lunedì 5 giugno 2023

Origini Sociali del CristianesimoLa seconda Epistola di Pietro

 (segue da qui)

La seconda Epistola di Pietro.

Esiste una grande affinità tra l'epistola dello Pseudo-Giuda e una cosiddetta seconda epistola di Pietro, che fa parte come essa della Bibbia cristiana. Tra le due non c'è solo identità di argomento, ma anche ripetizione di formule tipiche. Qui, come lì, si legge una denuncia generale degli gnostici, «falsi maestri che introdurranno sette perniciose». [62] Sono gli stessi misfatti a iscriversi a loro carico, licenza sfrenata, vergognosa, rinnegamento del Maestro che li ha riscattati, disprezzo dell'Autorità, insulti alle Glorie. Stesso legame con gli empi più notori dell'antichità, con gli angeli prevaricatori [63] che seguono qui gli increduli del tempo di Noè, questo «predicatore della giustizia». [64] Stesso richiamo a Balaam loro precursore, che amò il salario dell'iniquità e la cui follia fu fermata dalla voce di un asino. [65] Stesso accumulo di insulti già noti, «bruti che si abbandonano alle loro inclinazioni naturali,... fontane senz'acqua, nubi spinte da un turbine, gente fatta per l'oscurità delle tenebre». Le citazioni dell'Assunzione di Mosè e della Profezia di Enoc, «il settimo da Adamo», sono scomparse. In compenso abbiamo qui un'allusione evidente a un libro di Noè, di origine anch'esso esseno, dove questo patriarca, «l'ottavo», era presentato come un «predicatore della giustizia», vale a dire come un profeta precristiano. 

Quella lunga invettiva, che forma il centro dell'epistola e che riprende i temi dello Pseudo-Giuda, è preceduta da una sorta di introduzione e seguita da un'appendice che rappresentano le parti nuove del nostro testo. Nella prima, l'autore oppone alle «favole raffinate» dei maestri dell'errore, appellativo che conviene alle dottrine valentiniane, la conoscenza personale che ha del Cristo Gesù Nostro Signore. Avendo vissuto nella sua intimità, ha saputo da lui che avrebbe lasciato presto la sua tenda corporea. Così vuole lasciare per il tempo che seguirà la sua morte un ricordo delle istruzioni che ha ricevuto da lui sul sacro monte. Essendo con lui, ha visto con i suoi occhi la Sua Maestà divina, ha inteso venire dal Cielo una voce che diceva: «Questo è il mio Figlio diletto, in cui mi sono compiaciuto». [66] Egli è ancora più legato alla «parola profetica». Quest'ultima in effetti è stata come una fiaccola accesa nella notte, in attesa del giorno. Ci si deve attenere senza mancanze, «sapendo bene che nessuna profezia della scrittura comporta spiegazione arbitraria, perché non è affatto per una volontà dell'uomo che una profezia è stata mai fatta, ma per opera dello Spirito Santo che gli uomini hanno parlato in nome di Dio». È chiaro che lo Pseudo-Pietro allude qui alla Bibbia ebraica, considerata nel suo insieme come una grande profezia. L'allusione precedente a una visione del Cristo glorioso e a un annuncio della morte prossima del primo degli apostoli è comunemente legata al racconto della trasfigurazione che si legge in Marco, in Luca e in Matteo e all'episodio finale del Vangelo secondo Giovanni. [67] Ma si spiega molto meglio con l'Apocalisse di Pietro, dove i due elementi si trovano riuniti. [68


NOTE DEL CAPITOLO 10

[62] Seconda epistola di Pietro 2:1.

[63] Id., 2:1-2-10 e 4.

[64] Id., 2:5 e 6-7.

[65] Id., 2:15-16, 17. 

[66] Id., 1:17-18; 19-21.

[67] Marco 9:2-8. Luca 9:28-36. Matteo 17:1-8. Giovanni 21:18-19. 

[68] Il manoscritto si interrompe qui bruscamente. In tutta evidenza il capitolo è incompiuto. Riferendosi al riassunto pubblicato a pag. 336, si avrà un'idea dell'importanza dei problemi che P. Alfaric si riservava di trattare in seguito. (J.M.). 

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