(segue da qui)
5. La Preparazione al Vangelo.
Per quanto potessero essersi prospettate grandi conquiste della religione di Israele nei confronti delle religioni antiche del mondo mediterraneo, non fu il giudaismo puro a trarre vantaggio dalla situazione. Le ragioni che sono state normalmente addotte per questo dagli apologeti cristiani sono nel complesso sufficienti, anche se portano a conclusioni inaspettate.
Ma innanzitutto si può premettere che la religione ebraica non aveva nulla da insegnare alle scuole filosofiche. Probabilmente il verdetto di qualsiasi platonista di orientamento religioso sarebbe stato poco diverso da quello di Giuliano: che i profeti, restringendo la loro visione a tutto il resto, avevano sì intravisto una grande verità — l'unità del potere direttivo nell'universo — ma che nella loro espressione di esso c'era più fuoco che luce. Se un'influenza distinta poté aver trovato accesso alla cultura classica, fu sul piano estetico; e il trattato Sul sublime è sufficiente a provare che un critico con standard accademici non era insensibile alla qualità peculiare della letteratura ebraica. Sul piano intellettuale furono gli ebrei ad aver subìto l'influenza. Con l'instaurarsi di relazioni amichevoli tra ebrei e greci, in un mondo di continua libertà speculativa, questa influenza sarebbe senza dubbio andata oltre. La personalità di Jahvé avrebbe potuto persino fondersi in una concezione panteistica, come tendeva a fare tra piccoli gruppi di eterodossi nel Medioevo. Ciò però non avrebbe influenzato la moltitudine; ed è con le fortune della religione popolare che al presente siamo interessati.
Per i molti, è detto di solito, il giudaismo aveva, da un lato, fin troppo il carattere di un monoteismo astratto; mentre, dall'altro lato, era troppo severo nella sua esigenza dell'osservanza di un rituale minuzioso. E, naturalmente, i proseliti provenienti dai pagani non potevano provare alcun interesse profondo per quelle discussioni sulla legge che erano una delizia per il pio Fariseo. Diventare un esperto in esse avrebbe richiesto una formazione a suo modo difficile come quella delle scuole elleniche. Ma le nuove religioni si rivolsero proprio a coloro che trovavano arduo il sentiero della filosofia. Soprattutto, era necessaria una religione commovente. Chi doveva prendere il posto delle divinità uccise e sofferenti già introdotte dall'Oriente mistico: di Dioniso e di Adone, di Attis e di Osiride; della dolente Iside e di Cibele, la madre degli Dèi? Poteva la Giudea, in forme sconosciute ai suoi dottori della legge, offrire siffatti oggetti di devozione? E poteva anche essere trattenuto quell'elevato tono di autorità che fu assunto dai proseliti ortodossi nella loro stessa religione monoteistica nazionale, che pretendevano di insegnare come una rivelazione divina ciò che per i più sapienti tra i Greci era stato al massimo un risultato del fallibile ragionamento umano?
La prima domanda, come sappiamo, fu risolta dall'emergere di un culto rivolto al Figlio di Dio crocifisso. La seconda fu risolta dalla distruzione del tempio di Gerusalemme. Così travolta la vecchia gerarchia, fu lasciata libera la strada a una nuova gerarchia per rivendicare la successione alla sua autorità. Una siffatta gerarchia si formò tra i gruppi di società che praticarono il culto e manifestò il vigore e l'adattabilità richiesti. Presto essa ebbe propri testi sacri, che aggiunse alle Scritture più antiche. Le idee generalizzate del giudaismo ufficiale, la speranza messianica, il mito e il rituale ellenistici, le idee etiche e metafisiche che erano passate di moda e, in particolare, l'idea della “salvezza” personale in una vita futura, furono tutte assimilate nella giusta misura. Era apparsa una nuova religione, che alla lunga riuscì a imporsi nell'Impero romano.
Con quale processo emerse per la prima volta? Il dio ucciso fu in origine una persona umana, un maestro etico messo a morte dal procuratore di Giudea per placare le autorità ebraiche che avevano offeso il suo insegnamento? Dapprima, da profeta o rabbino con un gruppo di discepoli, giunse ad essere considerato il Messia e poi in seguito, su suolo non-ebraico, ricevette la piena apoteosi? Il culto al pari della mitologia furono quindi un accrescimento, in piccola parte ebraico, in gran parte ellenistico, che si raccolse attorno a un vero essere umano che fu “divinizzato”?
Una maggioranza dei critici non tradizionalisti probabilmente risponderebbe a queste domande in senso affermativo. C'è, però, una minoranza dissenziente. Prima di decidere, dobbiamo chiederci innanzitutto quali prove ci siano per gli eventi storici che si presumono ricordati nel Nuovo Testamento. Se poi scopriamo che non ci sono prove reali, dobbiamo andare a chiederci, in secondo luogo, se gli inizi della Chiesa cristiana possano essere spiegati senza supporre che la sua storia di Cristo abbia una base fattuale.
Ma i Vangeli, a cui è stato fatto l'appello principale, non possono essere considerati documenti storici. Essi sono di autore sconosciuto e di origine composita. La loro datazione probabile è più di due generazioni dopo gli eventi che dichiarano di ricordare, e sono storie di miracoli tutte compatte. Il maestro non appare mai come un semplice essere umano, ma come “il Signore”, il “Figlio di Dio”. La sua nascita è miracolosa. La sua morte in croce non è descritta con contorni tipici di un'esecuzione romana, ma con i dettagli caratteristici di vari riti di sacrificio umano noti in tutte le parti del mondo, dall'India al Messico. A tutti quanti loro è attribuito un significato mistico. Come maestro, egli rivendica fin dall'inizio l'autorità di rovesciare le decisioni dell'antico legislatore della sua nazione: se egli approva la legge, anche questo è per sua autorità. Siamo abbastanza lontani in questo caso dalle memorie di qualcuno che visse realmente.
C'è dunque qualche prova esterna che indichi un nucleo di eventi reali? La risposta deve essere che non ce n'è nessuna. L'unica eccezione apparente è il celebre passo degli Annali di Tacito (15:44). Questo stesso passo, in effetti, sfida ogni scetticismo; [1] eppure sotto ogni aspetto è stato trovato sconcertante. Esso si chiarisce solo coll'ammissione che, nel periodo a cui si riferisce, non c'era ancora il cristianesimo nel nostro significato del termine, cioè nessuna credenza in un Cristo che fu detto apparso in un luogo e in un tempo precisi.
Il racconto è brevemente questo. Per allontanare da sé il sospetto di aver provocato il grande incendio di Roma nel 64 (per amore dei suoi ambiziosi progetti architettonici), l'imperatore Nerone accusò coloro che erano comunemente chiamati Cristiani. Christus, l'autore di quel nome, era stato messo a morte nel regno di Tiberio da Ponzio Pilato, il Procuratore. L'esecrata superstizione (exitiabilis superstitio), repressa per un momento, esplose di nuovo e si diffuse dalla Giudea, la sede originaria del male, alla stessa Roma. Essendo ora avviate delle indagini in merito all'incendio, alla fine fu catturata una vasta moltitudine. Gli accusati furono condannati non tanto per aver causato l'incendio, quanto per “odio della razza umana”. La loro punizione fu di un'atrocità neroniana, tanto che, nonostante la colpa loro imputata, sorse compassione per la loro sorte, poiché si ritenne che le loro sofferenze fossero state inflitte non per il bene pubblico, ma per saziare la crudeltà di un solo uomo.
Una difficoltà in questo resoconto è l'assoluta mancanza di plausibilità di una siffatta accusa contro i primi cristiani della leggenda. I commentatori hanno fatto notare che essa sarebbe stata molto più plausibile contro i fanatici apocalittici ebrei; ed è stata suggerita l'ipotesi che i veri “cristiani” fossero in qualche modo confusi con questi, che costituirono la porzione principale della “vasta moltitudine”. Su questo suggerimento poniamo l'ipotesi estrema che non ci fossero affatto cristiani nel nostro senso; e che non potessero esserci, perché l'autore della setta era mitico, e la forma dettagliata del mito non era ancora sorta. Scopriremo che ogni affermazione di Tacito rientra spontaneamente al suo posto.
I cristiani, come intendiamo noi il termine, esistettero, naturalmente, al tempo dello storico stesso, il quale scriveva sotto Traiano all'inizio del secondo secolo. È alla loro fede che egli applicò la sua frase memorabile. Essendo stato un ufficiale romano, egli avrebbe saputo o sospettato qualcosa dell'organizzazione rigida e autorevole della Chiesa nascente; e potrebbe aver udito voci sul carattere dannoso del suo credo. La dichiarazione quasi incolore circa il fondatore egli l'avrebbe naturalmente attinta da ciò che veniva ripetuto comunemente dai cristiani del suo tempo. Egli non avrebbe visto alcuna ragione per respingere l'affermazione che l'autore di una nuova setta, presumibilmente anti-romana, avesse “sofferto sotto Ponzio Pilato”, un Procuratore detestato dagli ebrei nazionalisti. Supporre che lui possa aver tratto le informazioni dagli “archivi romani” è perfettamente gratuito. Egli stava cercando di pervenire alla storia della setta per mezzo della procedura nota agli studiosi delle fonti come “combinazione”. In questo caso non c'è alcuna testimonianza della crocifissione indipendente dal credo cristiano che, nella stessa epoca, fu incorporato nei Vangeli.
Ma perché si dovrebbe parlare di “Cristiani” come se esistessero al tempo di Nerone? E quale è la base storica del resoconto? Non c'è alcuna difficoltà circa la risposta. Con nessun altro nome i greci o i romani potevano parlare di ebrei messianici. Ma sappiamo che poco dopo la data del grande incendio scoppiò la rivolta della Giudea, che fu soppressa da Vespasiano e da Tito. Si può ragionevolmente dedurre da Svetonio (Claudio 25) che i tumulti che egli menziona essersi verificati in precedenza tra gli ebrei di Roma fossero associati a movimenti messianici. [2] Conosciamo anche il tipo di aspettative apocalittiche correnti tra i messianisti. Alla venuta del Re Unto dall'Oriente, lo Stato mondiale secolare si sarebbe dissolto in mezzo a massacri e incendi universali, sui quali i santi della teocrazia avrebbero esultato per sempre. Quando la comunità ebraica, in ogni luogo, ribollì di preludi di insurrezione suscitati da queste speranze, chi poteva essere più pretestuosamente accusato di incendiarismo di quelli tra loro da cui il Messia — “il Cristo” (χριστός, “Unto”) — fu più vividamente atteso? E le credenze intorno alla fine di tutte le cose che avrebbero espresso fiduciosamente non li avrebbero forse portati, agli occhi dei “pagani” che dovevano essere distrutti, sotto quella che sarebbe potuta sembrare l'accusa giustificata di “odio della razza umana”, persino se fosse stato chiarito che furono accusati ingiustamente di aver appiccato il fuoco alla città? Che una “vasta moltitudine” di ebrei apocalittici (compresi forse proseliti di lingua greca) potesse essere arrestata a Roma, allora in gran parte di popolazione straniera, non c'è motivo di dubitare; cosicché, se le vere vittime di Nerone furono ebrei fanatici, lo storico non va accusato di esagerare. Con questa prospettiva è in armonia la scarsa quantità di riferimenti fatti per lungo tempo dagli scrittori della Chiesa alla cosiddetta “persecuzione neroniana”. [3] Essi non ne seppero nulla dalla loro stessa tradizione e, quando arrivarono a parlarne, trasmisero semplicemente il malinteso di Tacito il quale, dall'identità del nome, aveva confuso i Messianisti del tempo di Nerone con la nuova setta di cristiani del tempo di Traiano.
Eppure, sebbene non vi sia nulla che possa essere definito prova storica dell'esistenza di un Cristo personale il cui nome fu adorato da un gruppo di credenti già durante il regno di Nerone, l'ipotesi non potrebbe essere necessaria per spiegare la leggenda? I Vangeli assegnano la sua apparizione al regno di Tiberio e al procuratorato di Ponzio Pilato. Non possono forse queste informazioni essere state correttamente preservate per via orale fino a quando i resoconti non furono messi per iscritto all'inizio del secondo secolo? Io avevo pensato che una tesi siffatta potesse essere difesa; ma, in parte per le argomentazioni del signor Robertson [4] e in parte per le loro conferme emerse nel frattempo, sono stato condotto a una conclusione diversa. La vera base della comunità cristiana ritengo sia stata, come sostiene il signor Robertson, un culto che fu legato a un Gesù o Giosuè da lungo tempo concepito con uno status divino. La storia di un Gesù quasi storico crebbe da elementi ancestrali di un rituale e mito semitico autoctono, il quale solo ora emerse dopo secoli di oscura persistenza sotto la religione ebraica ufficiale e farisaica. [5] Per formare il mito definitivo, questa storia si combinò con storie ellenistiche di tipo simile, subendo essa stessa delle modifiche nel processo.
Elementi di ciò che viene chiamato “paganesimo” vanno individuati, ovviamente, nelle Scritture ebraiche canoniche. Giuliano non ebbe difficoltà a provarlo contro la pretesa che nel loro insieme esse insegnassero un monoteismo assolutamente puro. Riuscì persino a dimostrare che il “culto dei demoni” di cui gli ebrei, e i cristiani dopo di loro, erano soliti accusare “le nazioni”, non fosse assente nei loro stessi documenti. La sua interpretazione del capro espiatorio, sacrificato ad Azazel, è stata confermata dalla scienza critica moderna. Non c'è quindi alcun paradosso se troviamo nei libri apocrifi o cristiani tracce ancora più evidenti di un politeismo persistente.
Una particolare conferma della tesi del signor Robertson, su cui desidero attirare l'attenzione, è una lettura più antica nell'epistola di Giuda (riconosciuta a margine della Versione Riveduta). Essa si presenta nel versetto 5 e il suo significato è evidenziato dal versetto 6. “Ora io voglio ricordare a voi, che già conoscete tutte queste cose, che Gesù [cioè Giosuè, invece di “il Signore”] dopo aver salvato il popolo dalla terra d'Egitto, fece perire in seguito quelli che non vollero credere”. Il versetto successivo continua: “E gli angeli che non conservarono la loro dignità ma lasciarono la propria dimora, egli li tiene in catene eterne, nelle tenebre, per il giudizio del gran giorno”. [6] Chiaramente l'incatenamento degli angeli erranti può essere attribuita solo a un'entità soprannaturale, e non a un semplice eroe nazionale. E va ricordato che l'Epistola è un'opera giudeo-cristiana, non un'opera “cristiana pagana”. Con questo passo di un libro del Nuovo Testamento, è interessante confrontare una profezia messianica degli Oracoli sibillini, trascritta dal Reverendo W. J. Deane come segue: [7] “E allora vi sarà di nuovo un uomo eletto dal cielo il quale stese le mani sul legno molto fruttifero, l'ottimo fra gli Ebrei, e che un giorno fermerà il sole, parlando con bella parola e con sante labbra”. In questo caso, come direbbe il signor Robertson, osserviamo la concezione passare a quella del Dio che insegna. Il “legno molto fruttifero” (o “albero dal frutto buono”) si riferisce, naturalmente, a quell'idea sacrificale le cui implicazioni sono state messe in luce da Frazer in Il Ramo d'Oro.
Evidentemente abbiamo qui, nell'idea già presente in ambito ebraico di un liberatore dotato di nome e attributi divini, un fulcro possibile di una nuova evoluzione. Ciò rende superflua la stessa spiegazione del signor Frazer del culto cristiano come l'avvio di una rinnovata vitalità dell'idea sacrificale mediante la morte di un Gesù reale — il maestro galileo — individuato, dalle macchinazioni dell'ostilità sacerdotale, come vittima di un rito annuale sopravvissuto a Gerusalemme, in cui di solito un criminale condannato recitava la parte di un dio morente. All'ipotesi provvisoria del signor Frazer si può sostituire una combinazione dei risultati positivi della sua grande indagine antropologica con i risultati, negativi come pure positivi, della critica biblica. [8] I particolari eventi raccontati nei Vangeli non accaddero; ma, come dice il signor Robertson, la storia condensa un'intera fase — anzi, più di una fase — della religione in un'unica figura. La vittima umana è crocifissa in quanto l'incarnazione del dio. Egli ha gli attributi di un dio del grano e di un dio del vino; perciò il suo corpo e il suo sangue possono essere assunti sacramentalmente mangiando pane e bevendo vino. Egli risorge dai morti. La sua morte e la sua resurrezione sono celebrate annualmente, nella stagione in cui sono consuete le celebrazioni della morte e della nuova nascita di divinità, siano esse rappresentanti delle forze della vegetazione o del potere del sole. Con questa concezione più arcaica, secondo la quale il dio è ucciso nella sua giovinezza perché possa riprendere vigore in una nuova manifestazione, è combinata l'idea popolare. Senza peccato lui stesso, egli veniva reso un sacrificio per i peccati di altri. La sua morte, quindi, coincide nel tempo con un antico rito popolare, la Pasqua ebraica, probabilmente derivata a sua volta da un'usanza di sacrificio umano. Poi, siccome la nuova religione del Dio incarnato adotta i testi sacri del suo predecessore come propri, tutte le altre concezioni devono essere riconciliate con il monoteismo ebraico. Da qui il problema della teologia cristiana, tramandata dal Nuovo Testamento ai Padri e dai Padri agli Scolastici.
NOTE
[1] Non che il ricorrente scetticismo intorno alle opere di Tacito sia stato puramente e semplicemente ozioso. L'epoca in cui la maggior parte di esse venne alla luce reca una rassomiglianza superficiale con quella in cui egli scrisse. Il Rinascimento in Italia e il primo Impero romano erano allo stesso modo violentemente sensazionalisti. Una rassomiglianza più profonda è che i due periodi, della storia romana e della storia europea moderna, erano fasi corrispondenti della “discesa” e della “risalita” — la discesa verso la monarchia teocratica e il ritorno. Così la falsificazione degli Annali (da parte di Poggio Bracciolini) era un'ipotesi non del tutto priva di plausibilità, anche se un esame accurato conferma interamente la genuinità dell'opera. Supporre che il passo particolare sui cristiani sia un'interpolazione è da ritenersi senza speranza.
[2] Il motivo di questa deduzione è la curiosa frase “impulsore Chresto”. Svetonio evidentemente pensò che gli ebrei fossero insorti sotto l'istigazione di un capopartito di nome Chresto (la pronuncia del cui nome in greco sarebbe identica a quella di “Christus”).
[3] Anche il passo di Giovenale (1:155), che è stato ipotizzato riferirsi allo stesso evento, è abbastanza coerente con la tesi adottata. Esponi il tuo pensiero sulla creatura di un tiranno, dice Giovenale, e sarai reso una “torcia in fiamme”? Ciò suggerisce che coloro che furono puniti così avevano manifestato uno spirito insurrezionalista. Ma i cristiani si vantavano di non essere mai stati insorti. “Ogni anima sia sottomessa alle autorità superiori”; perfino se i poteri superiori dovessero essere Nerone e Tigellino.
[4] Si vedano le sue opere, Christianity and Mythology (1900), A Short History of Christianity (1902), e Pagan Christs (1903).
[5] Si veda l'osservazione di Grant Allen secondo cui il cristianesimo, come a noi noto dal Nuovo Testamento e dalle opere dei Padri, “comprende in sé elementi che indubbiamente persistettero in angoli più o meno marginali tra la massa del popolo anche nella stessa Giudea, sebbene screditati dagli aderenti al culto sacerdotale e ufficiale di Jahvé, ma che furono parti integrali della religione popolare e persino della religione riconosciuta in tutta la Siria settentrionale” (The Evolution of the Idea of God, edizione R. P. A., pag. 130).
[6] Offro il passo come si presenta nel Testamento greco di Buttmann: ὑπομνῆσαι δὲ ὑμᾶς βούλομαι, εἰδότας ἅπαξ πάντα, ὅτι Κύριος λαὸν ἐκ γῆς Αἰγύπτου σώσας τὸ δεύτερον τοὺς μὴ πιστεύσαντας ἀπώλεσεν, ἀγγέλους τε τοὺς μὴ τηρήσαντας τὴν ἑαυτῶν ἀρχὴν ἀλλὰ ἀπολιπόντας τὸ ἴδιον οἰκητήριον εἰς κρίσιν μεγάλης ἡμέρας δεσμοῖς ἀϊδίοις ὑπὸ ζόφον τετήρηκεν.
[7] Pseudepigrapha (1891), pag. 312. — L'originale è dato alla fine dell'articolo sulla “Letteratura Apocalittica” nell'Encyclopaedia Biblica.
[8] Una posizione generalizzata dichiarata dallo stesso signor Frazer non tende a escludere la sua ipotesi nella misura in cui si applicherebbe anche al pasto sacramentale? “I popoli di solito non osservano un'usanza perché in una particolare occasione è detto che un essere mitico abbia agito in un certo modo. Ma al contrario molto spesso essi inventano miti per spiegare perché praticano certe usanze”. (Il Ramo d'Oro, seconda edizione, volume 2, pag. 420). Sul rito sacrificale annuale, si confrontino le osservazioni del signor Robertson (Pagan Christs, pag. 153 e seguenti), iniziando dalla variante Ἰησοῦν Βαραββᾶν in Matteo 27:16.
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