giovedì 5 ottobre 2023

Il primo «piccolo veicolo» della propaganda cristiana

 (segue da qui)

CAPO SETTIMO

I VANGELI


XXVII. — LA DIASPORA

§ 90) Il primo «piccolo veicolo» della propaganda cristiana. — Giuda Galileo era stato il grande assertore, e Paolo di Tarso il grande elaboratore della nuova idea messianica, diventata più tardi idea cristiana; ma né Giuda Galileo, né il battagliero Paolo avrebbero potuto ottenere quel grande movimento ideologico che fu ed è il cristianesimo, se altri fattori non avessero concorso, e se un'infinità di circostanze favorevoli non avessero cooperato. [1] Poiché non basta concepire ed elaborare un'idea perché si possa ottenerne una credenza religiosa universale; non basta neppure che il mondo sia spiritualmente preparato a riceverla; ma è anche necessario poter propagare per il mondo l'idea stessa, e tale propagazione non è facile né agevole, se non esiste un organo, che serva da veicolo di propaganda. Questo organo l'ebbe il primitivo galileismo nella diaspora giudaica

Fu la diaspora infatti il piccolo veicolo di propagazione, a mezzo del quale l'idea messianica di Giuda venne a contatto col mondo romano, ivi propagandosi, ed ivi elaborando lentamente la propria tradizione scritta. Più tardi, allorquando, con Costantino, l'idea, diventata cristiana, potrà predominare sull'idea romana, sarà il romanesimo a mettersi al servizio della nuova mistica, e sarà il romanesimo da allora a servire, quale veicolo di propaganda, un'idea originariamente giudaica. Il romanesimo infatti darà luogo da allora ad una complessa e più ricca tradizione orale, che costituirà il Grande Veicolo della nuova fede. Ma qui è utile un richiamo al processo di sviluppo del pensiero buddhista, per l'analogia che lo stesso presenta col processo di sviluppo del pensiero cristiano.

Come è noto, anche nel buddhismo i primi gruppi di aderenti si attennero, dopo la morte del Maestro, a quella ch'era stata creduta la predicazione originaria di lui, secondo l'interpretazione dei primi discepoli. I primi gruppi di aderenti formarono pertanto delle piccole comunità, che, pur andando di mano in mano aumentando per l'accorrervi di nuovi adepti, non avrebbero potuto dar luogo a grandi agglomerati, stante i principi rigidi della regola originaria. Più tardi però, e colle successive generazioni, alcuni capi, comprendendo che la comunità si sarebbe isterilita se l'idea non si fosse resa accessibile alle masse, allargarono le maglie della regola, e, pur conservando intatte, per piccoli gruppi di monaci, le originarie norme scritte (che avrebbero dovuto permettere ai loro più rigidi osservatori di raggiungere il Nirvana, ossia la salvezza, durante la fase in atto del loro ciclo di esistenza) ammisero altre regole meno rigide, mediante le quali si sarebbe potuto raggiungere il Nirvana dopo più cicli di esistenze. In tal mondo anche le collettività laiche potevano partecipare alla nuova mistica. 

Questa seconda regola più ampia (analoga alla tradizione orale del cristianesimo) che permise la trasformazione in senso più estensivo dell'originaria idea attribuita a Buddha, venne chiamata, dagli storici e trattatisti, il «grande veicolo» (mahajana) di propagazione della fede buddhista; mentre la prima regola più rigida, o tradizione scritta, facente capo ad Ananda ed ai primi discepoli, venne chiamata il «piccolo veicolo» (hinajana) della fede medesima. [2] Analogamente può argomentarsi del Cristianesimo. Per esso Giacomo prima, e la tradizione scritta dopo, sintetizzarono il piccolo veicolo, integrato dalla diaspora giudaica; mentre Paolo prima, e la tradizione orale dopo, integrata dal romanesimo, sintetizzarono il grande veicolo.

A questo punto però, poiché la diaspora giudaica fu il primo organo, e veicolo vero e proprio, che portò la concezione galilea dalla Palestina alle province romane, è necessario illustrarne meglio il concetto.

«Diaspora» è voce greca, che vuol dire «dispersione». Essa rappresenta un fenomeno, che è analogo, sotto certi aspetti, al fuoruscitismo politico-religioso dell'epoca moderna. Implica essa infatti l'emigrazione involontaria fuori di Palestina dei figli d'Israele, e ad un tempo l'unione ideale degli emigrati colla madre-patria, unione mantenutasi sempre, grazie alla medesima fede ed alle medesime abitudini. 

Da epoca immemorabile una parte del popolo ebraico era stata costretta a vivere lontano dalla propria terra: qualche volta trasportatavi captiva per vicende guerresche, ma il più delle volte costretta ad emigrare per fuggire reazioni politiche, od anche per cercare migliore fortuna. Fino all'epoca di promulgazione del Pentateuco però (375 circa a. E.V.), non risulta che le colonie giudaiche uscite di Palestina si fossero mantenute fedeli alla terra dei padri; perché, come accadde per le dieci tribù settentrionali dopo la prima caduta del regno di Israele (721 a. E.V.), esse si erano fuse coi popoli presso i quali erano andate a vivere. Dopo la pubblicazione del Pentateuco però, ed in grazia degli usi dallo stesso rigidamente sanciti, gli Ebrei, dovendo, per la loro legge, vivere tra di loro, evitando la compagnia degli incirconcisi, non poterono più assimilarsi cogli stranieri, in mezzo ai quali vennero ad abitare. Pertanto vissero sempre appartati, in comunità proprie, mantenendo il contatto tra di loro e colla patria d'origine.

Il fenomeno della diaspora ebbe particolare sviluppo proprio nel periodo del quale stiamo scrivendo. Giacché in questo periodo, frequenti essendo i moti messianici in Palestina, frequenti erano le reazioni violente dell'autorità costituita, e frequenti pertanto le necessità, negli indiziati, di emigrare, per sottrarsi alle reazioni stesse. Da ciò il continuo affluire, nelle comunità giudaiche dell'oriente greco, di sempre nuovi elementi. Infatti, dall'anno 7 E. V. in poi, dopo la prima reazione succeduta alla morte di Giuda Galileo, molti erano stati i galileo-zeloti emigrati nella Frigia, a Cipro, ad Alessandria, e specialmente nella più vicina Antiochia. E proprio in tali località avevano essi costituito le prime cellule galilee, nell'ambito delle comunità giudaiche preesistenti. In seguito, ai primi gruppi di fuorusciti se ne aggiunsero altri, costretti a fuggire le ulteriori reazioni dell'anno 30 e seguenti, cosicché alla fine, avendo le comunità galilee raggiunto una certa importanza in seno al vecchio elemento giudaico, in molte comunità si cominciò a commemorare Giuda Galileo, accanto ai personaggi biblici più noti.

Va rilevato adesso che l'accorrere continuo, nelle comunità galilee della diaspora, di ulteriori elementi, ad ogni nuova reazione che in patria avesse avuto luogo, faceva sì che, giungendo i nuovi emigrati, portassero notizie sempre nuove. Tali notizie erano attese con trepidazione dai più vecchi esuli. Ed era ovvio che le stesse, per il calore con cui venivano spesso presentate, acquistassero nell'immaginazione degli ascoltatori un sapore di leggenda.

Peraltro non può meravigliare che, giungendo i nuovi emigrati dalla patria comune, e riunendosi alla sera coi gruppi preesistenti, sia nella Sinagoga, sia più frequentemente nell'abitazione di qualche anziano (presbìtero), la parola di essi fosse ascoltata con commozione. Né può sorprendere se, per quel fenomeno suggestivo da cui si fa spesso cogliere il narratore quando si vede troppo ascoltato, presso qualcuno di essi i racconti avessero subìto colorazioni intense. Era quindi naturale che, maggiorate tali colorazioni quando il racconto del primo veniva riportato da un secondo, da un terzo, o da un quarto, dovessero da ultimo dar luogo ad una feconda e sempre rinnovantesi fonte di edificazione, della quale era stata esempio luminoso, nel più lontano Oriente, la multiforme tradizione buddhista.

In simile ambiente, la verità non poteva non venire a poco a poco alterata fino a diventare mito. E proprio in un simile ambiente — nel quale convergevano e venivano elaborate tutte le informazioni, più o meno incontrollate, provenienti dai luoghi dove aveva predicato il «Maestro» — ebbe a formarsi la multiforme tradizione cristiana, più tardi raccolta, elaborata e messa per iscritto. E poiché molti commercianti ebrei si trasferivano spesso, per ragioni del loro traffico, da un luogo all'altro, peregrinando per tutte le località della diaspora, era naturale che, portando essi seco le loro mercanzie, portassero anche, e propagassero, le tradizioni e le leggende, apprese nelle comunità visitate. La diaspora quindi non soltanto raccolse ed elaborò la prima tradizione; ma la divulgò anche in tutto il mondo greco prima, ed in tutto il mondo latino poi. 

NOTE

[1] Harnack ha intuito l'esistenza degli altri fattori, che dal primitivo galileismo giudaico hanno portato l'idea cristiana al cattolicesimo d'Origene e d'Agostino; ma li ha individuati, con termine molto generico, nello Spirito ellenico. Egli difatti così scrive (Storia del Dogma, vol. I; II, 6): «Chi volesse tentare di dedurre la genesi del sistema dottrinario della Chiesa dalla teologia di S. Paolo, oppure dal compromesso tra le varie dottrine d'origine apostolica, fallirebbe. Giacché non potrebbe riconoscere che la maggior parte delle premesse della dottrina cattolica di fede, possiede un elemento, impossibilitato a rappresentare l'elemento del nuovo testamento. È questo «lo spirito ellenico».

Senonché individuare genericamente nello Spirito ellenico quel terzo elemento che, insieme alla teologia di Paolo e la compromesso tra le varie idee dottrinali d'origine apostolica, avrebbe dato luogo al cattolicesimo del IV secolo, non è un precisare sufficientemente. Dire lo Spirito ellenico è come dire l'universalismo greco; ma poiché tutti gli elementi della conoscenza erano compresi nell'universalismo greco, non è una spiegazione sufficiente richiamarsi ad un fattore così vasto, occorrendo piuttosto individuare l'elemento o gli elementi singoli che abbiano, direttamente o indirettamente cooperato alla formazione del sistema dottrinale della Chiesa. Semmai l'universalismo greco (che, data l'epoca di cui trattasi, meglio dovrebbe chiamarsi universalismo romano), ha potuto creare ed ha creato il concetto universalistico della nuova concezione religiosa; ma prima che tale concetto avesse potuto essere formato, molti altri elementi dovevano aver cooperato alla perfezione dell'idea, in modo da renderla accetta al popolo romano.

[2] Per il piccolo veicolo cfr. le principali opere sul Buddha tra cui Oldenberg, Buddha, trad. it., ed. Dall'Oglio, 1954; P. Oltremare, La formule buddhique des douze causes, ecc., Génève 1919; specialmente De Lorenzo, I discorsi di Gothamo Buddha, tradotti dal Neumann in collaborazione col De Lorenzo, Bari, 1921. Sul grande veicolo cfr. i testi riuniti in Mahayand Textes, traduzione Cowell, Max Müller e Takakus, S.B.E., XLIX. Vedi anche Turchi, op. cit., pp. 310-316 e la bibliografia dallo stesso richiamata. 

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