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XI. — LA DATA DI MORTE DEL MESSIA GESÙ
E LA QUESTIONE DI PILATO
§ 31) Il Simbolo niceno e la tradizione talmudica. — Senonché a proposito della «morte» gli oppositori insorgeranno numerosi. Essi eccepiranno che Gesù non può essere morto l'anno 6-7 E.V., essendo morto invece «sotto Ponzio Pilato», e pertanto verso l'anno 30 circa E.V. Ciò risulterebbe soprattutto dall'Atto ritenuto fondamentale dalla Chiesa Cristiana: il «simbolo» niceno.
Ed infatti, la Chiesa, nel proprio «simbolo», o «credo», imposto ormai a tutti i fedeli, ha consacrato, quale riconoscimento di fatto, che il Salvatore avrebbe sofferto, e sarebbe morto, proprio sotto Ponzio Pilato (passus sub Pontio Pilato). L'ostacolo quindi, agli accertamenti fin qui condotti, esiste. È necessario pertanto, prima di passare all'esame analitico della questione, presentare alcuni rilievi circa il «credo».
a) Sul simbolo niceno. — Va ricordato anzitutto che non esiste un unico «simbolo» della fede cristiana, escogitato — come un tempo si affermava — durante il primo concilio di Nicea del 325, e completato nel successivo concilio di Costantinopoli del 381. Giacché (come appare anche dagli atti del Concilio di Calcedonia) esistettero parecchi «simboli». Lo stesso «simbolo», detto «niceno-costantinopolitano», recitato dal sacerdote durante la celebrazione della Messa, se nelle linee generali coincide colla formula comune, usata dai fedeli nelle loro preghiere (e nella quale si parla di Pilato), non coincide affatto con quella nel particolare che ci interessa, perché non parla di Pilato.
A parte il «simbolo» recitato durante la Messa, sta di fatto soprattutto che i «credo» della religione cristiana furono molti. Giacché non solo i «concili»; ma anche i papi vollero spesso imporre dei «simboli» propri. Infatti lo studioso che voglia esaminarli tutti, può consultare la grande collezione di H. Hahn (Bibliothek der Symbole und Glaubensregeln der alten Kirche, 1842, III ed. di L. Hahn, Breslavia 1897), traendone la convinzione che ciascun «simbolo» non deriva affatto dall'altro, ma ebbe origine propria.
Quel che comunque importa rilevare, si è che la circostanza della «morte sotto Ponzio Pilato» è contenuta solo in talune formule tardive; ma non esiste nella formula-base. Infatti H. Lietzmann (Symbole der alten Kirche, Bonn 1914) ha voluto fare una sintesi dei molti «credo», togliendo le parti proprie di ciascuna formula, e raccogliendo insieme le parti comuni a tutte le formule. Ne risultò la seguente sintesi: «Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, fattore di tutte le cose, visibili ed invisibili, ed in un solo Signore, Gesù Cristo, Figlio di Dio unigenito. Il quale è stato generato dal padre prima di tutti i secoli; per il cui mezzo tutte le cose sono state fatte; il quale per la nostra salute si è fatto uomo, ha patito ed è risorto il terzo giorno, ed è asceso ai cieli e di nuovo ritornerà a giudicare i vivi ed i morti. E nello Spirito Santo».
Come appare manifesto, sulle circostanze fenomeniche relative alla vita ed alla morte del Salvatore (ed in concreto sulla circostanza della «morte sotto Ponzio Pilato») non ci fu mai una concordanza di vedute nei Padri della Chiesa. Gli stessi invece furono d'accordo soltanto sulle circostanze noumeniche, sulle quali la confutazione da parte degli avversari non sarebe stata fruttuosa. È inesatto quindi affermare che il «simbolo niceno» costituisca prova dell'avvenuta morte del Gesù sotto Ponzio Pilato. Conseguentemente è inesatto affermare che sulla circostanza di Pilato «la tradizione sarebbe stata sempre univoca».
Ma se il «simbolo», impropriamente chiamato niceno, non costituisce prova dell'avvenuta morte del Gesù sotto Ponzio Pilato, tuttavia una «questione di Pilato» esiste, ed essa costituisce — soltanto per la sua esistenza — un ostacolo non lieve alla accettazione delle conclusioni cui noi eravamo pervenuti. Necessita quindi esaminare detta «questione» in profondità, affinché dubbi od esitanze non possano rimanere. Prima però di entrare nel merito della «questione», non sarà inutile illustrare un altro argomento, estraneo bensì alla tradizione cristiana, ma dal quale deve escludersi che Gesù sia stato condannato dal Sinedrio di Gerusalemme ai tempi di Pilato, e precisamente negli anni 30-33 E.V.
b) Sul Talmud. — Un passo del Talmud (Sanhedrin gerosol. fo. 24 b) così si esprime a proposito del Sinedrio: «Quarant'anni prima della distruzione del tempio le sentenze sulla vita e sulla morte vennero tolte ad Israele». Stando a questo passo, non poteva il Sinedrio di Gerusalemme condannare a morte il Gesù negli anni 30-33 E.V. Giacché dall'anno 30 in poi il Sinedrio era rimasto privo di competenza per i delitti comportanti la pena capitale. Ma c'è di più. La tradizione evangelica non soltanto a proposito del Gesù, ma, molti anni dopo, a proposito di Stefano, afferma che il Sinedrio avrebbe pronunciato condanna capitale (Atti, VI-12; VII-59). Pertanto la condanna di Stefano deve aver avuto luogo indubbiamente prima dell'anno 30. E poiché l''inquadratura dei fatti, verificatisi tra la crocefissione del Gesù e la lapidazione di Stefano, richiede un intervallo di almeno dieci anni, occorrerà retrodatare almeno di dieci anni la morte del Gesù, la quale pertanto andrebbe fissata non dopo l'anno 19-20 E.V. Senonché Pilato fu procuratore di Giudea dall'anno 26 all'anno 36, deriva che l'episodio di Pilato non trova possibilità di collocamento nella tradizione relativa ai «Fatti del Gesù».
Per vero gli ecclesiastici avevano rilevato la contraddizione esistente tra il sopramenzionato passo del Talmud e l'interpretazione comunemente data alla tradizione evangelica. Essi però avevano ritenuto di poter superare tale contraddizione, negando valore storico al Talmud (cfr. G. Felten, Storia dei tempi del nuovo testamento, Torino 1944, Vol. II, p. 23, nota 50). Ma non è negando che si può confutare. Nel caso concreto poi non era necessario negare storicità al Talmud, essendo sufficiente che l'interpretazione cronologica ricavabile da alcune correnti della tradizione cristiana fosse resa aderente ai dati forniti dal Talmud, e rispondenti ad altre correnti della stessa tradizione cristiana.
Procureremo comunque di esaminare a fondo la questione di Pilato, per accertare se il passo relativo, contenuto nei Vangeli, debba proprio attribuirsi ai «Fatti del Gesù», o non vada attribuito invece ai «Fatti» di un altro personaggio, le cui vicende, venute poi, nei territori della diaspora greca, a far parte della tradizione messianica, siano state da ultimo confuse colle vicende del Gesù.
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