gerusalemme (21:16) — o, almeno, una parte di loro — sono ancora con lui a Cesarea quando lui parte per l'Italia: cioè i compagni di cui si parla come “noi”, assieme ad Aristarco di Tessalonica, già citato come compagno di viaggio (27:2, cfr. 20:4). Ciò suggerisce un breve soggiorno a Cesarea dopo la visita a Gerusalemme, piuttosto che una prigionia di due anni. Sono preservati dettagli sul trattamento di Paolo a bordo della nave, che sembrano naturali nel caso di uno che fa un viaggio liberamente, ma non nel caso di un prigioniero. La trama della narrativa mostra delle discontinuità nei punti in cui si parla delle sue catene. In 27:3, ad esempio, il riferimento al centurione (φιλανθρώπως τε ὁ Ἰούλιος τῷ Παύλῳ χρησάμενος ἐπέτρεψεν πρὸς τοὺς φίλους πορευθέντι ἐπιμελείας τυχεῖν) infrange il nesso. Il racconto di ciò che avvenne sull'isola di Malta reca i segni, anche nella grammatica — come va osservato in 28:2 — della fusione di una narrativa originale con aneddoti più o meno leggendari.
Quando i frammenti sono districati, essi si presentano come un semplice resoconto delle esperienze di un singolo viaggio. Nessun frammento della stessa fonte può essere individuato in nessun altro passo tranne i quattro che costituiscono questi racconti “noi”, come sono chiamati. L'opinione di alcuni critici, secondo cui l'autore avrebbe preservato la forma perché voleva farsi passare per un compagno di viaggio di Paolo, va respinta perché, se quello fosse stato il suo scopo, ci saremmo aspettati che la prima persona plurale fosse usata in tutti i racconti dei viaggi di Paolo. Luca non si prende il disturbo di celare ai suoi lettori che lui è un altro rispetto al “noi” dei passi in questione. Il fatto stesso che lui sia un abile scrittore va a mostrare che, se avesse voluto trasmettere l'impressione fuorviante di essere un testimone oculare di tutto quanto, avrebbe usato altri mezzi. [1]
I racconti “noi” non ci forniscono un resoconto completo dell'attività di Paolo. Il loro carattere è quello di un'annotazione esterna e, anche nella loro forma originale, non possono essere stati una composizione che mirasse a qualche sorta di completezza. Per il resto, però, non c'è una sola ragione per considerarli qualcosa di diverso rispetto all'opera di un testimone oculare oppure inaffidabili.
Chi fosse l'autore possiamo solo ipotizzarlo. Che egli fosse un ebreo di nascita può essere dedotto dal suo uso del calendario ebraico (20:6, 27:9). I dati che ci sono indicano il Luca della tradizione paolina (2 Timoteo 4:11, Filemone 24, Colossesi 4:14). Questa attribuzione di paternità avrebbe il vantaggio di spiegare come la totalità degli Atti, assieme al terzo Vangelo, fossero stati assegnati a “Luca”.
Ritorniamo al nostro Luca: l'autore degli Atti. Da dove trasse gli altri suoi dati attorno a Paolo che combinò col diario? È necessario — come scopriremo presto — supporre che egli attingesse da una narrativa scritta prima del suo tempo, ma dopo il tempo in cui fu scritto il diario. Probabilmente il diario era già incorporato a questa narrativa quando egli la riprese; altrimenti dovremmo supporre che esso fosse sopravvissuto fino ad allora inutilizzato. Dalla narrativa allora esistente oppure dalla tradizione egli ricavò il dato della prigionia di Paolo. La forma originale di questa storia può essere preservata nell'affermazione, incontrata per la prima volta in Eusebio (Historia Ecclesiastica 2:22), che Paolo fu imprigionato una seconda volta a Roma. Nella narrativa precedente, possiamo supporre che l'apostolo fosse stato arrestato per qualche accusa relativa alla sua attività proprio a Roma, dove era giunto da uomo libero; e la prigionia che ne seguì fu l'unica prigionia menzionata. Successivamente l'arrestato fu trasferito a Gerusalemme, come nella narrativa degli Atti, che lo rappresenta trasportato in catene da Cesarea a Roma. Poi, infine, essendo nel frattempo diventato autorevole il racconto degli Atti, l'unica prigionia a Roma fu descritta come una seconda prigionia. Naturalmente, non ne consegue che la tradizione precedente sia di per sé storica.
NOTE
[1] Questa tesi non attribuisce l'incorporazione letterale di porzioni di un diario né alla mancanza di abilità — una spiegazione che, come sottolinea Schmiedel (Encyclopaedia Biblica, “Atti degli Apostoli”), è inammissibile — né a uno scopo deliberato come quello che Schmiedel stesso le attribuirebbe. Se si accettasse quest'ultima tesi, difficilmente Luca avrebbe potuto sfuggire all'accusa di essere uno scrittore fondamentalmente disonesto. Anche Van Manen osserva che egli sa come dare l'aria di Storia reale a una composizione che proviene da materiali in gran parte non storici; ma la stessa cosa si sarebbe potuto dire di Livio. Lo scopo di Livio era patriottico ed estetico; quello di Luca aveva molto in comune con la successiva arte religiosa. Dal punto di vista estetico, nel caso di Luca dobbiamo tener conto della particolare stratificazione caratteristica di una letteratura orientale. Gli Atti degli Apostoli, naturalmente, non possono essere considerati storia critica più di quanto non lo sia la prima Deca di Tito Livio. Uno storico critico come Tucidide è impensabile tra i primi cristiani.
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