domenica 23 luglio 2023

Farisaismo e zelotismo

 (segue da qui)

$ 15) Farisaismo e zelotismo. — In quale ambiente d'Israele nacque e si sviluppò la letteratura apocalittica? Taluni studiosi affermano che l'apocalittica giudaica nacque dal farisaismo. Una simile affermazione però non può essere accolta senza aggiungere le necessarie precisazioni. Giacché rappresentando generalmente i farisei l'elemento pio e dotto ad un tempo, il fanatismo apocalittico, spinto fino al sangue ed alla strage, può dirsi abbia sempre esulato dal loro ambiente. Ma poiché soltanto gli Zeloti furono animati dallo spirito apocalittico, e soltanto gli Zeloti combatterono fanaticamente per conseguirne le finalità (tanto che ideologia zelota e ideologia apocalittica possono considerarsi sinonimi), solo tra gli Zeloti va ricercata l'origine della letteratura apocalittica. [1] Senonché dobbiamo domandarci: che specie di gente erano questi Zeloti, in mezzo ai quali si era sviluppato ed era stato elaborato questo suggestivo mezzo di propaganda?

Dello Zelotismo la storia d'Israele comincia a parlare quando illustra la rivolta di Mattatia. Giacché furono allora chiamati Zeloti i conservatori oniadi (seguaci del pontefice legittimo Onia III, destituito da Antioco), accorsi sotto la bandiera di Mattatia, per zelo alla «Legge», spregiata allora dal Gran Sacerdote Menelao, del partito Tobiade (da un Tobia, che già ai tempi di Esdra aveva sostenuto la necessità per Israele di ripudiare la legge mosaica). E poiché era stato prevalentemente il fanatismo ad avere informato, nella primitiva redazione, la «Legge», era naturale che proprio il fanatismo dovesse caratterizzare il movimento di Mattatia, come fa prova l'episodio dei Sette Maccabei.

Il termine «Zelota» però non aveva incontrato allora molto favore, ed era stato più spesso sostituito dagli altri termini «Oniadi» o «Maccabei». Ritornò in uso il termine «Zelota» sotto Giovanni Ircano, il nipote e continuatore di Giuda Maccabeo, per denotare una minoranza audace di Hasidin (dottori della Legge), che reagirono alle violenze commesse contro la «Legge» da Giovanni Ircano, e che per «zelo» alla Legge stessa, si separarono dagli altri Hasidin, chiamandosi appunto da allora «separati», ossia «farisei». Furono detti quindi Zeloti quei «farisei», nel senso di zelatori e sostenitori della Thorah. Pertanto il vocabolo «zelota» riemerse sotto Giovanni Ircano quale attributo dei primi «farisei».

Più tardi il farisaismo cessò la sua opposizione ai successori di Giovanni Ircano (gli Asmonei), e con ciò anche lo zelotismo cessò di esistere. Allorquando però, coll'avvento di Erode il Grande, i vecchi reggitori Asmonei, ritenuti sovrani legittimi, furono destituiti e soppressi, alcuni elementi estremisti, facenti parte dei Farisei, ripresero — contro Erode, e contro i Romani che lo sostenevano — la speculazione del concetto messianico di Mattatia. Ripresero pertanto a propagare — per coltivare nel popolo il fanatismo necessario a preparare le future masse d'urto — quella forma letteraria dell'Apocalisse, che ai tempi di Mattatia aveva avuto la sua manifestazione in libretti come quello di Daniele. Con ciò si veniva preparando, negli animi non suscettibili di auto-critica, una aspettativa di grandi eventi, che — nella imminenza dell'arrivo d'un nuovo «Unto di Jahvè» — avrebbe dovuto causare nel paese tensioni, fanatismi e disordini. 

Appunto in seguito a questa recrudescenza di messianismo, il termine zelota riemerse in Israele per la terza volta, ed esso venne a designare bensì lo «zelante» della «Legge», ma lo zelante pratico; e non della Torah soltanto (tradizione scritta), ma anche della legge non scritta (tradizione orale), che aveva trovato il suo modo di estrinsecazione appunto nella letteratura apocalittica. A poco a poco però, in mezzo alle masse zelote — nelle quali aveva prevalso dapprincipio l'elemento fariseo — venne ad acquistare prevalenza l'elemento laico più turbolento. Appunto per questo, mentre per qualche tempo zelotismo e farisaismo si erano identificati, restando lo zelotismo una specie di estrema sinistra del farisaismo, in prosieguo lo zelotismo si staccò dal farisaismo, fino a dichiararsene addirittura nemico, come del resto capita sempre, quando da un «partito» vecchio si stacca una fazione estremista, per formare un «partito» nuovo.

Premesso quanto sopra, chiariamo adesso che al tempo nel quale i fatti che ci interessa di illustrare ebbero luogo, in Giudea (senza contare la setta degli Esseni, che non aveva importanza politica), tre partiti, o correnti di pensiero (che Giuseppe Flavio chiama «scuole»), si disputavano il dominio sul popolo. Quello conservatore dei Pontefici sadducei cioè (i «figli» di Sadoq, dove la voce «figli» sta per «eredi» e «continuatori»), che era il partito degli aristocratici, e costituiva una casta dentro la classe sacerdotale (sadduceismo di destra); quello riformatore dei Farisei, composto in prevalenza di famiglie sacerdotali (farisaismo di centro), e da ultimo quello rivoluzionario e messianico degli Zeloti (messianismo apocalittico-zelota di sinistra). Ed era naturale che, essendo gli Zeloti più affini alle masse dei diseredati, principalmente in mezzo a queste tendessero essi a penetrare, per conquistare il potere. Dal che la graduale trasformazione del movimento in messianismo pauperista o ebionismo. Difatti le masse dei poveri (pauperes spiritu) costituirono in ogni tempo l'esercito dei condottieri improvvisati. E ciò la storia delle dinastie orientali in genere, e cinesi in ispecie, insegna abbondantemente. [2]


NOTE

[1] Cfr. R. Travere Herford, I Farisei, Bari 1923, p. 171, e passim. Circa gli Zeloti, vedi in Giuseppe Flavio, ed. Parisiis 1929; Vol. II, i vari richiami contenuti in Index nominum, alla voce Zelotae; cfr. anche Atti XXI, 20; Luca VI, 15.

[2] Il Pauperismo messianico nella Cina e nella Giudea. — Nella Storia Cinese, il processo formativo della dottrina pauperista (la quale fu colà alla base di tutte le dinastie) appare più evidente durante la formazione della dinastia Tcheou, che governò la Cina dal 1150 al 249 av. E.V. Ciò non già perché gli Tcheou avessero predicato il messianismo pauperista più che non lo avessero fatto gli altri aspiranti al potere e fondatori di dinastie nuove; ma perché più abbondanti sono le fonti storiche giunte a noi, relativamente agli inizi di questa dinastia. Infatti il suo fondatore Wen (anch'esso, come tutti i fondatori di nuovi cicli storici, avente il capostipite nato da una vergine) iniziò il suo movimento affermando di voler restituire ai poveri tutti i beni che il precedente sovrano ed i suoi favoriti avevano ad essi usurpato. Con questo mezzo avendo sollevato in proprio favore le masse, riusciva, dopo guerre, distruzioni e devastazioni, ad ottenere il sopravvento, spodestando alfine il precedente figlio del Cielo, ed occupandone il posto. Avveniva però che conquistato l'impero e ripartite le terre al «popolo», «il prodotto» — come si esprime Richard Wilhelm — «apparteneva in teoria alla comunità; ma poiché chi rappresentava la comunità era il Capo, il prodotto apparteneva al Capo» (cfr. Histoire de la Civilisation Chinoise, Paris 1931, p. 119 e segg.).

In questo modo l'inizio pauperista e rivoluzionario del nuovo ciclo si traduceva ogni volta in piattaforma preparatoria di un nuovo «Figlio del Cielo», per cui ad un precedente «Regno del Figliuolo» succedeva un nuovo «Regno del Figliuolo». Sol che, avendo ogni volta la guerra messianica distrutto molta parte delle ricchezze già esistenti, il popolo doveva lavorare di più, per ricostruire quelle ricchezze. Ed ogni volta, avendo l'autocrate bisogno di «compagni» da preporre quali luogotenenti alle singole provincie, capitava che a lungo andare gli eredi lontani di tali compagni si ribellassero all'erede del primo despota, instaurando alfine la «Fase Feudale» (seconda nei «ricorsi» del Vico). Da questa fase, cooperando circostanze favorevoli, si perveniva talvolta alla terza fase; finché un nuovo agitatore, promettendo nuovamente alle masse la ripartizione dei beni secondo i bisogni, riusciva a conquistare esso il potere, iniziando un nuovo ciclo dinastico.

Si manifesta da quanto detto che la recente salita al potere in Cina di Mao-Tse-Tung non è che l'alba di un nuovo ciclo storico cinese, svolgentesi perfettamente come tutti i precedenti cicli e dinastie: colla riesumazione cioè, della sempre rinnovantesi dottrina pauperista. Ed anche Mao, come già Wen, come già Yu, diventerà per le genti future — se gli eventi ulteriori non gli saranno sfavorevoli — il «Figlio del Cielo», ed il «nato da una vergine».

Anche in Occidente l'epoca cristiana ebbe inizio sulla piattaforma pauperista. Giacché mentre il «Maestro di Galilea» aveva predicato che il suo regno era riservato ai «poveri di spirito» (ebionismo), in Atti troviamo una embrionale applicazione del pauperismo comunista. Perché così vi leggiamo (II, 44-45): «Essi erano insieme ed avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà ed i loro beni, e ne distribuivano il ricavato fra tutti, secondo il bisogno di ciascuno». Ed ancora (IV, 34-37): «Avevano tutti in comune. Tutti quelli che possedevano case e poderi vendevano e mettevano il ricavato ai piedi degli Apostoli; poi si dividerà a ciascuno secondo i propri bisogni». Né è il caso di rilevare che anche i cristiani adulavano il popolo allo stesso modo dei pauperisti d'ogni tempo, e chiamavano «casa del popolo» (domus plebana, oggi chiesa plebana, nome conservatosi in Liguria) il luogo delle loro riunioni. Più tardi però anche nel Cristianesimo il pauperismo si mutò in autocrazia, e tutti i beni offerti ai successori degli Apostoli per essere ridistribuiti ai poveri secondo i bisogni di ciascuno, rimasero proprietà dei Vescovi e degli Abati. 

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