giovedì 12 settembre 2024

ECCE DEUS — “ESOTERISMO” NEL VANGELO

 (segue da qui)

“ESOTERISMO” NEL VANGELO 

51. In questo modo viene messo a nudo non solo il fatto dell'uso praticamente esclusivo o almeno prevalente dei simboli nel culto primitivo, ma anche la sua ragione altrettanto bene: si trattava del gergo di un ordine segreto, intenzionalmente incomprensibile ai non-iniziati. Non sembra esserci altra interpretazione possibile di questo passo inequivocabile. Cosa dice l'orientalista Wellhausen? Evidentemente egli è sconcertato; il versetto 10 (Marco 4) è per lui un vero rompicapo, e naturalissimamente dal suo punto di vista. “Ciò non concorderebbe con 4:33 e 36”...... “Ciò è difficilmente possibile”......“Infine, il plurale τὰς παραβολάς [le parabole] difficilmente può essere compreso a questo punto”. Commentando 4:11-12, egli dice: “Una parabola serve infatti principalmente a esprimere qualche verità superiore per mezzo di qualcosa di più familiare. Siccome, tuttavia, il punto va cercato e trovato, essa serve tanto a stimolare l'attenzione e la riflessione quanto a metterle alla prova. Che Gesù l'avesse impiegata a questo scopo, proprio come Isaia e altri maestri, non può esserci nessun dubbio. Però questo non è ancora l'esoterismo che è implicito in 4:11, 12 e parzialmente pure in 4:33, 34. Questo esoterismo non è semplicemente escluso da 4:21, ma contraddice perfino il senso della prima parabola: tutti loro capiscono la parola, ma la ricevono in serbo in misura molto diseguale. Per non menzionare la compassione di Gesù per le ὄχλοι [moltitudini], che altrove è così cospicua”. Queste sono parole d'oro, degne da ricordare da ogni studioso dei Vangeli.  Esse caratterizzano e illustrano in modo mirabile lo spirito e la procedura della scuola critica. Nota innanzitutto che il vero obiettivo della parabola, come data da Marco, è del tutto trascurato, e al suo posto se ne ipotizza un altro del tutto diverso. Perché? Solo perché sembra naturale che Gesù agisca come Isaia e altri! Poi è dichiarato che egli operò così! Si forma un concetto a priori del Gesù, e poi si ritiene al di là di ogni dubbio che egli si attenne a quel concetto! Cosa non può essere provato tramite questo metodo? Naturalmente, Wellhausen è perfettamente onesto e non negherà il significato ovvio e necessario dei versetti 11, 12, 33 e 34.Lo ammette, ma solo con una parola — “esoterismo” — e poi lo respinge completamente. Perché? Perché egli pensa che esso sia escluso dal versetto 21, che contraddica il senso della prima parabola e che non corrisponda alla compassione di Gesù per le moltitudini! Supponiamo che tutto questo fosse corretto: quale sarebbe la ragione per rifiutare l'ovvio significato dei quattro versetti? Perché non accettare altrettanto bene i quattro versetti e respingere le tre ragioni? L'unica risposta è che Wellhausen deve mantenere il suo concetto del Gesù a tutti i costi; accetta ciò che può riconciliare con esso, deve respingere ciò che non può riconciliare così. Per cui egli deve rifiutare e rifiuta i quattro versetti. Ma non sarebbe molto meglio respingere il concetto? Credo di sì, e questo libro lo proverà. 

52. Nel frattempo, che dire delle tre ragioni? Sono valide rispetto contro i quattro versetti? Ben lungi dall'esserlo. La prima ragione è che l'“esoterismo” del versetto sia escluso dal versetto 21; aggiungiamo il versetto 22, e diventa chiaro che, lungi dall'essere escluso, esso è necessariamente implicito da questi versetti 21, 22: “Si prende forse la lampada per metterla sotto il vaso o sotto il letto? Non la si prende invece per metterla sul candeliere? Poiché non vi è nulla che sia nascosto se non per essere manifestato; e nulla è stato tenuto segreto, se non per essere messo in luce. Se uno ha orecchi per udire oda”. Poteva esserci una dichiarazione più chiara del fatto che l'insegnamento primitivo fosse segreto, e che successivamente l'insegnamento dovesse essere reso pubblico? Quale altro possibile significato può essere attribuito a parole come nascosto e tenuto segreto, manifestato e messo in luce? Anche il riferimento del versetto 21 è chiaro: la dottrina di Gesù è la lampada che ora va esposta all'attenzione per illuminare il mondo. Naturalmente, il culto non era destinato a rimanere segreto, e non rimase, di fatto, segreto; esso fu finalmente portato alla luce; lo scrittore di questi versetti sta difendendo evidentemente questa divulgazione, che forse era stata criticata da alcuni dei più cauti in quanto prematura. Nota anche l'oracolo: “Se uno ha orecchi per udire oda”. Questo indica in modo inequivocabile una tradizione segreta, rivestita di parole inintelligibili per il non-iniziato, ma comprensibili per l'iniziato. Era come la stretta di mano massonica, che solo il Massone può riconoscere. Le parole significano semplicemente: soltanto i membri comprendono. I successivi versetti 24-34 confermano su ogni punto quanto detto sopra. Tutti indicano più o meno direttamente lo stesso grande fatto, che l'insegnamento primitivo era segreto ed era comprensibile solo agli iniziati, ma non fu mai designato a rimanere tale in modo permanente, ma solo fino a quando i tempi fossero stati maturi per proclamarlo apertamente al mondo. Allora, lungi dal contraddire i versetti 11 e 12, come pensa Wellhausen, i successivi versetti li confermano pienamente. 

53. Ma Wellhausen ritiene che i versetti 11 e 12 contraddicano il senso della grande prima parabola, secondo la quale egli pensa che “tutti comprendono la parola, ma la tengono in serbo in modo molto diverso”. Se, infatti, tutti la capirono allora, erano certamente assai più sapienti di quanto siano ora gli uomini. Ma non è detto che tutti capirono la parola; non è detto nulla di simile; non è detto alcunché intorno alla comprensione. La distinzione che fa Wellhausen tra comprendere e “tenere in serbo” la parola è estranea al testo e al pensiero del parabolista. “Sarebbe un modo troppo strano di considerare”. Inoltre, questa interpretazione è di per sé relativamente tardiva; non abbiamo nessun motivo per porla in linea con la parabola stessa. Anche se ci fosse una contraddizione, non interromperebbe né annullerebbe l'ovvio significato dei versetti 11 e 12, perché deriverebbe semplicemente dall'aggiunta di un altro scriba, che non ha bisogno di essere in accordo con il primo. Sull'intero argomento di questa principale delle parabole si rimanda il lettore al saggio “Il Seminatore Semina il Logos”, in Der vorchristliche Jesus, dove è restaurata la forma più antica della parabola ed è mostrato che il Logos non era affatto la parola predicata, ma il Logos Spermatico dell'antica filosofia stoica e giudaica, e che la parabola era originariamente un'allegoria della Creazione. Matteo accenna molto genericamente alla nuova forma e al nuovo significato dato all'antico Mashal dicendo (13:52): “Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” — un versetto molto istruttivo, dal quale appare chiaramente che questa istruzione in parabole, nel gergo segreto della “nuova dottrina”, era una parte regolare del discepolato per il regno dei cieli; e quest'ultimo non può essere altro (nell'uso neotestamentario) che un altro nome per l'organizzazione segreta stessa, destinata ad abbracciare la terra intera convertita alla conoscenza e all'adorazione dell'Unico Dio. 

54. Infine, Wellhausen trova l'acclarato esoterismo dei versetti 11, 12, 33, 34 in contrasto con la compassione di Gesù per le moltitudini (ὄχλοι, anche se Marco utilizza sempre — tranne che in 10:1 — il singolare, ὄχλος, moltitudine). Ebbene, che dire? Dobbiamo quindi respingere o screditare questi versetti? Sicuramente no. Wellhausen sembra pensare che Gesù non avrebbe potuto insegnare in parabole incomprensibili al popolo, e da spiegare in seguito ai discepoli, perché ciò non avrebbe manifestato la sua compassione. Eppure è proprio ciò che fece, a meno che non screditiamo non solo questi versetti, ma anche l'intera storia: anzi, l'intero Vangelo. Perché le parabole sono un fatto, e perché hanno certamente turbato i migliori intelletti della cristianità, da Origene e ancor prima fino a Jülicher, è semplicemente certo che esse non avrebbero potuto chiarire le cose per i contadini di Galilea. La parabola — la parabola non compresa dalla moltitudine — è attestata molto più fortemente della compassione, ed è puramente arbitrario rinunciare alla prima a favore della seconda. Inoltre, l'effettiva presenza nel testo della spiegazione della parabola prova incontestabilmente che essa era concepita originariamente come un enigma affatto facile da interpretare: anzi impossibile persino per discepoli non assistiti. 

55. Ma la compassione di cui parlano così tanto i biografi di Gesù contraddice davvero l'esoterismo? Assolutamente no, se non nell'immaginazione del critico. Uno studio attento di questa compassione mostra che essa è sempre un attributo divino, e non un attributo umano, assegnato al Gesù: è la compassione del nuovo Jahvé, la divinità guaritrice, per la moltitudine, la massa dell'umanità, paganità idolatra e ignorante del vero Dio. Questo è mostrato chiaramente nella parola greca con cui essa è uniformemente espressa — σπλαγχνίζομαι — la quale parola ellenizza la radice ebraica רחם (viscere, al plurale), che è utilizzata regolarmente e quasi esclusivamente nell'Antico Testamento a proposito di Jahvé, proprio come l'equivalente greco è utilizzato specificamente a proposito del Gesù o del Signore. Non troviamo mai ἐλεέω (benché sia un termine preferito del Vangelo) utilizzato a proposito del Gesù; mai συμπάσχω, il che sembrerebbe naturalissimo; mai οἰκτείρω; mai μετριοπαθέω: solo questo particolarissimo σπλαγχνίζομαι, che di per sé ha quasi bisogno di un interprete, e per l'ovvia ragione appena indicata. Che cosa si intende allora con questa compassione divina? Chiaramente, essa è la pietà di Dio nei confronti del mondo pagano, a causa del suo politeismo, del suo allontanamento dal culto della vera Divinità. È proprio la stessa pietà che viene attribuita a Gesù nell'antico Inno Naasseno precristiano citato in Der vorchristliche Jesus (pag. 31-32). Era proprio per salvare la moltitudine pagana dall'idolatria che Gesù venne nel mondo: che il culto di Gesù (nell'inno chiamato la Gnosi) fu istituito e propagato. [1] Questa è anche l'idea del Vangelo, come è espressa chiaramente in Marco 6:34 e in Matteo 9:36: “Ne ebbe compassione, perché erano come pecore che non hanno pastore: e si mise a insegnare loro molte cose”. Supporre che un Gesù umano avesse effettivamente assistito a grandi folle che lo seguivano, e le avesse compatite come pecore disperse e lacerate, e poi avesse cominciato a insegnare loro molte cose, è indicibilmente assurdo. Chiaramente era l'errore spirituale e lo smarrimento ciò di cui stavano soffrendo, e questo doveva essere, e poteva essere, corretto solo insegnando. Altrove e di frequente queste stesse moltitudini sono raffigurate afflitte da ogni sorta di male fisico, “ed egli li guarì tutti” (Matteo 12:15). Chiaramente un tale stato di invalidità fisica praticamente universale è del tutto impossibile. Chiaramente la condizione della moltitudine in un caso deve essere praticamente la stessa come nell'altro: se in Marco 6:34 egli espresse la sua compassione insegnando loro, in Matteo 12:15 egli dovette aver fatto lo stesso pure. Ogni indizio, allora, punta al fatto che fossero mali spirituali, e solo spirituali, quelle che stava guarendo, e che stava guarendo tramite la “nuova dottrina”. Era la cecità, la sordità, la zoppia, la lebbra, la morte spirituali che egli vinse, e tutte allo stesso modo: predicando il Vangelo ai poveri (i Gentili). Ecco, allora, la spiegazione piena e soddisfacente della tanto incompresa compassione del Gesù, che non si oppone affatto all'esoterismo del culto primitivo. Non c'era nessuna mancanza di simpatia nella segretezza iniziale; si trattava in sostanza di una misura prudente, abbastanza ben giustificata, ma intesa essere soltanto temporanea. 

56. Le obiezioni del critico di Gottinga sono, allora, tutte quante, invalide in ogni punto; sono completamente viziate da una falsa idea dell'umanità del Gesù. Per di più, esse sono legate intrinsecamente a quell'idea, e quando cadono l'idea stessa va a fondo con loro. Nota infatti che l'esoterismo, la segretezza primitiva del culto, è ineluttabilmente coinvolta nei quattro versetti 11, 12, 33, 34, come ammette lo stesso Wellhausen. Egli si trova spinto al rifiuto pratico di questi versetti, per le ragioni che abbiamo esaminato. Ma nessuna di queste ragioni è valida,  Ma nessuna di queste ragioni è valida, e perciò i versetti, e con essi l'esoterismo, la segretezza del culto, devono stare. Ma tale esoterismo contraddice apertamente la figura Gesù dei critici, che si dimostra così solo una caricatura. Come ha detto con forza il logico di Marburgo: “Questo Aut-Aut va in profondità: o gli Evangelisti o Gesù”. Con perfetta coerenza e ammirevole onestà, egli rifiuta categoricamente gli Evangelisti, come fa Wellhausen, e dichiara: “Colui che pone Gesù più in alto, che non strapperà il diamante dalla sua imperitura corona d'onore, [2] spezzerà un sassolino dal baluardo della tradizione e confesserà che lo scopo dell'insegnamento in parabole, nonostante Marco e gli altri evangelisti, è ancora più semplice dell'insegnamento stesso” (Die Gleichnissreden Jesu, I. 148). 

57. Questo sembra essere uno dei passi più importanti della critica moderna. L'espositore di parabole ammette qui apertamente che la critica liberale in questo punto vitale deve opporsi (trotz) a Marco e agli altri Evangelisti; confessa, in termini eloquenti, che il dilemma è davanti a noi: o gli Evangelisti o Gesù; e accetta il secondo, respingendo i primi. Sì, se dovessimo scegliere, non essendoci una terza scelta, dovremmo certamente preferire Gesù agli Evangelisti: ma quale Gesù? Sicuramente non il Gesù degli Evangelisti stessi; nel respingerli respingi il Gesù che offrono. No, non è il Gesù degli Evangelisti; è la figura di Gesù dei critici liberali che sta in opposizione agli Evangelisti nel dilemma di Jülicher. Quest'ultimo è un uomo puro, nobile, bello: nient'altro, niente di più. Lo ammiriamo grandemente, ma dobbiamo allo stesso tempo riconoscere che non è il Gesù; è solo “un'idea liberale di Gesù”. È una mera chimera, una creatura di fantasia, non realmente pensabile e del tutto priva di validità o di giustificazione storica. Senza esitazione noi dobbiamo respingere questa figura di Gesù, ma non per questo respingiamo Gesù. Al contrario, sostituiamo al dilemma di Jülicher un unico lemma: noi affermiamo e sosteniamo che l'unico vero Gesù è il Gesù degli Evangelisti, il Gesù puramente divino, che nei Vangeli ha “proiettato attorno a sé le splendenti sembianze di un uomo venerabile”. 

Sia ribadito, allora, con enfasi che non può essere mai eccessiva, che questi due critici liberali rappresentativi hanno qui ammesso inequivocabilmente la definitiva inconciliabilità della loro tesi del Gesù umano con il fatto fondamentale neotestamentario dell'insegnamento in parabole. D'altra parte, la tesi del Gesù divino e del suo culto segreto precristiano si accorda perfettamente con questo fatto e lo spiega completamente. 

58. Solo sulla base di questo passo, allora, possiamo affermare con sicurezza la segretezza primitiva del culto di Gesù. Ma esso è ben lungi dall'essere solo. Per una ventina di volte troviamo riferimenti alla segretezza e all'occultamento di qualcosa, la maggior parte dei quali difficilmente possono riferirsi ad altro rispetto all'esoterismo primitivo che è presente effettivamente in Marco 4:11, 12, 33, 34. Naturalmente, è del tutto impossibile trattare questi passi in dettaglio a questo proposito. Oltre a questi ci sono molti altri passi di implicazione simile. La parola mistero (ciò che è noto solo agli iniziati) ricorre ventisette volte nel Nuovo Testamento, soprattutto in 1 Corinzi, Efesini, Colossesi, Apocalisse. Sembra impossibile che si riferisca a qualcosa di meno della conoscenza segreta, della tradizione nascosta, sebbene il riferimento possa spesso essere a qualcosa di più incluso in questa. Dice l'Apostolo (1 Corinzi 2:6, 7): “Ma noi parliamo di sapienza tra i perfetti”; “Ma noi parliamo di una sapienza di Dio in mistero, la sapienza nascosta, che Dio ha preordinato prima degli eoni per la nostra gloria, che nessuno degli arconti di questo eone conobbero; perché, se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della Gloria”. Chiediamo, con tutta la franchezza e l'enfasi possibile, può darsi allora che nella mente dell'autore dell'epistola non ci sia una dottrina segreta? Sicuramente no! Considera le parole mistero, la sapienza nascosta e, soprattutto, la parola perfetto. Il termine greco τέλειος non può riferirsi a perfezione morale o spirituale; sicuramente nessuno sosterrà che ci fosse una tale categoria tra i convertiti di Paolo, a cui egli confidò questa sapienza nascosta in un mistero. Il τέλειος o perfetto era colui che aveva raggiunto il τέλος o fine, che aveva completato l'intero corso di istruzione in questa tradizione segreta; come si dice a proposito di un Massone, che ha acquisito tutti i gradi; egli potrebbe quasi essere definito un iniziato. Così gli ἱερὰ τέλεια sono sacrifici perfetti ovvero eseguiti con tutti i riti (Tucidide 5:47). È (per così dire) un corso di iniziazione che l'autore dell'epistola ha in mente. Sappiamo inoltre che questi “perfetti” formarono, tra gli Gnostici, una categoria di cui si parla spesso tra gli eresiografi. 

59. Inoltre, questo passo sembra accennare a questioni ancora più profonde, che non possono essere discusse adeguatamente qui. Può essere che le autorità di Gerusalemme siano intese con “gli arconti di questo eone che stanno per essere ridotti al nulla”? Improbabile, come ha visto chiaramente Schmiedel. Sono piuttosto gli arconti o gli affini agli arconti così numerosi nella cosmogonia gnostica. Possiamo comprendere la crocifissione di Gesù, ma chi può comprendere la crocifissione (ad opera di questi arconti) del Signore della Gloria? Sicuramente non il Calvario né alcun monte terreno, ma le colline soprannaturali del cielo, sono nel pensiero elevato dell'autore. Considera anche la notevole citazione (“come sta scritto”) nel versetto 9: “Né occhio vide, né orecchio udì, né entrò in cuor dell'uomo, quali cose Dio ha preparate per coloro che lo amano”. Apparentemente questo risalirebbe ad Empedocle: “Così non può queste cose un uomo udire o vedere, né abbracciare con la sua mente” (1:8, 9a; Plutarco, Moralia 17e); tuttavia l'ultima clausola, “quali cose”, ecc. sembra mostrare che, nel discendere fino all'autore della nostra epistola, aveva ricevuto un'aggiunta come pure una modifica en route, e Zaccaria di Crisopoli dichiara (Harm. Evan., pag. 343) di aver letto le parole nell'Apocalisse di Elia. Non pare esserci scampo alla conclusione che esse siano citate da qualche fonte del genere, considerata qui autorevole. L'autore dell'epistola, allora, aveva familiarità con tali opere apocrife, e se si mosse in una siffatta cerchia intellettuale sembra difficile assegnare un limite alle stravaganze della sua fantasia; può benissimo essersi occupato di misteri, in cui la profonda filosofia gnostica, la “sapienza di Dio”, veniva insegnata, sia in altro modo che con liturgie e cerimonie simboliche, una delle quali può benissimo essere stata una qualche rappresentazione del Sofferente Divino, il sacrificio di sé del Grande Sommo Sacerdote secondo l'ordine di Melchisedec, o qualcosa di simile. 

60. Ci sono non pochi altri passi paolini che suggeriscono fortemente uno stato di cose simile, come quelli che parlano di recare sempre con sé la morte del Gesù, di recare le stimmate di Gesù, di essere crocifisso e sepolto con Gesù — tutte cose che sembrano significare più di quanto non si pensi comunemente. Ma quest'argomento è troppo vasto per essere affrontato in questa fase della discussione. Basti pensare che gli esegeti più attenti sono piuttosto incapaci di concordare sull'esposizione dell'intero brano in esame, opponendosi l'un l'altro su ogni punto; che falliscono tutti quanti nel rendere adeguata giustizia alla solennità e alla sublimità dell'ampio discorso intellettuale dell'autore; e che l'evidente rimando generale, che risiede a portata di mano, è alla segretezza e al mistero con cui la dottrina primitiva veniva insegnata a categorie separate di catecumeni.  

61. Simili sembrano essere pure le allusioni nelle lettere Pastorali: “O Timoteo, custodisci il deposito” (1 Timoteo 6:20); e ancora: “Custodisci il buon deposito” (2 Timoteo 1:14); e ancora: “Sono persuaso che egli è capace di custodire il mio deposito fino a quel giorno” (2 Timoteo 1:12). Al tempo della composizione di queste Pastorali, la propaganda era già da tempo predicata più o meno pubblicamente; nondimeno, naturalmente, le antiche forme del discorso sembrano essere state ancora mantenute. 

62. Molto più convincente, però, è la forza manifesta della straordinaria liberazione (Matteo 10:26, 27): “Poiché non v'è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato. Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all'orecchio predicatelo sui tetti”. Ogni possibilità di dubbio è qui definitivamente e per sempre esclusa. Sia Zahn che Holtzmann riconoscono il riferimento all'istruzione segreta, ma apparentemente senza percepirne il significato. Zahn dedica circa trenta pagine, circa milleduecentocinquanta righe, a “La cooperazione dei discepoli”, 9:35-11:1, quarantasette versetti, quasi ventisette righe per versetto. Ma a questo versetto immensamente importante (27) egli riserva solo sei righe di testo, limitandosi a ripetere il versetto stesso: “Gesù, allo scopo di non ridurre la possibilità di efficacia del Vangelo, dovette praticare un grande riserbo, dovette nascondere molto alla luce della pubblicità e sussurrarlo all'orecchio dei discepoli. Ciò essi lo dovevano pronunciare e predicare in piena pubblicità: naturalmente non ora, ma in futuro, a cui si riferisce il discorso dal versetto 17 in poi”. Questo è il commento di questo esegeta ortodosso! È lecito chiedersi quale possa essere stato il “molto” che Gesù insegnò col “sussurrarlo all'orecchio”, di cui non si sente il minimo accenno “in futuro”, né nel primo secolo né in quelli successivi. Ma il versetto 26 se la passa molto peggio nelle abili mani di Zahn: “Ma nello stesso tempo anche l'ostilità verso Gesù e i suoi discepoli, ora ancora possibile solo a causa dell'occultamento dell'imminente regno dei cieli, sarà portata alla luce, e condannata per la sua falsità e insostenibilità”. Qui il riferimento al nascosto e al celato, che è palesemente lo stesso del versetto 27 — cioè alla nuova dottrina segreta — è rimandato all'ostilità del mondo, un riferimento assolutamente impossibile, come si chiarisce doppiamente confrontando il parallelo in Marco 6:21-23, già discusso. Holtzmann, uno dei critici più sani di tutti, si limita a parlare del “passaggio della verità dalla cerchia più ristretta alla cerchia più ampia”. Entrambe queste trattazioni, se tali si possono chiamare, illustrano semplicemente la disperazione dell'esegesi. I passi non possono essere spiegati sulla base delle supposizioni comuni, eppure il loro significato è trasparente. Essi danno voce all'argomentazione del partito entusiasta e ardente, che esortava l'aperta proclamazione del culto, contro la politica più timida dei conservatori, che avrebbero continuato a svilupparlo in segreto. Naturalmente, c'erano due partiti nel Regno: ci saranno sempre progressisti e conservatori finché la natura umana rimarrà quella che è. 

63. A questo punto dei Vangeli i progressisti hanno la parola. Ma anche gli altri si fanno sentire. In Matteo 11:12 leggiamo: “Ma dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono”. Queste parole sono state un vero rompicapo per i commentatori, sia antichi che moderni, che spesso “ci scivolano sopra con leggerezza senza toccarle”; e niente sembra essere stato detto meglio delle parole di Wetstein riguardo a questi Violenti: “Li intendo, perciò, come pubblicani e soldati”. Zahn ammette: “L'implicazione del pensiero dovette di sicuro rimanere oscura finché manteniamo il comune significato passivo di βιάζεται [vim patitur, cogitur]”. Per cui “βιάζεται deve avere piuttosto il comunissimo senso intransitivo di uso della forza, di spinta in avanti o di pressione con forza”. “Con forza, come un vento di tempesta, [3] viene su di noi, con forza irrompe”. Certamente, βιάζεται significa spesso ciò; ma Holtzmann ha ragione nel dichiarare che “il significato comune, possibile di per sé, naufraga nella clausola esplicativa, 'i violenti se ne impadroniscono'”. Questo è sempre stato il verdetto del senso comune, a cui si oppone invano perfino Zahn.  Ma egli ha ragione allora nel ritenere oscura l'implicazione del pensiero, e Weizsäcker è giustificato nel mettere tra parentesi l'intero versetto. Però alla luce della discussione precedente, essa non sembra oscurissima. I violenti sembrano essere i progressisti, che insistevano sull'immediata proclamazione del Regno, sull'uscire coraggiosamente allo scoperto, invece di mantenere ancora a lungo l'antica politica di segretezza. Un potente rappresentante di questo partito radicale potrebbe essere stato Giovanni il Battista; e il conservatore sembra piuttosto lamentarsi del fatto che, dai tempi di Giovanni, i radicali stiano prevaricando il Regno, stiano avendo il sopravvento. Comunque sia, una cosa appare ora perfettamente chiara: che la propaganda originale era una propaganda segreta, che veniva sussurrata all'orecchio molto prima di essere proclamata sui tetti. 

64. Resta solo da aggiungere che questa segretezza fu mantenuta in qualche misura per molti anni, persino per generazioni. Soprattutto nelle parti gnostiche del Nuovo Testamento incontriamo la parola mistero; e nelle Epistole Gemelle, Efesini e Colossesi, si trova rispettivamente sei e quattro volte. Nelle confutazioni degli eresiografi troviamo gli gnostici che trattano continuamente di misteri e di tradizioni segrete. Sembra superfluo fare riferimenti, ma ci si può permettere di citare Epifanio (Haer. 62:2) a proposito del “cosiddetto Vangelo d'Egitto”: “In esso si riportano molte espressioni di questo genere, come se fossero dette in segreto e misteriosamente dalla persona del Salvatore”Pure nel Vangelo (Giovanni 19:38) leggiamo di un certo Giuseppe, che fu un discepolo, ma segretamente, per timore dei Giudei. Anche in un autore così tardivo come Origene si possono trovare molti riferimenti al culto segreto e ai “misteri” dei cristiani. Così, in Contra Celsum 3:59: “Allora, e non prima, li invitiamo ai nostri misteri (τελετάς). Perché parliamo di sapienza tra i perfetti (τελείοις)”.  

NOTE

[1] Ancora in Lattanzio (300 E.C.) ciò era sentito e dichiarato chiaramente: “Infatti Dio, quando vide che la malvagità e il culto dei falsi dèi si erano impossessati a tal punto dell'orbe terrestre, che il suo nome era stato quasi totalmente cancellato dal ricordo degli uomini — e che persino i giudei, che erano gli unici a cui Dio aveva confidato il suo mistero, abbandonando il loro Dio vivente per adorare statue, peccarono dopo essere stati attirati dalle reti ingannevoli dei demoni e non vollero, nonostante gli avvertimenti dei profeti, tornare al loro Dio — inviò come legato agli uomini suo figlio, principe degli angeli, perché distogliendogli dai culti vani ed empi li conducesse alla conoscenza e all'adorazione del vero Dio” (Divine istituzioni, 4:14). Che Lattanzio ritenesse il “Figlio” un'entità intermedia tra l'uomo e il Dio Altissimo è irrilevante. 

[2] Alla luce del fatto indiscutibile che gli studiosi critici del Gesù non possono assolutamente concordare sugli aspetti più essenziali del “Jesusbild”, sembra impossibile a questo punto non rammentare i versi famosi di Milton: 

“L’altra forma, 

se può dirsi tale, ciò che distinguer non lascia 

forma alcuna in membra, arti e giunture;

o chiamarsi sostanza ciò che pare un’ombra, 

poiché sembra, allo stesso tempo, e l’una e l’altra;......

.......ciò che sembrava esser la testa, 

reggeva una sorta di regal corona”.  

[3] È il “Regno” di cui sta parlando Zahn! — Lo stesso Regno che cresce lentamente e costantemente come la pianta di senape, in maniera invisibile come il lievito nascosto, il Regno che “non viene in maniera che si possa osservare”. Qui nel Nuovo Mondo riteniamo opportuno osservare piuttosto accuratamente questi “venti di tempesta”.  

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