domenica 14 luglio 2024

CRITICA DELLE LETTERE PAOLINE — 1. L'origine della lettera ai Galati — Il rapporto dell'apostolo con Gerusalemme

 (segue da qui)

Il rapporto dell'apostolo con Gerusalemme. 

(1:17-2:11).

Dopo che l'apostolo ha sottolineato fin dall'inizio che il suo vangelo è una sua proprietà personale, costituisce il privilegio della sua personale coscienza apostolica, si basa su una rivelazione che gli è giunta e che la realizzazione di esso è la sua missione specifica, egli giunge infine alla prova dettagliata della sua autorità personale e della sua condizione speciale: egli non ha (1:17-24) praticamente nessun contatto con Gerusalemme e gli apostoli originari, la sua indipendenza, la sua autorità autonoma e la particolarità della sua sfera di attività sono state riconosciute (2:1-10) dagli stessi apostoli originari, infine ha affrontato Pietro duramente quando quest'ultimo era palesemente in torto (2:11-14). 

Solo tre anni dopo il suo ritorno a Damasco si reca a Gerusalemme (1:18-19), trova Pietro soltanto, si trattiene con lui per soli quindici giorni e vede solo Giacomo, il fratello del Signore, oltre a lui. Ma perché (versetto 20) la deliberata confessione: “Riguardo a ciò che vi scrivo, ecco, vi dichiaro, davanti a Dio, che non mento”? Egli pensa che tutti sappiano che gli apostoli hanno sempre avuto la loro residenza permanente a Gerusalemme — ritiene che tutti debbano quindi presumere che egli abbia visto e parlato anche con tutti gli altri, a meno che non respinga e corregga espressamente questa supposizione — da qui l'insistente giuramento che ha ricavato dalla Lettera ai Romani, [13] ma che purtroppo si basa su una supposizione che rende ciò che egli invoca una cosa impossibile. Se è rimasto a Gerusalemme per quindici giorni, se ha familiarizzato con Pietro e Giacomo, e se la presenza degli altri apostoli nella città santa era così scontata come indica il suo giuramento, era impossibile che non li avesse visti. 

Con la massima accuratezza descrive poi il suo successivo viaggio a Gerusalemme come il secondo. “Poi”, dice (2:1), cioè dopo il primo viaggio, “salii di nuovo” a Gerusalemme, cioè di nuovo, come la prima volta, “dopo quattordici anni”, in modo che in questo periodo intermedio non ci sia stato alcun viaggio a Gerusalemme — anzi, per preservare completamente la sua indipendenza, affinché il fatto di aver esposto il suo Vangelo ai capi di Gerusalemme non lo facesse apparire dipendente e condizionato, sottolinea che andò a Gerusalemme “in seguito” ad una rivelazione che gli era stata concessa. 

Fino a questo punto il suo resoconto sarebbe almeno comprensibile, anche se la vistosità delle critiche accumulate gli conferisce un aspetto bizzarro, ma nelle frasi successive si confonde nelle sue ansiose precisazioni ed espone la goffaggine della sua invenzione. 

“Esposi a loro”, riferisce al versetto 2, “il vangelo che annuncio tra i Gentili”a loro! — “ma lo esposi privatamente a coloro che erano influenti” [14] “ma?” — Quindi “coloro” con cui conferì in privato sono diversi da quelli a cui espose il suo Vangelo? Ma chi possono essere questi ultimi? Quindi l'espressione “coloro che erano influenti” è solo una spiegazione più accurata del precedente “loro”? Solo una ripresa del primo dativo? Ovviamente l'autore vuole che si supponga quest'ultimo caso, ma nella sua incertezza e nell'ansia della sua invenzione ha commesso un errore e inserendo il “ma” ha creato l'apparenza di una differenza, la separazione degli influenti dal precedente “loro”

La confusione aumenta. “Ma neppure Tito, che era con me, benché greco, fu costretto a farsi circoncidere” — neppure Tito? Il greco? Quindi, se non era un greco, poteva essere obbligato a farlo? Come se fosse possibile! Come se un ebreo, quello circonciso, potesse ancora essere costretto a farsi circoncidere! 

La frase è introdotta in modo sbagliato, ma è ancora più infelice nella sua implicazione. Se Tito non fu costretto a farsi circoncidere, l'imposizione fu rifiutata del tutto oppure si sottomise volontariamente? La frase seguente: “ma a causa di falsi fratelli che si erano infiltrati” [15] suggerisce un cedimento che potrebbe portare solo alla seguente conclusione: “Egli non fu costretto, ma a causa di quei falsi fratelli che si erano infiltrati per spiare la nostra libertà che abbiamo in Gesù Cristo”, io cedetti — da sola la frase introdotta con “ma” non ha nemmeno un verbo e nella frase conclusiva, che si ricollega a quella relativa ai falsi fratelli, l'apostolo, secondo la lettura abituale, afferma il contrario: “A costoro non cedemmo neppure per un momento”. [16 La connessione, la tendenza continua che l'Apostolo persegue a questo proposito, il suo sforzo di porsi come del tutto indipendente in opposizione agli Apostoli originari, l'ulteriore ragione che egli dà nella stessa frase per il suo comportamento, “affinché la verità del Vangelo rimanesse salda fra di voi” — tutto questo, tuttavia, giustifica l'aspettativa che l'Apostolo assicuri la sua ferma risolutezza contro le imposizioni dei giudaizzanti, e dovrebbe porci contro l'autorità di Ireneo, che legge la frase: “a costoro cedemmo”, senza negazione, e di Ambrogio, che concede solo che i greci abbiano la negazione, ma si oppone ad essa.

Ma se seguiamo anche la lettura consueta, se leggiamo la negazione, la frase continua a non avere coerenza e rimane la contraddizione che l'aspettativa che il “ma” nella clausola intermedia suscita non è soddisfatta. La frase: “ma a causa di falsi fratelli”, sarebbe stata possibile solo se l'apostolo intendesse parlare di un cedimento momentaneo; quanto all'ulteriore ragione, che egli agì come fece solo per preservare il vangelo ai gentili, questa ragione non può forse rimanere a suo piacimento anche se egli cedette in questo singolo caso? Non poteva forse sperare di salvare in generale il principio della libertà con un cedimento momentaneo, non poteva forse credere che con la pacificazione della disputa in questo singolo caso avrebbe avuto mano libera per tutti gli altri casi? E quando subito dopo, al versetto 6, continua: “Ma da quelli che sembrano essere qualcosa, quello che fossero una volta, a me non importa”, e quando poi mostra come gli apostoli pilastri dovettero riconoscere la sua autorità come apostolo dei gentili e come a un certo punto si oppose a Pietro, non sembra che questo passaggio serva proprio a prevenire le conseguenze dannose che potrebbero derivare da un cedimento momentaneo

Che la negazione cada! L'apostolo ha ceduto in un solo caso! Ma ha ceduto per l'intrusione di falsi fratelli? A causa di falsi che minacciavano la sua libertà — una libertà che non apparteneva solo a lui e che avrebbe dovuto difendere con tutte le sue forze? Invece di combattere, si è umiliato davanti a guardiani malintenzionati, mentre per il resto ha custodito gelosamente la sua indipendenza, ostentandola persino nel precedente racconto del suo viaggio, affermandola di fronte agli apostoli originari e persino dimostrandola brillantemente nel conflitto con Pietro? 

Ebbene, che la negazione rimanga! Sì, anche il ritrattamento, provocato dai falsi fratelli nella frase intermedia con il perentorio “ma”, trova la sua ragion d'essere! Entrambi allo stesso tempo! Tito non è stato costretto a farsi circoncidere, ma io l'ho fatto circoncidere per via dei falsi fratelli, anche se non ho ceduto per un momento in completa obbedienza (anzi, non ho riconosciuto ammesso la necessità generale della circoncisione per tutti i cristiani gentili). 

Ma allora avrebbe fatto proprio quello che nega espressamente; avrebbe ceduto per un momento, [17] avrebbe abbandonato il suo principio, e non avrebbe nemmeno scritto ai Galati della cosa principale, cioè che in tutto questo aveva difeso e affermato la libertà generale dei cristiani gentili. L'accento artificiale su “costretto” e “obbedienza” non poteva sostituire questa garanzia, che certamente non doveva mancare. 

La frase non diventerà mai chiara perché l'autore si sentiva incerto, non osava portare a termine le svolte che stava preparando (nel suo timore non gli fu permesso nemmeno di dare il suo verbo alla frase intermedia sui falsi fratelli) — e perché non sapeva alla fine se avrebbe dovuto permettere che la circoncisione di Tito diventasse una realtà oppure come avrebbe dovuto assicurare la libertà dell'apostolo. 

La frase è una mostruosità perché l'inventore si è confuso nelle sue varie intenzioni e tendenze e non ha saputo trovare una via d'uscita dal labirinto delle sue difficoltà che ha creato. È molto probabile che abbia scritto la negazione alla fine della frase, ma, pressato dai presupposti che ha posto all'inizio, non è stato in grado di assicurare l'indipendenza dell'apostolo in modo chiaro ed esplicativo e di descrivere come ha preservato la sua libertà e quella dei gentili in questo scontro poco chiaro e confuso. 

Lo scontro era problematico fin dall'inizio, tanto da rendere impossibile una risoluzione pura e articolata. Solo l'intrusione di falsi fratelli, che si erano infiltrati per spiare la libertà di Paolo, avrebbe dovuto provocare lo scontro? Che assurdità! Le successive trattative tra Paolo e gli apostoli pilastri si basavano sul presupposto che a Gerusalemme fosse tutto sotto la circoncisione e che il vangelo della circoncisione prevalesse! 

Quei falsi fratelli erano entrati di nascosto? Volevano forse spiare la libertà di Paolo? Qui, nella Gerusalemme giudeo-cristiana, dove le differenze erano aperte e chiare non appena Paolo si era avvicinato agli apostoli originari? Doveva essere necessaria un'ostilità segreta, una malizia in agguato, per nascondersi dietro la libertà di Paolo? Proprio qui, dove l'Apostolo dei gentili e la sua libertà si opponevano apertamente a un punto di vista decisamente opposto

Impossibile! L'autore stesso ha confutato il presupposto che ha dato origine alla mostruosità della sua frase confusa, ponendo così fine meritatamente ad essa.

Incapace di esprimersi, l'autore dimentica sé stesso a tal punto da far parlare l'apostolo con irritante disprezzo degli apostoli originari proprio nel momento in cui espone il trattato di neutralità che aveva concluso con gli apostoli originari con una stretta di mano. L'occasione per un'allusione così irrituale alla presunta insignificanza degli apostoli originari era così innaturale, l'autore stesso aveva un'idea così poco chiara della loro posizione storica, che si sente indotto a tenere in sospeso accuratamente la sua narrazione. Per esempio, dice (versetto 6): “Ma da quelli che sembrano essere qualcosa”, [18] lascia imprecisato se essi stessi si credessero qualcosa oppure, come nel versetto 9, dove sono considerati da altri come pilastri, se fossero considerati da altri di particolare importanza. Continua: “quello che erano una volta”, lascia indeterminato ciò che erano in definitiva e di fatto. Ma lasciamo a lui la sua deliberata vaghezza e la sua incertezza e prendiamo invece il suo involontario dettaglio “erano una volta” come una testimonianza traditrice della sua posizione tardiva, in cui egli, senza rendersene conto, ha collocato l'apostolo e in cui ora lo fa parlare dei tre apostoli pilastri, Pietro, Giacomo e Giovanni, come di uomini che hanno cessato di vivere da tempo. Prendiamo anche il modo in cui all'inizio (versetto 2), prima che seguano le definizioni più dettagliate (versetti 6 e 9), designa gli apostoli originali con una parola chiave dimenticata come “i più influenti”, “quelli che erano più reputati”, [19] come prova dell'ulteriore fatto che si lega a una espressione data e presume che la semplice espressione renda il tutto comprensibile ai suoi lettori. Egli ha in mente il passo della seconda lettera ai Corinzi, dove l'autore della stessa lettera chiama gli apostoli originari “i super-apostoli”, [20] riprende l'espressione data all'inizio (versetto 2), è più specifico nel versetto 6 e infine osa continuare la designazione irriverente degli apostoli originari a modo suo nel versetto 9. 

Per quanto riguarda la questione in sé, la divisione del territorio tra Paolo e gli apostoli-pilastri, l'idea che i gentili spettino al primo e gli ebrei ai secondi è troppo generica, e sarebbe stato addirittura puramente impossibile per il primo rivolgersi solo ai gentili e lasciare a loro gli ebrei. L'autore si perde in una separazione altrettanto generica di quella del compositore degli Atti, solo che separa l'apostolo dei gentili dal contatto con gli ebrei, mentre quest'ultimo lo invia ai gentili solo quando ha offerto invano il suo Vangelo agli ebrei. L'espediente dell'autore di Galati fallisce per il fatto storico che gli ebrei e i loro proseliti in Asia Minore, in Grecia, a Roma furono fin dall'inizio un elemento essenziale della comunità e questa originaria mescolanza di elementi ebraici e pagani — (più tardi, quando le opinioni dei documenti neotestamentari sulla genesi del cristianesimo saranno state pienamente criticate, potremo arrivare a un resoconto del fermento che nacque dalla compenetrazione di questi due elementi e portò alla formazione della visione cristiana) — questo processo chimico, che ha messo in tensione entrambi gli elementi e ha prodotto dalla loro fusione una nuova forma di coscienza storica, confuta al tempo stesso l'espediente degli Atti degli Apostoli.

Il presunto Paolo si trova finalmente ad Antiochia e resiste a Pietro (versetto 11) quando vi è appena arrivato, faccia a faccia, “perché era nel torto”. Quindi “perché”? [21] Solo perché altri si sono offesi per la sua ipocrisia e l'hanno condannata in quanto sbagliata, egli lo ha affrontato apertamente? Non l'avrebbe fatto se gli altri non avessero proceduto con questo duro giudizio? Questa parentesi giustificativa è quindi un'aggiunta disturbante e passeggera rispetto all'insieme — è un'assurdità, poiché l'ipocrisia di Pietro era un fatto evidente e chiaro sotto gli occhi di tutti. 

Il racconto dell'autore è vago anche nell'indicazione del motivo che (versetto 12) ha indotto l'apostolo ebreo, che inizialmente coltivava ogni comunione con i gentili ad Antiochia, a ritirarsi timorosamente — erano venuti “alcuni da parte di Giacomo” — l'autore non osa stabilire se emissari ufficiali oppure solo persone del suo ambiente. 

“Il resto dei giudei”, che (versetto 13) erano stati fino ad allora nelle vicinanze di Pietro, “fingevano assieme a lui” — quindi fingeva? Gli ebrei erano ipocriti quando rinnegavano le loro migliori convinzioni per paura di alcuni da parte di Giacomo?  I suoi principi, i loro principi erano assolutamente liberi — la libertà era la loro essenza e solo la paura di Giacomo li ha fatti vacillare per un momento? Impossibile! Pietro era appena stato in sintonia con Gerusalemme e aveva concluso il trattato di divisione, che rimandava Paolo da solo e a suo rischio e pericolo ai gentili e riservava gli ebrei agli apostoli pilastri — Paolo aveva appena affrontato Gerusalemme da solo, la sua libertà era stata finora un suo privilegio personale — Pietro era in sintonia con Gerusalemme e qui, nella città santa era tutto non libero, prevaleva la visione settaria, non si voleva avere nulla a che fare personalmente con i gentili — allora da dove viene improvvisamente la libertà di Pietro e la sua differenza da Giacomo e Gerusalemme? L'autore non può dirlo; egli ha introdotto in modo errato e infelice lo scontro che deve dare all'apostolo dei gentili l'occasione per una discussione del suo principio. 

L'infelice errore rende l'autore così confuso che dimentica persino il punto di partenza successivo, quando forma l'inizio del discorso di Paolo: — “Se tu”, grida l'apostolo dei gentili all'apostolo della circoncisione, versetto 14, “se tu, che sei giudeo, vivi come i gentili e non alla maniera dei giudei, come puoi costringere i gentili a vivere alla maniera dei giudei?”. Ma Pietro vive alla maniera pagana? Non dipende forse da Gerusalemme, da Giacomo? Quale è stata l'offesa di Pietro? Voleva forse costringere i gentili a vivere alla maniera ebraica? Non si trattava piuttosto di lui? Della sua incostanza? Della sua condotta personale, che rinnegava le sue migliori convinzioni per il proprio interesse? E se il suo esempio ebbe conseguenze per gli altri, non fu forse solo per gli ebrei che, trascinati dal suo esempio, dimenticarono la loro libertà per sé stessi e non pensarono di sottomettere i gentili al giudaismo? 

L'autore ha dimenticato tutti i presupposti che ha formato finora, persino la situazione in cui ha appena collocato Pietro, l'apostolo degli ebrei, e lo ha collocato solo alla fine per far emergere il rimprovero, il discorso e l'argomento di Paolo, quando ha elaborato questo rimprovero. La persona e il comportamento di Pietro sono stati per lui solo un mezzo per introdurre l'argomento dogmatico dell'apostolo dei gentili, e non appena quest'ultimo parla, cioè non appena l'autore arriva all'argomento previsto, all'argomento della libertà cristiana, ha perso di vista le proprie premesse, faticosamente formate, e persino la situazione che ha consentito di parlare all'apostolo dei gentili. Una volta che l'apostolo dei gentili è arrivato a parlare del suo argomento, l'autore non presta attenzione al fatto che la lunga e assolutamente generalizzata argomentazione dogmatica in cui si addentra non può più essere considerata un rimprovero a Pietro, e infine dimentica persino di aver dato finora un resoconto storico. Non gli viene in mente di indicare un punto in cui il racconto storico passa all'argomentazione puramente dogmatica, e alla fine non si rende conto che dovrebbe almeno indicare dove finisce il discorso di Paolo contro Pietro. 

Possiamo tutt'al più osservare che il rimprovero di Pietro deve almeno o al massimo — entrambe le cose coincidono, data l'indifferenza dell'esposizione successiva alla circostanza presupposta — arrivare fino al versetto 21 o può arrivare solo fino a questo punto, e che con il rimprovero: “O folli Galati” in 3:1 inizia l'istruzione dei cristiani apostati della Galazia, — ma con ciò non si può fornire a questa argomentazione ciò che le manca, il riferimento a Pietro, essa rimane ciò che è: un riassunto dogmatico generale, per di più molto astratto e poco utile, della dialettica della lettera ai Romani e del tema faticosamente cucito insieme della discussione successiva. 

NOTE

[13] Galati 1:20. ἃ δὲ γράφω ὑμῖν, ἰδοὺ ἐνώπιον τοῦ θεοῦ, ὅτι οὐ ψεύδομαι.

Romani 9:1. ἀλήθειαν λέγω ἐν Χριστῷ, οὐ ψεύδομαι. Inoltre: 2 Corinzi 11:31. 

[14] 2:2. ἀνεθέμην αὐτοῖς τὸ εὐαγγέλιον … κατ᾽ ἰδίαν δὲ τοῖς δοκοῦσιν. 

[15] Versetto 4. διὰ δὲ τοὺς ..... 

[16] οἷς οὐδὲ πρὸς ὥραν ..... 

[17] πρὸς ὥραν. 

[18] ἀπὸ δὲ τῶν δοκούντων εἶναί τι, ὁποῖοί ποτε ἦσαν. 

[19] δοκοῦντες.

[20] 2 Corinzi 11:5. οἱ ὑπερλίαν ἀπόστολοι, “i super-apostoli”

[21] ὅτι.

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