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§ 71) L'ultimo preteso viaggio di Paolo a Gerusalemme. — Gli scrittori ecclesiastici, nonché alcuni scrittori aconfessionali compreso Renan, hanno fissato al 58 E.V. la lettera di Paolo ai Romani, perché l'hanno messa in rapporto con questo ultimo preteso viaggio. Poiché difatti questo affermato terzo viaggio risulterebbe essere stato compiuto sotto il procuratorato di Felice, non potrebbe esso fissarsi che all'anno 59-60. In conseguenza, al 58 dovrebbe fissarsi la lettera ai Romani, che appare scritta in previsione di quel viaggio. Senonché i calcoli sono sbagliati.
Abbiamo già precisato il perché la lettera di Paolo ai Romani deve fissarsi ad epoca anteriore all'editto di Claudio. Dimostreremo adesso che un viaggio di Paolo a Gerusalemme ai tempi del procuratore Felice non ebbe mai luogo.
a) Rileviamo anzitutto che il riferimento contenuto in Atti al progettato viaggio di Paolo a Roma, dopo il suo ritorno da Gerusalemme, mette in relazione il viaggio stesso a Gerusalemme colla lettera ai Romani, [1] nella quale appunto di tale viaggio si era parlato. Parrebbe anzi che il compilatore di Atti si fosse ispirato qui appunto alla Lettera ai Romani. Va tenuto presente però che il viaggio a Gerusalemme, del quale Paolo scriveva nella sua lettera ai «Giudei di Roma», aveva per iscopo di portare le sovvenzioni ai poveri di Giudea, come appare evidente dal Capo XV, 25-28 della lettera stessa, e come si trova confermato dalla 1° e 2° ai Corinti. [2] Ma di viaggi simili noi non conosciamo che quello del 46, del quale si parla in Atti al Capo XI, 29-30.
Del resto che il viaggio riportato in Atti al Capo XXI, 15 e segg. sia proprio quello fatto nel 46 per portare le offerte a Gerusalemme e di cui al Capo XI, 29-30, appare esplicitamente ammesso dal Capo XXIV, versetto 17° di Atti, dove, riportandosi un discorso di Paolo, è detto appunto che quel viaggio era stato fatto per portare «le limosine e le offerte» alla nazione giudaica.
b) Che il preteso viaggio di Paolo di cui in Atti, XXI e segg., sia il medesimo accennato in Atti, XI, 29-30, appare da un altro particolare. L'episodio del profeta Agabo (Atti, XXI, 10), il quale si mostra a Paolo prima che esso inizi l'ultimo preteso viaggio, è lo stesso episodio del profeta Agabo, che già si era visto in Atti al Capo XI, 28, quando appunto Paolo si apprestava al viaggio del 46. Ora non è dubbio che l'Agabo di che al Capo XXI, 10, sia lo stesso Agabo di che al Capo XI, 28, anche se l'episodio è nei due passi diversamente presentato. Ma se identico è il personaggio, identico deve ritenersi anche l'episodio, identico quindi il viaggio, del quale si parla nei due passi.
c) A parte le suddette argomentazioni, sta di fatto che i particolari riferiti da Atti, in occasione di questo affermato ultimo viaggio, escludono — ed in modo reciso — l'esistenza del viaggio stesso.
Giacché in quest'ultimo viaggio, si racconta che Paolo, essendo stato arrestato a Gerusalemme, sarebbe stato condotto davanti al Sommo Pontefice Anna, e da Anna sarebbe stato quindi mandato al procuratore romano Felice (che fu governatore dal 52 al 60 E.V.). Aggiungono anzi gli Atti che Paolo sarebbe stato tenuto da Felice due anni in prigione, finché, succeduto nel procuratorato Porzio Festo, questi lo avrebbe inviato a Roma. Per ritenere quindi attendibile storicamente il racconto, occorrerebbe che un sommo sacerdote Anna avesse pontificato durante il procuratorato di Felice, e precisamente negli ultimi due anni dal 58 al 60. Senonché due pontefici conosciamo oggi di questo nome: il vecchio Anna cioè, che ha pontificato nel periodo in cui fu condannato Giuda Galileo, ed il figlio di lui, pure a nome Anna, che tenne il pontificato per pochi messi nell'anno 63, dopo la morte di Festo. Perché se invece di Anna si vuole leggere Anania, la questione non muta, poiché un pontefice di questo nome, che aveva tenuto il sommo Sacerdozio ai tempi di Cumano, fu destituito e posto in catene da Ummidio Quadrato proprio durante il procuratorato di Cumano (anno 50 E.V.). Non è quindi possibile che Paolo sia comparso davanti ad Anna, o davanti ad Anania, e poco dopo davanti a Felice, [3] perché nessun pontefice di nome Anna o Anania è esistito durante il governatorato di Felice.
Da Giuseppe Flavio difatti sappiamo che i pontefici in carica durante il procuratorato di Felice furono due, e cioè: prima Gionata, il quale era stato lo stesso che aveva fatto nominare Felice a procuratore di Giudea, e quindi Ismaele, che tenne la carica anche per tutto il tempo in cui governò Festo. Più tardi, essendo stato Ismaele, a seguito di una ambasceria, trattenuto a Roma, fu nominato in suo luogo Giuseppe che tenne la carica fin dopo la morte di Felice. Solo successivamente a Festo, allorquando venne nominato procuratore Albino, Agrippa II destituì Giuseppe e nominò pontefice Anna il giovane, durato in carica pochi mesi. Ai tempi di Felice quindi era stato sommo Pontefice prima Gionata, e quindi Ismaele, non già Anna od Anania. [4]
d) Ma un piccolo particolare ci rivela che il processo di Paolo davanti ad Anna, non è che una ripetizione del processo di Gesù davanti allo stesso Anna, o meglio: una rielaborazione della medesima leggenda del Gesù, fatta ad opera degli entusiasti di Paolo, ed attribuita quindi a Paolo. Difatti si rivela dagli Atti che Paolo, portato per essere giudicato davanti al Sinedrio presieduto da Anna, risponde arrogantemente davanti allo stesso Anna, provocando la reazione del pubblico, che rimproverando osserva: «Ingiuri così il Sommo Sacerdote?». Allo stesso modo, quando Gesù aveva risposto arrogantemente allo stesso Anna, un sergente aveva reagito esclamando: «Rispondi così al Sommo Sacerdote?». [5] E tanto là quanto qua c'è il colpo di bacchetta all'imputato, per mettere in relazione quella condanna colla famosa profezia di Michea. [6]
Quest'ultima parte degli Atti aveva rappresentato quindi in origine uno dei Vangeli di Paolo, colla rielaborazione del suo viaggio a Gerusalemme, conformemente al viaggio che a Gerusalemme aveva fatto Gesù, e pertanto intercalandovi gli episodi, relativi al processo dello stesso Gesù. Né è fuori luogo ricordare l'ambiente arroventato della diaspora, in quegli anni di attesa messianica. Giacché non saranno stati pochi gli zelanti, i quali, avviliti per la inattuazione del messianismo terreno impersonato dal Maestro Galileo, abbiano visto in Paolo il Messia Celeste, la cui figura proprio allora Paolo si sforzava di costruire, adattandola al Messia Galileo. Difatti non soltanto Paolo fu opposto dai propri fedeli a Pietro; ma da taluni fanatici fu opposto allo stesso Gesù. Da ciò i molti «Vangeli di Paolo», che sappiamo aver circolato a suo tempo per le mani dei messianici giudei e greci, insieme ai molti «Vangeli di Pietro», ed ai moltissimi «Vangeli del Gesù».
e) In conclusione non può dubitarsi che gli Atti rappresentino la fusione di più componimenti distinti (oltre a qualche interpolazione), il primo dei quali, più lungo di tutti, portava per titolo originario «Atti degli Apostoli», e proveniva dalla fazione giudeo-cristiana, che tendeva a valorizzare l'opera dell'apostolo Pietro; mentre gli altri, più tardi aggiunti al primo, non erano che singole e frammentarie versioni di viaggi di Paolo, e provenivano dalla fazione cristiano-Paolista.
Difatti, degli opuscoli paolini ricuciti colla prima parte degli «Atti», il primo, dopo aver narrato sommariamente le circostanze relative alla prima predicazione di Paolo, narra distesamente il viaggio di lui a Gerusalemme, ed il concilio susseguito. Tale opuscolo ha inizio col Capo XIII, ed ha fine col Capo XV, 41, mettendo in rilievo che Paolo, ritornato da Gerusalemme, dopo essere stato ad Antiochia «andò attorno per la Siria e la Cilicia confermando le chiese». Col Capo XVI comincia il secondo opuscolo dei medesimi «Fatti di Paolo», opuscolo che racconta anch'esso il viaggio a Gerusalemme, e finisce al versetto 23 del Capo XVIII, anche qui mettendo in rilievo che Paolo, di ritorno da Gerusalemme, dopo essere stato ad Antiochia, andò attorno per la Galizia e la Frigia confermando tutti i discepoli.
Ricomincia, col versetto 24 del Capo XVIII, un terzo opuscolo sui «Fatti di Paolo», che questa volta si dilunga sopra un limitato periodo della predicazione dell'apostolo, posteriormente al suo secondo viaggio a Gerusalemme, fino al versetto 20 del Capo XIX. Col versetto 21, posto a sutura, è ancora un quarto opuscolo che comincia, fino a tutto il capo XX, dopo di che comincia il quinto ed ultimo opuscolo dei fatti di Paolo («Vangelo di Paolo»), che ripresenta nuovamente, con molti particolari questa volta e con l'aggiunta di leggende estranee ai fatti di Paolo, il secondo viaggio di esso a Gerusalemme.
Da quanto sopra si trae la conferma che i viaggi di Paolo a Gerusalemme non sono stati che due, quali li accenna la prima parte degli Atti, e quali li conferma, senza tema di equivoci, l'Epistola ai Galati. Pertanto, di tutto il libretto degli Atti, noi possiamo riconoscere una certa attendibilità, pari a quella riconosciuta ai Vangeli, solo alla prima parte, e cioè ai primi dodici Capi (l'ultimo fino al versetto 4), nei quali vengono narrati, succintamente e non senza qualche interpolazione, i «Fatti degli Apostoli», o meglio i «Fatti di Pietro», fino all'anno 48 E.V. La parte successiva invece può servire solo per integrare la prima parte e per illustrare — epurata dalle leggende estranee — l'opera di Paolo.
NOTE
[1] Cfr. Atti, XIX, 21 con Romani, XV, 25-28. In verità, a chi legga senza preconcetti l'epistolario di S. Paolo, parrà impossibile che possano sorgere le questioni multiple e complesse, createsi intorno a quelle poche lettere. L'ordine nel quale quelle sono state raccolte corrisponde effettivamente all'ordine cronologico col quale erano state spedite (quanto meno in linea di massima), mentre da un'analisi sufficientemente profonda, si rileva che solo la lettera ai Romani è precedente al concilio di Gerusalemme; le altre sono posteriori, e quasi tutte riguardano il periodo che potremmo dire «della confermazione delle Chiese». Controversie sulle stesse non dovrebbero nascerne. Senonché gli ecclesiastici, avendo voluto dare importanza maggiore al libretto degli «Atti», han cercato di adattare le lettere di Paolo agli Atti, mentre avrebbero dovuto adattare gli Atti alle lettere di Paolo.
[2] Il Loisy (Origini del Cristianesimo, trad. it., Torino, 1942, p. 10) ritiene che la lettera ai Romani sia stata scritta da Paolo «un po' prima di lasciare Corinto per recarsi a portare a Gerusalemme la colletta della sua comunità»; ma ciò malgrado accetta la data del 56, senza rendersi conto che di viaggi per portare le elemosine Paolo ne fece uno solo: quello cioè seguito alla carestia del 45. Del resto è bene tener presente che Loisy è stato Maestro nella critica: nella distruzione cioè di quanto la fede aveva costruito; nei tentativi invece di ricostruzione è rimasto al «forse», al «probabile», al «verosimile» ecc.
[3] Atti, XXIII, 1 e segg.
[4] Questa circostanza appare molto chiara dallo storico Giuseppe, da cui apprendiamo che Gran Sacerdote in carica, prima che Felice venisse procuratore in Giudea, era stato Gionata, e che proprio Gionata aveva fatto nominare Felice procuratore. Scrive difatti così lo storico: «Felice di mal'occhio vedeva il pontefice Gionata, per gli avvertimenti che gli dava di amministrare meglio gli affari della Giudea, perché altrimenti egli stesso, che lo aveva chiesto a Cesare per procuratore, avrebbe dovuto sostenere le doglianze del popolo». Questo passo di Giuseppe esclude anche che il pontefice contemporaneo di Felice possa essere stato Anania, predecessore di Gionata (come a torto pretende Renan), li quale verosimilmente, pur essendo stato in seguito assolto da Claudio, al quale Ummidio Quadrato lo aveva inviato, non poteva riprendere la carica ufficiale, ch'era stata affidata frattanto a Gionata. Perché se poi si tiene presente che l'episodio di «Atti» avrebbe avuto luogo negli ultimi due anni del procuratorato di Felice, si deve ritenere che in tale epoca era già morto anche Gionata, e gli era già succeduto Ismaele. (V. Antichità, XX, VI, 2; VIII, 5; v. anche, a maggior conferma, le note 23, 32 e 45 al libro XX di Antichità, tradotto e illustrato dall'Abate Angiolini; ediz. Milano, 1822).
[5] Atti, XXIII, 4 in relazione a Giovanni, XVIII, 22.
[6] Michea, V, 1: «Il rettore d'Israele è stato percosso con una bacchetta sulla guancia».
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