domenica 16 luglio 2023

Sul divieto fatto dal Maestro ai discepoli di riferire che egli fosse il «Messia-Gesù»

 (segue da qui)

§ 8) Sul divieto fatto dal Maestro ai discepoli di riferire che egli fosse il «Messia-Gesù» La Chiesa cristiana insegna che le parole «Gesù» e «Cristo» hanno per significato rispettivamente «Salvatore» e «Unto». Con ciò anche la Chiesa riconosce implicitamente che quelle voci rappresentarono attributi del Redentore Cristiano, non già nomi propri. Ciò per altro deve argomentarsi anche dai Vangeli.

Infatti riferiscono i Sinottici che allorquando i discepoli ebbero a dichiarare al Maestro, per la prima volta, che essi lo ritenevano il «Messia» vaticinato (ciò che sarebbe avvenuto poco prima dell'arresto), quegli fece loro divieto di dire ad alcuno ch'egli fosse «il Messia» (o Kristòs). Testualmente così si legge in Matteo (XVI, 20): «Ed allora egli ingiunse ai discepoli che non rivelassero ad alcuno ch'egli fosse il Messia» (cfr. anche Marco VIII, 30). Ma quale significato avrebbe questo divieto, se come «Messia» (in greco Cristo) il Maestro fosse stato già conosciuto, perché tale era stato il suo nome natale?

Ancora dai Sinottici si rileva che fino alla sua morte il Redentore Cristiano era stato ritenuto dai discepoli un «Salvatore» terreno, alla pari di Mosè, di Sansone e di Giuda Maccabeo. Giacché fino al momento del suo arresto egli non aveva ancora rivelato che il suo regno dovesse essere un regno celeste. Ciò è tanto vero che i discepoli di lui, fino al momento del suo arresto, avevano ritenuto che egli fosse venuto in terra per attuare il regno messianico a carattere temporaneo: un nuovo Regno di Davide, cioè. Il Maestro quindi — stando al testo dei Sinottici — fino al momento del suo arresto aveva operato come un agitatore messianico, avente per scopo il conseguimento di uno stato territoriale. Difatti in Ufficio della settimana santa, del sacerdote Augusto Amossi (e citiamo un manuale di devozione, per citare una interpretazione universalmente accettata dalla tradizione), a commento del passo di Luca (XXII, 24), laddove si afferma essere nata contesa tra i discepoli, durante l'ultima cena, perché ciascuno di essi avrebbe voluto assicurarsi in anticipo la carica più elevata nel costituendo regno messianico, così si legge: «Strana contesa, dopo le parole dette da Mosè; spiegabile però se si riflette che gli Apostoli allora pensavano che alle umiliazioni ed alla morte del loro Maestro avrebbe subito tenuto dietro la costituzione del Regno Messianico, che credevano dovesse essere un regno temporale, di cui essi sarebbero stati i dignitari ed i ministri». [1

Da quanto fin qui rilevato, deve argomentarsi che non soltanto il Maestro di Galilea non era stato mai, durante la sua vita, in possesso dei nomi di Gesù e di Cristo, ma che la trasformazione dell'idea messianica da salvatrice (attualismo delle opere, secondo Giacomo) in redentrice (misticismo della fede secondo Paolo) ebbe luogo solo dopo molti anni dalla morte del Maestro. Trascurando comunque, per il momento, ogni disamina di contenuto dottrinale, certo si è che non essendosi, in vita, chiamato «Gesù», né «Cristo», altro nome deve aver posseduto il Salvatore Cristiano per distinguersi nella vita profana. E poiché la tradizione pervenutaci non registra tale nome, ci sarà necessario ricercarlo nelle altre fonti, soprattutto previo accertamento della vera cronologia. Giacchè soltanto dopo tale accertamento potremo noi condurre le ricerche ulteriori nelle fonti profane, e ricostruire alfine la vita umana di un tanto personaggio. 


NOTE

[1] Augusto Amossi, Ufficio della Settimana Santa, Ediz. di Torino 1936, Soc. Ed. Internaz., p. 183.

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