mercoledì 17 maggio 2023

Origini Sociali del CristianesimoUn chierico: Clemente di Roma

 (segue da qui)

Un chierico: Clemente di Roma.

Questo Clemente, preposto alla corrispondenza della comunità, deve essere l'autore di un'epistola molto estesa indirizzata dalla Chiesa di Roma a quella di Corinto e attribuita dalle testimonianze più antiche a un autore omonimo. Studi recenti hanno mostrato che il testo ha dovuto essere scritto non intorno all'anno 95, come molti hanno creduto, ma una quarantina di anni più tardi, verso lo stesso tempo del Pastore di Erma. Esso è stato ispirato dall'annuncio di una sedizione che è scoppiata tra i Corinzi. Per colpa di un «piccolo numero di capi», o più precisamente di «uno o due», quella «Chiesa così antica e così salda» si è sollevata contro «i suoi sacerdoti», di cui alcuni sono stati rimossi dal Ministero che esercitavano con onore. [24]

Dettagli secondari mostrano che l'attacco è stato sferrato dagli gnostici, che, non avendo alcun titolo né alcun rango nella Chiesa, si sono posti, nonostante la loro giovane età, come rivali degli «anziani». [25] Rimproverarono loro tra le altre cose di esaltare la materia proclamando la resurrezione della carne e di farsene gli schiavi coll'essere vincolati ai lacci del matrimonio. Essi sostennero l'immortalità dell'anima e praticarono la continenza. Ritroviamo qui l'opposizione comune tra gli adepti di un cristianesimo spirituale, vicino al platonismo e al pitagorismo, che disprezza il corpo, e quelli di un Vangelo più umano, che lo associa strettamente all'anima e che resta chiaramente apparentato al giudaismo.

Clemente si schiera risolutamente dalla parte dei secondi. Dedica una lunga invettiva per stabilire che la carne deve risorgere come la fenice che rinasce dalle sue ceneri. Altrove invita alla modestia la gente che fa processione di celibato: «Colui che è casto non se ne vanti, sapendo che è un altro che gli accorda il dono della continenza». Per lui, ciò che importa prima di tutto è la sottomissione all'ordine stabilito. Ognuno resti al posto che gli è stato assegnato, senza invidiare quello degli altri, senza lasciarsi vincere dalla gelosia, i cui effetti sono perniciosi. Niente eguaglia la pratica dell'obbedienza e dell'umiltà, che ne è la condizione indispensabile. [26]

La natura dà l'esempio della sottomissione, perché essa si conforma strettamente al piano divino: [27] «Considerate i soldati che servono sotto i nostri capi. Che disciplina! Che docilità! Che sottomissione nell'eseguire gli ordini! Non tutti sono prefetti, né tribuni, né centurioni, né capi di cinquanta e così via, ma ciascuno nel suo grado esegue gli ordini dell'imperatore o dei capi». Così è nella legge ebraica, che spiega dove, come e da chi devono essere offerti i sacrifici, quali sono i ruoli del sommo sacerdote, dei sacerdoti, dei leviti, dei laici. Così deve essere nella Chiesa. Il Cristo, nostro Sommo Sacerdote, inviato da Dio suo Padre, ha trasmesso la sua missione agli apostoli, che si sono recati attraverso le nazioni per stabilire vescovi e diaconi e hanno prescritto che, dopo la loro morte, i loro successori facessero lo stesso. Insorgere contro i capi della comunità equivale a mettersi in rivolta contro il suo primo autore, equivale ad andare contro il piano divino. «Chi è fedele, capace di esporre la gnosi, saggio nel discernimento dei discorsi, casto nelle sue opere? Egli deve essere tanto più umile quanto più appare grande».

Queste parole, pronunciate a nome della Chiesa romana, ne riflettono in modo eccellente le tendenze. La Roma cristiana è, come quella degli imperatori, tutta impregnata del principio di autorità. Dai suoi inizi si pone da guardiana dell'ordine e della disciplina. Esige soprattutto  la sottomissione ai poteri costituiti. 


NOTE DEL CAPITOLO 9

[24] CLEMENTE DI ROMA, Epistola ai Corinzi 1:1; 44:6; 47:6.

[25] Id., ibid., 3:3.

[26] CLEMENTE DI ROMA, Epistola ai Corinzi 24-26; 38:2; 4-6; 9-12; 13-19. 

[27] Id., ibid., 20, 22; 37:2-3; 40-16; 41:3; 42-47:5-6.

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