domenica 22 maggio 2022

LA PRIMA GENERAZIONE CRISTIANALA VITA DI TUTTI I GIORNI

 (segue da qui)

LA VITA DI TUTTI I GIORNI

Il quadro che stiamo per delineare è particolarmente quello del gruppo galileo stabilito a Gerusalemme; pressappoco con qualche sfumatura, è anche quello dei gruppi ellenisti e, a parte alcuni dettagli secondari, dei gruppi paolini.

Di questo quadro i tratti sono presi sia, direttamente, dalle indicazioni contenute nei frammenti autentici delle epistole, sia, indirettamente, da quelli che si deducono dai vangeli, dagli Atti degli Apostoli, dalla Didaché e da altri documenti successivi, ivi compresi i frammenti post-paolini delle epistole.

Si è voluto fare dei primi cristiani dei miserabili, persino dei fuorilegge. Non furono né questo né quello. Neppure dei vagabondi. Nemmeno dei mendicanti. Non sembra che ci fossero schiavi nel gruppo galileo di Gerusalemme; ce ne furono, per contro, nei gruppi paolini, ma probabilmente in numero esiguo. 

Non più che dei miserabili, non furono dei rivoltosi. Abbiamo fin troppo insistito su tutto ciò che vi era di conformismo tra i primi cristiani per ritornarvi; domandiamo soltanto che non si perda mai di vista questo fatto essenziale: i primi cristiani sono uomini che obbediscono alle leggi dello Stato; facendo parte del «popolo giudeo», obbediscono alle leggi del giudaismo, nella misura, beninteso, in cui esse sono obbligatorie. Così, ai nostri giorni, si vede il maggior numero dei comunisti vivere pacificamente, in armonia con il codice, purché non siano entrati nell'azione rivoluzionaria. Questo è un fatto sul quale avremo da ritornare.  

I primi cristiani, tanto a Gerusalemme che nella Diaspora, sono, in maggioranza, gente del popolo e anche della gente comune, e che lavorava per guadagnare da vivere; non si deve però immaginare il duro lavoro moderno che occupa tutta l'esistenza di un uomo, anche quando è limitato alle otto ore e alla settimana inglese, ma un'attività che occupa solo una parte della giornata e quasi accidentalmente, come si vede più spesso in Oriente. San Paolo manifesta anche la pena di guadagnarsi da vivere, e si ricorda la famosa frase, che è posteriore, ma che deriva dal suo insegnamento: «Colui che non lavora non mangerà», [1] massima suprema del bolscevismo. 

Accantoniamo perentoriamente l'idea di una società comunista, vale a dire della messa in comune dei beni, che è contraddetta da testi numerosi e concordanti. Se essa è asserita dagli Atti degli Apostoli 2:45 e 4:34, è a titolo di società ideale, [2] e d'altronde nella parte più sospetta del libro. 

Vi era anche, tra questa gente comune, non dei ricchi, ma gente che possedeva qualcosa, ed è ben certo (checché ne dica il libro degli Atti 5:1-6) che non la si obbligava a seguire il precetto evangelico, peraltro successivo: «Vendi i tuoi beni e dalli ai poveri». Come quella Maria, madre di Giovanni Marco, che possedeva a Gerusalemme una casa abbastanza grande da accogliervi tutta la comunità. Riscontriamo anche, nella Diaspora, ciò che noi chiameremmo industriali e commercianti, come quei fabbricanti di tende, Aquila e Priscilla, che assunsero San Paolo a Corinto, e quella mercante di porpora di Tiatira, Lidia, stabilita a Filippi, in Macedonia, che ritroveremo presto.

Al di fuori di quelli e di San Paolo, che lavorava lui stesso alla fabbricazione di tende, quali erano i mestieri di questi uomini?

Per quanto riguarda i Galilei, abbiamo spiegato come un maggior numero di loro, prima di lasciare la Galilea, vi esercitassero il mestiere di pescatori e come sia probabile che, trasportati a Gerusalemme, vi vendessero il pesce che fornivano loro i compagni stabiliti presso il Giordano. Accanto a loro, alcuni piccoli artigiani, forse braccianti agricoli nello stile di quelli che hanno raffigurato le parabole evangeliche.

Ma Gesù era l'antico dio della Salvezza, vale a dire della Guarigione, non meno che l'antico dio delle acque vive; e abbiamo visto che alcuni tra i precristiani esercitavano, nello stesso tempo che il mestiere di pescatori, quello di guaritori. Se la letteratura del cristianesimo primitivo è muta quanto alla loro attività di pescivendoli, essa è ufficiale quanto all'attività di guaritori di alcuni tra loro. Non solo il libro degli Atti mostra gli Apostoli occupati a guarire i malati, ma, ciò che è decisivo, Gesù, nei vangeli, ne concede loro il potere e ne conferisce loro la missione. [3] Sappiamo anche in cosa consisteva la loro terapia. 

Nessuno ignora che nell'antichità si credeva (tranne che in alcuni circoli colti molto ristretti) che le malattie fossero causate dalla presenza di demoni. Per guarire da una malattia, bastava scacciare il demone; e come scacciarlo? Con l'esorcismo. Così opera Gesù nei vangeli; così gli apostoli negli Atti; il procedimento terapeutico vi è interamente descritto. Quando sono gli apostoli che operano, esorcizzano con il nome di Gesù. Non si deve vedervi l'azione sperata e ottenuta di una preghiera rivolta al figlio di Dio. Il nome di Gesù possiede di per sé un valore quasi magico che mette il demone in fuga; è di per sé efficace.

Ho detto che gli Apostoli esercitavano il mestiere di guaritori. È evidente che non domandavano onorari; in questo senso, non esercitavano una professione secondo la nostra concezione moderna; ma ricevevano doni. Ancora oggi, i guaritori che i tribunali condannano per esercizio illegale della medicina protestano che le testimonianze di riconoscenza che offrono loro i malati che hanno rimesso in sesto non costituiscono affatto un compenso. 

Bisogna peraltro considerare che questo mestiere di guaritori gli Apostoli lo esercitavano solo accidentalmente; nulla in comune con il medico di cui la metà della giornata si impiega a ricevere i malati e l'altra metà ad andare a visitarli. Stessa osservazione per quei Galilei che si erano fatti piccoli artigiani o piccoli commercianti, come i nostri pescivendoli. Niente che rassomigli, abbiamo detto poc'anzi, quei duri mestieri moderni che occupano tutta la vita dell'uomo. Ci guarderemo dall'immaginare i primi cristiani come i nostri negozianti, dietro il loro banco dalla mattina alla sera; qualche ora di lavoro manuale al giorno, sufficiente per non essere né dei morti di fame né, soprattutto, dei mendicanti, e resterà loro ogni spazio non solo per dedicarsi al loro culto, ma anche per plasmare, nel corso degli anni, la figura di un dio nuovo.

Se la comunità dei beni non esiste tra i primi cristiani, essi hanno in compenso un'organizzazione di mutuo soccorso e di assistenza, che è anche incaricata di provvedere alle spese di interesse comune, e sembrano praticare una sorta di contribuzione analoga ai contributi che, ai nostri giorni, sono l'onore e la forza dei partiti rivoluzionari.

Conclusione: gente che lavora; per lo più poveri; per nulla miserabili; ancor meno, vagabondi. Come oggi i comunisti si reclutano non nei bassifondi, ma tra uomini di condizione semplicemente mediocre, non senza, in mezzo a loro, qualche campione della borghesia.


La maggior parte sono sposati. Il matrimonio è una regola generale tra gli ebrei di quell'epoca come di tutti i tempi, e l'uomo che, senza motivo serio, resta celibe è tra loro mal considerato. Sembra difficile ammettere che i primi cristiani abbiano voluto sottrarsi a quella regola. Le tendenze ascetiche che si erano manifestate in certe sette battiste della Palestina, ad esempio tra gli Esseni, non erano penetrate tra loro; [4] essi conducono a Gerusalemme la stessa vita che fanno, attorno a loro, gli uomini di identica classe. San Paolo scrive categoricamente che gli altri apostoli, i fratelli del Signore e lo stesso San Pietro portano con sé nei loro viaggi «una sorella moglie»; [5] i vangeli parlano della suocera di San Pietro [6] e San Clemente di Alessandria afferma che aveva avuto dei figli, [7] così come San Filippo, di cui abbiamo già appreso che era padre di quattro figlie. [8] Quanto a San Paolo, non solo sappiamo che è stato sposato, ma ci sarà possibile tentare presto di ricostruire la storia del suo matrimonio. Alcuni scrittori ecclesiastici pretenderanno più tardi che solo dei dodici apostoli San Pietro aveva una moglie; altri, che l'avevano tutti; ma da entrambi i lati le affermazioni rientrano nel dogmatismo piuttosto che nella Storia. Non sembra quindi che sia imprudente affidarsi alle dichiarazioni di San Paolo e di San Clemente di Alessandria. 

Quali che fossero le donne dei primi cristiani, se si giudica da ciò che i documenti ci lasciano intuire e in particolare da ciò che ci insegneranno quelli di San Pietro e di San Paolo, ci si domanda quale sorta di pregiudizio abbia impedito alla Chiesa di glorificarle come ne erano degne...


Non più che dei miserabili, i primi cristiani non sono gli incolti che si è a volte supposto. Nessuno ha messo in dubbio che San Paolo abbia posseduto una certa cultura, ma non era affatto un'eccezione. Non bisogna credere che nel primo secolo la gente del popolo fosse analfabeta. L'educazione letteraria e filosofica (riprendo qui le espressioni del signor Toussaint) era più diffusa nell'antichità che tra noi, e le classi inferiori vi erano interessate alla morale e alla filosofia più di quanto immaginiamo, per quella ragione, che l'attenzione, non essendo come oggi rivolta alla tecnica, si volgeva necessariamente verso le speculazioni trascendenti.

Tra gli ebrei si aggiungeva il gusto delle discussioni teologiche, che era diffuso anche tra i più poveri, e che richiedeva la conoscenza delle Scritture sacre e, con ciò stesso, delle nozioni di ogni genere che contengono e la cui portata è enciclopedica. Così San Paolo potrà parlare nelle epistole ai suoi adepti un linguaggio di elevata speculazione, — a meno che non si voglia che non parlasse per essere compreso. 

Quanto ai Galilei in particolare, se il loro dialetto suscitava lo scherno dei gerosolomitani e li impediva di discorrere davanti a loro, abbiamo nell'Europa moderna fin troppi esempi di uomini relativamente istruiti che continuano a parlare il dialetto, per vedervi una ragione per rifiutare loro la mezza cultura che la conoscenza delle Scritture aveva portato loro. 

Nella sua prima epistola ai Corinti 1:26, San Paolo scrive che tra questi non vi sono «molti sapienti (eruditi), non molti potenti, non molti nobili» il che non può intendersi come l'esclusione di tutti gli uomini istruiti e appartenenti alle classi un po' superiori.  

In che misura vivono accanto gli uni agli altri? 

Li si immaginerà che abitano non in una grande casa comune, come un corpo di gendarmeria con donne e figli, ma nello stesso quartiere dove ogni famiglia ha il suo domicilio particolare. 

«In ogni città», dice monsignor Batiffol, «i cristiani di quella città si riuniscono nella casa di uno di loro... da colui che ha una stanza abbastanza spaziosa». [9] Come la casa di Maria, madre di Giovanni Marco, Atti 12:12. Le case, a Gerusalemme, avevano al loro piano superiore una grande stanza di tutta la larghezza e di tutta la lunghezza dell'edificio, che gli Atti chiamano la sala superiore, 1:13. La stessa cosa sovente nella Diaspora; per esempio, a Troade, 20:8. Immaginiamo una soffitta, o meglio una delle nostre botteghe di artisti. 

Tali riunioni sono possibili però solo per gruppi molto poco importanti, ed eccoci portati a domandarci quale potesse essere il numero dei cristiani della prima generazione.

Abbiamo visto San Paolo dichiarare che «più di cinquecento fratelli» avevano assistito all'Apparizione, il che significherebbe che il gruppo di cristiani stabiliti a Gerusalemme comprendeva almeno cinquecento membri; e abbiamo detto quanto la cifra sia poco verosimile, persino se si sia tenuto conto delle donne e dei bambini; c'è ogni motivo di credere che, passando di bocca in bocca, essa sia cresciuta, come la cosa accade quasi necessariamente in tali casi, fino al giorno in cui San Paolo la registrò senza pensare di verificarla. Sempre immersi nelle questioni testuali, gli studiosi non hanno sufficientemente osservato che se, nel corso di un pellegrinaggio, cinquecento persone possono riunirsi all'aperto per consumare un pasto comune, esse non possono più farlo all'interno di una casa.

Il meno esperto di architettura spiegherà che per contenere una tale assemblea sarebbe necessario, tenendo le persone molto strette in piedi o in ginocchio, una stanza di almeno 12 o 13 per 20 o 21 metri, vale a dire la superficie di due dei nostri appartamenti moderni di cinque o sei stanze. Ma è per praticare il loro pasto di comunione che essi si riuniscono, e pertanto una superficie quasi doppia è necessaria se essi sono seduti per terra all'orientale, e più che doppia se sono sdraiati alla moda antica (come indica il significato delle parole greche che il Nuovo Testamento impiega per dire che sono a tavola), — il che corrisponde alle dimensioni delle sale da ballo dei nostri grandi palazzi.

La madre di Giovanni Marco possedeva un edificio di quella ampiezza?

La stessa domanda si pone per il gruppo di Antiochia, come si porrà per quello di Corinto, come si porrà per tutti gli altri: dobbiamo supporre che alcuni membri abbiano avuto a disposizione saloni in cui si potevano allestire, se non cinquecento, almeno diverse centinaia di posate?

Per quanto riguarda il gruppo galileo di Gerusalemme, solo una cifra molto inferiore a quella data in 1 Corinzi 15:6 è da considerare. Quanto ai gruppi della Diaspora, si ammetterà che alcuni tra gli affiliati abbiano posseduto un locale capace di ricevere un centinaio di commensali; forse un po' di più; ma non si può superare di molto queste cifre e immaginare un maggior numero di membri nella comunità, a meno di supporre che i pasti di comunione siano stati serviti in serie, come nei nostri vagoni-ristorante. [10]

Queste considerazioni di ordine tecnico sono confermate dall'impressione che ci danno le epistole e le parti antiche degli Atti, le quali non si intendono mai se non da un numero assai ristretto di adepti. Renan scrive che una chiesa spesso non conteneva dodici o quindici persone, e ne ipotizza cento o centoventi per quella di Efeso... «Piccolo numero, spirito di comitato segreto, di famiglia spirituale», aggiunge, «e che costituì la forza indistruttibile di queste chiese». [11]

L'insieme dei cristiani della prima generazione, a dire il vero, non raggiunse mai il migliaio — mille persone in un impero di più di cinquanta milioni di abitanti! Ci si sorprende talvolta che gli storici dell'antichità, di tutto il primo secolo, abbiano parlato così poco dei cristiani. Senza dubbio, se alcuni di loro avessero cacciato da Antiochia le legioni e vi avessero installato un soviet, si sarebbe raccontato l'evento; ma come ci si sarebbe interessati, a supporre che se ne sia stati informati, a ciò che accadeva in seno a minuscoli gruppi chiusi in quello spirito di comitato segreto di cui parla Renan?

Se i membri di ciascun gruppo non vivevano insieme, almeno si ritrovavano frequentemente. Una volta alla settimana, la domenica, si riunivano per il pasto di comunione, e quotidianamente per le preghiere in comune e quelle interminabili conversazioni teologiche nel corso delle quali, in un perpetuo scambio del risultato delle loro meditazioni, si elaborava la loro credenza. La formazione del pensiero cristiano è incomprensibile se si perdono di vista queste enormi conversazioni di tutti i giorni tra questi uomini. 

A Gerusalemme frequentano anche il Tempio. Sappiamo che osservano le pratiche mosaiche, che si conciliano senza difficoltà con le loro pratiche segrete; ma non vi sono attirati dalla semplice preoccupazione per queste osservanze. Il Tempio, a Gerusalemme, non aveva nulla delle nostre moderne cattedrali; lungi dall'essere un edificio chiuso, comprendeva un vasto complesso di cortili, di portici, di aree coperte, analoghi piuttosto al foro delle grandi città pagane; la leggenda di Gesù che vi scaccia i mercanti è universalmente nota. Era nel contempo, ha detto Renan, un tempio, un mercato, un tribunale e un'università; aggiungerei un luogo di passeggio e un luogo di incontro. Per i primi cristiani, è il corso dove amano sedersi o passeggiare, al momento delle loro interminabili conversazioni teologiche. 


Un gruppo non può durare senza organizzazione. Era una volta un luogo comune, tra gli studiosi razionalisti, presentare le prime chiese come delle società anarchiche. Niente è più falso e niente è più inimmaginabile. 

Sarebbe già impossibile concepire che l'antica religione di Gesù non abbia avuto un sacerdozio segreto; d'altra parte, le organizzazioni sinagogali in mezzo alle quali i primi cristiani erano stati allevati non potevano non avere avuto un'influenza. Altrettanto bene, l'accordo sembra stabilito oggi tra gli studiosi, e monsignor Batiffol ha potuto dire del cristianesimo dell'età apostolica che «lo spirito ebraico d'ordine, di magistero, della legge vi era onnipotente». [12]

Gli studiosi sono meno d'accordo sui dettagli di queste organizzazioni.

Si è voluto distinguere due funzioni, [13] quella della «parola» e quella dell'amministrazione. Quella distinzione non è primitiva. Quella tra «profeti» e «dottori» [14] non riguarda l'organizzazione dei gruppi; neppure quella dei numerosi ministeri enumerati da San Paolo. [15

In realtà, i gruppi sono governati da capi assistiti da Anziani e da collaboratori e collaboratrici; i nomi che recano in greco queste diverse categorie di persone diventeranno più tardi i titoli dei membri del clero: i sorveglianti sono in greco gli «episcopi», vale a dire i vescovi; gli Anziani sono in greco i «presbiteri» o preti; i collaboratori e le collaboratrici, «diaconi» e «diaconesse».

Per l'epoca precristiana, abbiamo proposto di vedere in San Pietro il Bar-Iona, il figlio di Giona, che avrebbe svolto il ruolo di sommo sacerdote. Durante gli anni che seguono l'Apparizione, San Giovanni e San Giacomo sono, con lui, alla testa del gruppo galileo a Gerusalemme. San Giacomo ne resterà il capo unico e la tradizione lo farà «vescovo di Gerusalemme».

Gli apostoli sono, all'origine, i messaggeri dei gruppi; divenendo i messaggeri del Cristo o di Dio, prendono l'alta dignità che hanno poi mantenuto.

La profezia non è una funzione; è profeta chiunque sia ispirato da Dio. Il dottore, didascale in greco, traduzione dell'aramaico rabbi, è colui che insegna; è un peccato per la tesi di padre Jousse che né san Pietro, né i suoi due associati, né san Paolo portino questo titolo nel Nuovo Testamento.

L'avventura capitata alle parole che designavano le funzioni dei capi e dei collaboratori dei primi gruppi cristiani, è capitata a quella che ha designato questi stessi gruppi, alla parola «chiesa». Ἐκκλησία in greco significa semplicemente riunione, assemblea. L'espressione comune nell'antica letteratura cristiana per dire, per esempio, il gruppo dei cristiani di Corinto, di Roma, di Gerusalemme, è «la chiesa di Corinto», «la chiesa di Roma», «la chiesa di Gerusalemme».

Quale termine impiegheremo noi stessi per designarli? «Chiesa» è evidentemente il termine esatto; ma la parola evoca troppe cose di cui i nostri Galilei e San Paolo non avevano alcuna idea; è il termine che gli specialisti dovrebbero adottare, ma che è impossibile proporre al pubblico istruito.

Comunità, confraternita, congregazione sarebbero etimologicamente possibili, se non avessero preso, anche loro, significati specificamente ecclesiastici. 

Gruppo sarebbe appropriato, se la parola, tutt'al contrario, non fosse troppo laica.

In mancanza di meglio, continueremo a dire volta per volta il gruppo e la comunità....


Due dei termini che i primi cristiani impiegavano per designarsi tra loro sono particolarmente significativi.

Si denominavano loro stessi «i Fratelli», e abbiamo spiegato più sopra [16] che l'espressione non deve essere presa nell'accezione banale che avrebbe oggi; i primi cristiani sono «fratelli» tra loro in quanto il loro inconscio ha ricostituito tra loro la parentela mistica delle origini, vale a dire la parentela sulla quale è fondata la Società.

Si denominavano loro stessi anche «i Santi», che è ancora un ritorno inconsapevole alle concezioni primitive dell'umanità. Non si supponga, infatti, che dandosi quella denominazione abbiano inteso conferirsi il monopolio di tutte le virtù, nel senso che oggi si attribuisce comunemente alla parola, o nel senso cattolico della perfezione spirituale una volta raggiunta. 

I Santi, ἀγίοι in greco, sono in ebraico i Qedeshim; il significato principale è: messi da parte, isolati, inaccessibili, e si ricongiunge alle nozioni primitive del puro e dell'impuro, e a quelle del sacro in opposizione al profano. Così Dio è santo, e i Serafini di Isaia 6:3, lo salutano così: Santo, Santo, Santo è Jahvé Sabaoth; io tradurrei quasi: Intoccabile, inaccessibile è Jahvé Sabaoth. Sarebbe una sciocchezza far dire ai Serafini che Jahvé non commette peccati: sarebbe sciocco attribuire ai primi cristiani lo stesso stato di innocenza. I primi cristiani si chiamano i Santi perché sono coloro che, nella loro modesta condizione di uomini mortali (ma che risorgeranno), vivono moralmente isolati dal resto del mondo.

Gli uomini che hanno ritrovato in fondo al loro inconscio collettivo il significato del sacrificio, della resurrezione e della comunione, hanno ritrovato nelle denominazioni che si sono date la definizione fondamentale del gruppo preistorico.


Il quadro che abbiamo appena tratteggiato è quello del gruppo galileo di Gerusalemme, con i suoi tre capi, San Pietro, San Giovanni e San Giacomo; per l'essenziale è, abbiamo detto, quello dei gruppi della Diaspora, e in particolare di quello di Antiochia, con i suoi cinque leader, San Barnaba, San Paolo e tre uomini di cui sappiamo solo i nomi, Simeone detto il Nero, Lucio di Sirene e Manaèn, il fratello di latte del tetrarca Erode; esso lo sarà in seguito, almeno fino ad un certo punto, dei gruppi dove regnerà San Paolo. «La cristianità nell'epoca», scriveva monsignor Battifol, che fa autorità in quest'ordine di questioni, «appariva come una religione comunitaria... formatasi dappertutto in piccole cristianità simili... aventi stessa fede, stesso culto...». [17]

Aggiungerei: e vivendo quella vita sedentaria e pacifica che è necessaria all'elaborazione delle grandi cose.

Ed è questo su cui è necessario soffermarci un attimo, quella sedentarietà e quella pace dei primi cristiani non essendo cose generalmente ammesse. 

NOTE

[1] 2 Tessalonicesi 3:10. 

[2] Tale la prescrizione dell'epistola di San Barnaba 19:8.

[3] In particolare, Matteo 10:1 e 8; Marco 3:15 e 6:7, e Luca 9:1-2.

[4] Ritorneremo nei capitoli seguenti sul non-ascetismo della prima generazione cristiana.

[5] 1 Corinzi 9:5. Si è visto sopra, a pagina 128, che i primi cristiani si chiamavano tra loro «fratelli e sorelle» e che la moglie era una «sorella moglie».

[6] Πενθερὰ, la madre della sposa, Matteo 8:14; Marco, 1:30 e Luca 4:38.

[7] Stromati 3:52-53, cita e non contraddice  Eusebio, Storia Ecclesiastica 3:30, 1.

[8] Atti 21:9.

[9] L'Eglise naissante, pagine 41 e 87 della 5° edizione, 1911.

[10] Non si asserirà che i pasti di comunione potevano darsi in più case di una stessa città. Nulla sarebbe più contrario allo spirito dei testi che tutti rappresentano i fedeli di ogni città riunitisi nello stesso luogo. Le «case» di Romani 16 devono essere intese nel senso in cui si dice: la «casa» del re.

[11] Saint Paul, pagine 562-563.

[12] Ibidem, pagina 18.

[13] In particolare a Gerusalemme, secondo Atti 6:1-6.

[14] Ad Antiochia, ibidem, 8:1.

[15] A Corinto, 1 Corinzi 12:7-11.

[16] Sopra, pagina 128.

[17] Batiffol, ibidem, pagina 10. 

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