giovedì 21 settembre 2023

Clemente Romano

 (segue da qui)

§ 74) Clemente Romano. — Oltre che ad Eusebio, gli scrittori ecclesiastici, per dimostrare la venuta in Roma di Pietro, si richiamano a Clemente Romano (Vedi SS. Patrum apostolicorum opera, S.E.I. 1952, pp. 29-157). 

In verità, se lo scritto di Clemente che possediamo (Epistola I ai Corinti) potesse attestare effettivamente l'apostolato di Pietro in Roma, come pretendono ancora oggi gli ecclesiastici meno severi, la cosa potrebbe dar da pensare, perché tale lettera è il documento più antico tra gli autentici che siano stati tramandati, all'infuori del canone neo-testamentario.

Il documento (molto prolisso) è indirizzato ai fedeli di Corinto, ribellatisi ai loro «Presbuteroi», allo scopo d'infondere in essi la disciplina e stabilire un principio di gerarchia, risalendo alla volontà del primo gerarca Gesù Cristo. Difatti così conclude Clemente al Capo 42: «Gli apostoli ricevettero il Vangelo da Gesù Cristo, e Gesù Cristo fu inviato da Dio: così Cristo è da Dio e gli apostoli sono da Cristo. Predicando dovunque nelle campagne e nelle città, gli apostoli scelsero i primi seguaci, meglio provati nello Spirito, per essere vescovi e diaconi di coloro che in seguito avrebbero creduto».

Come appare manifesto, è il principio della gerarchia che viene proclamato da Clemente, ed ognun vede che un accenno su questo punto a Pietro, preteso primo capo di tale gerarchia, non sarebbe stato fuori luogo. Ma di Pietro non parla Clemente a proposito di gerarchia, parla invece quando vuole portare esempi di mansuetudine a quei fedeli, che mostrandosi impazienti, si erano ribellati ai loro gerarchi. E come fanno anche oggi i predicatori, che per indurre alla sopportazione e alla pazienza i fedeli ricordano la sopportazione e la pazienza della quale i Vangeli affermano aver dato prova Gesù, allo stesso modo fa Clemente, citando anche la sopportazione e la pazienza della quale avevano dato prova gli apostoli Pietro e Paolo. Egli difatti così scrive al capo 5°: «Pietro, per iniqua invidia, non uno o due, ma moltissimi travagli sostenne, e di questa maniera avendo testificato andò al luogo della gloria ch'egli si meritò; Paolo per una eguale invidia sostenne il combattimento della pazienza, essendo che sette volte sia stato messo in catene e flagellato e lapidato».

Appare dunque manifesto che nessun accenno volle fare, né fece Clemente, alla venuta di Pietro in Roma. 

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