giovedì 27 luglio 2023

Prime azioni di guerra: Gesù d'Anano e Manaemo

 (segue da qui)

§ 19) Prime azioni di guerra: Gesù d'Anano e Manaemo. — Anche in Giudea si erano verificati contemporaneamente fatti paranormali, che dai messianici di colà erano stati identificati quali «segni premonitori» (Guerra, VI, V, 3-4). Così: a) una cometa «somigliante ad una spada» si era fermata sulla Città Santa, restando visibile per un anno; b) durante la festa degli Azzimi uno splendore abbagliante aveva illuminato di notte l'altare del Tempio; c) una vacca condotta nel Tempio dai sacerdoti al sacrificio «aveva partorito un agnello». considerato dal popolo «vittima salvatrice»; d) da ultimo, a suggellare questi segni ritenuti annunziatori del grande evento, una notte le pesantissime porte del Tempio si erano spalancate d'improvviso, convincendo i Giudei che da quel momento Jahvè avesse spalancato al suo popolo le porte della felicità. Tutto quindi faceva ritenere che questa volta il favore divino non sarebbe mancato. Ed era fatale che l'irrequietezza delle masse si accentuasse sempre più, e che l'aspettazione diventasse di mano in mano più spasmodica. la propaganda infatti era stata capillare, spingendosi in tutti gli strati del popolo; ed i 57 anni preannunziati stavano ormai per compiersi. Non poteva quindi la seconda apparizione del Messia Galileo ritardare troppo.

Appunto in conseguenza di questi eventi la Giudea ridiventava un vivaio di rivolte. I più impazienti anzi, armati di pugnali detti siche (dal che la denominazione di sicari che ne dà Giuseppe), si mischiavano ormai nelle folle festive, ed uccidevano senza pietà — subito disperdendosi — gli uomini dimostratisi avversi al messianismo. E mentre gli zelanti eliminavano in anticipo gli avversari potenzialmente pericolosi, disseminando il terrore, tutta la Giudea si apprestava ad essere una polveriera, in punto di prender fuoco. Giacché ben pochi erano ormai i Saggi che, consci dei pericoli incombenti, osassero invitare il popolo alla prudenza.

Tra questi pochi, figura eminente, risalta Gesù d'Anano, comparso per le strade di Gerusalemme — redivivo Geremia — per invitare il popolo alla non-violenza. Riesumando il linguaggio del vecchio profeta, andava egli lamentando: «Guai a Gerusalemme, guai al Tempio; guai agli sposi ed alle spose; guai a tutto il popolo d'Israele» (Guerra, VI, V, 4). Ma, come era avvenuto a Geremia, anche Gesù d'Anano restava inascoltato. E poiché quegli persisteva nei suoi inviti alla prudenza, i Messianici, per tema ch'egli influenzasse sfavorevolmente le masse degli indecisi, lo trascinarono davanti al procuratore romano, accusandolo di provocare disordini. Davanti al Pretorio però, Gesù insisteva con calma, ripetendo i suoi avvertimenti. E quantunque, dietro incitamento dei più fanatici tra gli anziani, venisse egli condannato alla flagellazione, tuttavia, straziato dai flagelli, non emetteva lamenti, ma continuava a compiangere la triste sorte, ch'era riservata al suo popolo, alla sua città ed al suo tempio. Solo la dichiarazione di «pazzo», pronunziata dal magistrato romano, lo salverà poi dalle ulteriori violenze dei fanatici.

Ma ormai i fatti precipitavano. Piccoli scontri già avevano luogo qua e là, ed a nulla valeva l'intervento presso il popolo del re Agrippa e della sorella Berenice — discendenti da Mariamne Asmonea, e come tali benevisi alle masse — per indurre queste alla prudenza. I più numerosi anzi, considerati maturi gli eventi, avevano già rifiutato e rifiutavano il censo a Cesare, attuando così l'ordine già dato dal Maestro Galileo. Tutto quindi pareva ormai che dovesse precipitare.

Ed ecco che improvvisamente una masnada di Zeloti piomba su Massada, laddove — custodita da soldati romani — si trovava l'armeria del re Agrippa. Colti di sorpresa, i soldati romani vengono passati a fil di spada; dopo di che una guarnigione di Zeloti si sostituisce a quelli. Le armi così sono pronte per le necessità della rivoluzione. Contemporaneamente, un'altra masnada di messianici, condotta dal giovane ed esuberante Eleazzaro, figlio del pontefice Ananìa, occupa il Tempio di Gerusalemme colla parte bassa della città, ivi fortificandosi. Siamo dunque senz'altro alla guerra! ...

Dopo questi fatti, il re Erode Agrippa, sollecitato dal partito conservatore, che voleva risparmiare al popolo le conseguenze di tali eccessi, mandava a Gerusalemme tremila soldati, in aiuto alla piccola guarnigione romana colà assediata. Sperava, con quelli, di ristabilire l'ordine e conservare la pace. Senonchè, dopo soli sette giorni di combattimento, gli erodiani restavano sopraffatti dagli eleazariani, e costretti a rinchiudersi, insieme coi soldati romani, nella reggia e nelle torri adiacenti. Ma anche contro queste fortificazioni premevano ormai gli eleazariani, i quali ultimi, occupata dopo qualche tempo la torre Antonia, seguendo il metodo distruttivo comune a tutti i messianismi, la davano alle fiamme.

Gerusalemme dunque poteva ormai considerarsi in mano ai Messianici di Eleazzaro. Giacché solo la reggia, e le tre torri nomate «Cavaliere», «Fasaleo» e «Mariamne» resistevano, difese dagli erodiani e dai romani. Anche nel resto della Giudea non esistevano più se non gruppi esigui di romani e di erodiani. Premeva quindi ai messianici, prima che tali gruppi potessero aumentare, procedere con ogni energia, per distruggere i pochi segni ancora esistenti di dominio romano. Ed a ciò appunto attendeva la «scuola» di Giuda Galileo.

Ed invero, fino a questo momento, la «scuola» di Giuda, sapendosi sorvegliata nelle persone dei suoi massimi esponenti, aveva preferito non esporsi direttamente, avvalendosi piuttosto di gruppi fiancheggiatori (cripto-messianici), per far cominciare l'azione. Ma ormai era giunto il momento, per i capi riconosciuti, di porsi alla testa del movimento. Ed ecco che il capo della «scuola», Manaemo, vola adesso improvvisamente a Massada, laddove, accolto calorosamente dagli Zeloti (che appunto dietro sue istruzioni avevano già occupato quella fortezza), preleva le armi colà depositate, armando un esercito di suoi partigiani, e puntando con quello su Gerusalemme. Ivi giunto, subordina a sé gli eleazariani, che lo riconoscono Capo, e spinge a fondo l'assedio contro la reggia e contro le torri.

Gli assediati, disperando ormai di ottenere altrimenti salvezza, dopo qualche tempo, offrono di abbandonare le fortificazioni, purché sia fatta loro salva la vita. Manaemo però risponde di potere ciò fare soltanto cogli erodiani circoncisi, nessuna pietà potendo esso attuare verso i romani odiatissimi. In questo modo gli erodiani abbandonano il campo, mentre i romani, disdegnando di chiedere una pietà che avevano sentito essere loro negata in anticipo, sgombrano la reggia, e si fortificano dentro le tre torri.

Questa prima vittoria inorgoglisce oltremodo Manaemo, il quale, entrato da padrone nella reggia, come tutti i popolani giunti al supremo comando, diventa subito despota e dittatore. Volendo punire i magistrati giudei che in precedenza avevano sollecitato l'intervento di Erode Agrippa, o non si erano opposti a chi in tal modo aveva deciso, fa ricercare il pontefice Ananìa, che frattanto si era nascosto nelle fognature della reggia. Di là trattolo fuori, lo mette subito a morte, insieme col fratello Ezechia. Incrudelisce poi Manaemo contro tutti i popolani, ormai da lui considerati sudditi, e comanda che l'assedio contro i romani sia spinto senza economia di vite, per poter punire sollecitamente quei «ribelli» incirconcisi. 

Eleazaro non si era opposto all'uccisione del proprio padre Anania, perché la regola predicata dal Rabbi Galileo (ed in genere da tutti i banditori di un ordine nuovo) era stata: «chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me». Ma a poco a poco il seme dell'odio settario cresceva in lui, e, per quanto più giovane di Manaemo, non trascurava di ricordare ai propri amici che sostanzialmente era stato lui ad occupare per primo la città. Forse il sangue recente del padre chiedeva vendetta. Perciò non tardarono a delinearsi le due fazioni, raccogliendosi attorno ad Eleazaro d'Anania, coi malcontenti del nuovo comando, i suoi primi compagni e fautori, e restando attorno a Manaemo gli uomini che egli stesso aveva condotto da Massada.

Improvvisamente — come sempre avviene quando la lotta di idee, in un intervallo di quiete, si trasforma in lotta di uomini — Manaemo viene assalito e lapidato da un gruppo di eleazariani, mentre pomposamente si avviava per pregare nel Tempio. Sorpreso egli della fattagli «sorpresa» (per altro, dalla sua «scuola» predicata come una «regola» del sistema messianico), fugge, cercando anch'esso, come già la sua vittima Anania, un nascondiglio nelle fogne. Ma, come Anania, anch'esso viene tratto fuori e fatto a pezzi, con quell'odio che distingue sempre il «compagno», quando improvvisamente diventi nemico del «compagno». Ed anche questa volta sarà la lotta spietata tra gli esponenti di una medesima ideologia che caratterizzerà l'inizio della guerra messianica.

Ormai, eliminato Menaemo, e rifugiatisi a Massada i suoi luogotenenti più compromessi, Eleazaro comandava indisturbato in Gerusalemme. Ed i soldati romani, assediati nelle tre torri, pensando che il nuovo comandante fosse più umano del comandante soppresso, mandarono a lui per chiedere di trattare, offrendo di abbandonare il loro bagaglio e le loro armi, purché fosse loro giurata salva la vita. Ciò fu accettato da Eleazaro, il quale mandò ad essi quali ambasciatori, perché in suo nome giurassero i patti, tre uomini tra i più eminenti del suo comando. L'accordo così venne giurato. Ma qui dobbiamo lasciare la parola a Giuseppe Flavio, perché il Mondo, dalle parole dello storico, impari un'altra «regola» inderogabile del sistema messianico. «Giurati i patti — si legge nel testo — Metilio, capo della guarnigione romana, conduce seco fuori i suoi soldati. Ora, finché questi tengono in loro possesso le armi, nessuno dei ribelli osa molestarli, né manifestare segno alcuno di possibile tradimento; ma, appena i soldati romani consegnano lo scudo e la spada, e senza sospetto cominciano a ritirarsi, subito sono loro addosso gli eleazariani, i quali, chiusili da ogni parte, ne fanno macello, mentre quelli né si difendono, né supplicano, ma solo a gran voce ricordano i patti giurati. Così sono trucidati tutti selvaggiamente, e soltanto Metilio — il quale dichiara di volersi convertire al giudaismo e di accettare la circoncisione — viene tenuto in vita».

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