mercoledì 25 maggio 2022

LA PRIMA GENERAZIONE CRISTIANACOLLEGIO DI PROPAGANDA FIDE

 (segue da qui)

II

COLLEGIO DI PROPAGANDA FIDE

Prendimi l'eloquenza e tirale il collo.

Si è gente comune che abita vicino gli uni agli altri, ciascuno con la sua famiglia, ciascuno che esercita il minimo mestiere necessario, in un regime semi-comunitario che opera per assistenza reciproca, con dei capi e un'organizzazione; ci si riunisce per pregare, per parlare di teologia, per praticare il culto del pasto di comunione; ma questo mestiere, ma questo culto segreto, la preghiera, la meditazione, le lunghe ore di andirivieni sotto i portici del Tempio, le interminabili conversazioni teologiche, nonché le dispute interne, è tutta la vita di questi uomini? Non abbiamo parlato della loro attività propagandistica...

Secondo l'opinione corrente, la predicazione del vangelo sarebbe stata l'occupazione principale ed essenziale degli Apostoli. Non li si vede, nei sinottici, ricevere dal loro maestro l'ordine di andare ad evangelizzare i popoli, — gli ebrei dapprima e i pagani in seguito? E ai dodici Apostoli San Luca aggiunge i settanta discepoli! Gli studiosi che professano oggi che il vangelo è, o più esattamente che i vangeli sono posteriori, non saranno su questo punto in disaccordo con la Chiesa. Forte del consenso universale, il Larousse de poche definisce l'apostolo: colui che si dedica alla propagazione di una dottrina.

La verità è che, facendo della predicazione la funzione primaria dei capi del cristianesimo primitivo, i libri sacri hanno avuto, ancora una volta, consciamente o inconsciamente, il proposito di collocare nel passato la legittimazione del programma e delle ambizioni dell'epoca in cui furono scritti; raccontando come Gesù avesse dato l'ordine di evangelizzare i popoli e come gli Apostoli obbedirono a quest'ordine, essi attribuirono ai fondatori della Chiesa l'opera intrapresa dai loro successori. 

Ma conviene esaminare la questione da vicino: è dell'anima stessa del cristianesimo primitivo che si tratta.

Per la buona comprensione nelle pagine che seguiranno, è sin d'ora necessario precisare quale significato daremo alle due parole «propagazione» e «propaganda». L'espansione di una religione si fa in due modi: tramite una «propagazione» naturale non derivante dalla volontà cosciente dei suoi adepti; oppure tramite la «propaganda» esercitata, tutt'al contrario, dalla volontà cosciente di questi ultimi ed espressa con la predicazione o con qualsiasi altro mezzo che rientra nel proselitismo. È in questo senso che si dovrà intendere la nostra tesi, ossia che, se durante la prima generazione cristiana si è avuta «propagazione» del cristianesimo, si è avuta attività «propagandistica» solo in una misura così limitata che è quasi lecito dire che non c'è stata. 


Quando il libro degli Atti racconta che i primi cristiani si stabilirono a Gerusalemme dopo l'Apparizione, che vi organizzarono una sorta di vita in comune e passarono il loro tempo nella preghiera e nella profezia, spezzando il pane da loro, frequentando assiduamente il Tempio e operando allo stesso tempo guarigioni, si riconosce nel quadro il ricordo di una realtà storica. Ne è altrimenti quando li rappresenta che predicano la loro fede nella città e in tutta la Giudea, operando conversioni di massa, tremila in un sol colpo, secondo 2:41! Tremila, e in un sol colpo... Una tal cifra sarebbe sufficiente ad avvertirci. Siamo in pieno romanzo a puntate. 

Abbiamo segnalato l'impossibilità per i Galilei di esprimersi nell'aramaico in uso a Gerusalemme; il primo effetto della loro predicazione in dialetto avrebbe potuto essere, dinanzi un'assemblea di ebrei di Giudea, solo uno scoppio di risa. [1] Una sola cosa era permessa ai Galilei: le confidenze, e ancora abbiamo precisato: alle rare persone capaci di ascoltarle e di comprenderle. Alle bocche di santi occorrono orecchie di santi, quando quelle bocche non sanno che balbettare. L'intervento dello Spirito Santo, che, secondo il libro degli Atti, venne in soccorso dei Galilei recando loro il dono delle lingue, è il sicuro indizio che gli scrittori sacri si sono sentiti, malgrado la lontananza dai fatti, di fronte ad una situazione che solo un miracolo avrebbe spiegato.

Abbiamo esposto queste ragioni tentando di dipanare gli eventi che si erano verificati a Gerusalemme all'indomani dell'Apparizione. Abbiamo visto che durante la persecuzione nel corso della quale Santo Stefano fu messo a morte, i Galilei furono lasciati in pace e non lasciarono Gerusalemme, e che per più di trentacinque anni essi furono disturbati solo una volta (persecuzione di Erode Agrippa nel 44). Una così lunga tranquillità nella capitale stessa del giudaismo, ciò sola attesta da parte loro l'assenza di ogni proselitismo. Il giudaismo non indagava sulle coscienze; nulla impediva di essere eretici a Gerusalemme, se nulla si manifestava pubblicamente; i Galilei poterono per trentacinque anni praticare il loro pasto di comunione, se lo praticavano da loro, e se allo stesso tempo osservassero le prescrizioni della Legge. Si poteva anche, a Gerusalemme, discutere perdutamente sul senso di tal precetto delle Scritture, su ciò che la Legge permetteva o non permetteva di fare; si aveva il diritto, ad esempio, di tirare fuori l'asino da un pozzo un giorno di sabato? L'uovo era stato creato prima della gallina o la gallina prima dell'uovo? Si può vedere Dio? O ancora, si doveva obbedire a Cesare se... oppure se...? Ma un proselitismo come sarebbe stato il proselitismo cristiano non sarebbe stato tollerato due giorni. La prova esiste, inconfutabile: non appena gli Ellenisti si erano lasciati andare a  parlare in pubblico, il loro capo era stato arrestato, condannato a morte e giustiziato, e gli altri obbligati a fuggire.

I trentacinque anni di pace che i Galilei vissero a Gerusalemme provano il loro silenzio. E non solo restarono a Gerusalemme, ma durante questi trentacinque anni frequentarono il Tempio senza che il clero gerosolimitano vi vedesse un inconveniente.

Ne fu lo stesso fuori dalla Giudea?

La nostra tesi è che il cristianesimo si espanse dapprima negli ambienti precristiani nella Diaspora: dei «cristiani» portano a dei «precristiani» la notizia dell'Apparizione, con tutte le sue conseguenze. Non c'è nulla che si deve paragonare al proposito di andare a evangelizzare i popoli, gli ebrei dapprima e i pagani in seguito. Si comunica, semplicemente, ai fratelli, il grande miracolo che essi ignoravano. Essi «conoscevano» il nome di Gesù; si fa loro conoscere come costui si è appena manifestato.

Ma il pensiero non poteva venire, diciamo in aggiunta, di annunciare il suo nome a coloro che non lo conoscevano?

In linea di principio, l'espansione cristiana, senza essere impossibile, era quasi altrettanto difficile negli ambienti ebraici della Diaspora come lo era in Giudea. Si potrebbe supporre che, almeno nelle sinagoghe dove i farisei non regnavano e dove l'ortodossia era approssimativa, i cristiani sarebbero stati favorevolmente accolti. Non lo fu per nulla. Ortodossi o non ortodossi, ogni volta che gli ebrei si trovarono in contatto con i cristiani, opposero loro la più veemente resistenza; e di fatto, San Paolo restando l'eccezione, non conosciamo minimamente ebrei ortodossi che si siano fatti cristiani. La resistenza sarebbe stata minima tra i «timorati di Dio», vale a dire tra i pagani semi-giudaizzati e non circoncisi? Forse; ma non si deve dimenticare che, benché imperfettamente giudaizzati, essi si erano posti sotto l'autorità delle sinagoghe e che sarebbe stato necessario strapparli, il che non sarebbe potuto accadere senza scatenare tempeste. I soli pagani giudaizzanti che, almeno per i primi tempi, erano in grado di ricevere il messaggio galileo, furono quelli che già facevano parte dei gruppi precristiani.

Quanto a rivolgersi ai pagani non giudaizzati, non sembra che a quell'epoca il messaggio galileo fosse stato loro comprensibile.

Tra una città e un'altra, vi saranno dunque anzitutto solo rapporti tra gruppo cristiano e gruppo precristiano o, per il seguito, tra gruppo cristiano e gruppo cristiano.

Per prendere come esempio uno dei rari primi cristiani sul quale esistono alcune informazioni di carattere storico, San Filippo Evangelista dirige a Cesarea un gruppo che si può solo immaginare perfettamente estraneo ad ogni preoccupazione di accrescimento. Le sue quattro figlie sono formidabili persone di cui tre almeno, se si crede agli annalisti, seppero custodire fino all'età più avanzata il tesoro della loro verginità come pure i doni della profezia; per mezzo secolo, tanto a Cesarea quanto più tardi in Asia Minore, dove seguirono il loro padre, vaticinarono a loro agio; ma tutto avverrà, tutto sommato, in famiglia.

Le cose cambiarono con San Paolo? Molto meno di quanto si dica generalmente. Fino al giorno in cui, in seguito al litigio con San Pietro, abbandona Antiochia, la sua azione missionaria è inesistente, e se ne dedurrà che, per i diciassette o diciotto anni che trascorsero dopo la sua conversione, San Paolo non ha agito diversamente dai compagni e che, per almeno i primi diciassette o diciotto anni del cristianesimo, non ci fu minimamente espansione del cristianesimo al di fuori dei circoli precristiani.

Per il periodo che seguì, San Paolo penserà dapprima solo a rivolgersi ai fratelli d'Asia poi di Grecia che conoscevano  già il nome di Gesù, vale a dire ai precristiani di queste regioni; costretto dalla necessità, a poco a poco allargherà il suo orizzonte... Evangelizzazione, evidentemente; ma evangelizzazione non premeditata e che si è fatta per la forza delle cose.

Il passo famoso dell'epistola ai Galati 2:7-8, dove l'apostolo condivide con San Pietro l'evangelizzazione del mondo, non deve essere preso in considerazione. Noi dubitiamo fortemente dell'autenticità di questi due versi (che mancano nell'Apostolicon), quando il signor Barnikol ha portato la completa dimostrazione della loro inautenticità (Forschungen, V, 1931). Aggiungiamo che l'oggetto della riunione di Gerusalemme non era la spartizione del mondo, cosa di cui è inconcepibile che l'idea potesse venire ai cristiani nell'anno 44, ma, molto più modestamente, la questione di sapere se bisognasse ammettere i non circoncisi nelle comunità.

Quanto ai testi degli Atti che rappresentano San Paolo che catechizza i giudei o i pagani, si deve vedervi talvolta la deformazione della sua attività tra i precristiani, talvolta il ricordo storico dei suoi pochi tentativi di portare i suoi ex correligionari al Signore, e talvolta (come il famoso discorso davanti all'Areopago, 17:16-34) le finzioni tardive per mezzo di cui l'ultimo redattore voleva farne l'«apostolo dei gentili».

Non pretendo, quindi, che alcun tentativo sia stato intrapreso di proposito deliberato per far conoscere il nome di Gesù tra gli ebrei e i pagani nel corso della prima generazione cristiana; è troppo evidente che alcuni dei primi cristiani hanno dovuto tentare di avvicinare a sé gli ebrei o i giudaizzanti con cui si incontravano, che alcuni hanno dovuto rischiare a parlare nelle sinagoghe, come lo fece certamente San Paolo, che quest'ultimo (lo spiegheremo più oltre) conservò sempre in fondo al suo cuore un segreto desiderio di vedere i suoi ex correligionari riunirsi nel culto del Signore Gesù, che la forza delle cose, lo abbiamo appena detto, lo aveva presto portato, dopo la sua partenza da Antiochia, a rivolgersi agli ebrei e soprattutto ai pagani giudaizzanti, che né lui né i compagni infine potevano mancare di istruire i giovani che venivano da loro e di prepararli a succedere loro, se fossero scomparsi prima del Gran Giorno. Ma io pretendo che alcun disegno di evangelizzazione degli ebrei e dei pagani sia mai stato intravisto, né da lui né dagli altri, che ricordi anche da lontano l'impresa di propaganda che sostengono similmente la Chiesa e la maggior parte degli studiosi.

Alla luce di queste idee, credo che sarà più facile comprendere alcuni punti che sembrano oscuri nelle epistole. Per attenerci a considerazioni valide per l'insieme della prima generazione cristiana, noteremo che San Paolo, lungi dal pretendere di convertire le popolazioni, insiste sul piccolo numero di uomini che sono stati «chiamati», vale a dire che devono far parte del regno della Resurrezione. [2] La teoria del piccolo numero degli eletti, che ha la sua origine nelle epistole, è, vi si è riflettuto?, agli antipodi del propagandismo.

Tutto si spiega se si ricorda che il grande evento che i primi cristiani attendevano non era la conversione del mondo pagano, ma la sua distruzione. Senza dubbio alcuni tra i pagani, e anche tra gli ebrei, saranno venuti al Signore e saranno stati evangelizzati; ma la massa avrà perseverato nel suo errore e sarà colpita senza remissione.

In realtà, il totale delle conversioni operate dall'apostolo tra gli ebrei e i pagani è così esiguo che si dovrebbe concludere per il fallimento della sua propaganda, se la propaganda fosse stata il suo principale obiettivo. Vi è là ancora un fatto sul quale l'attenzione non è stata sufficientemente richiamata. Quando un'opera ha il duplice carattere di rispondere a una necessità storica e di essere intrapresa da una grande personalità (Maometto, San Francesco d'Assisi, Lutero), i risultati sono non solo notevoli, ma pressappoco immediati. Si può immaginare che, se avesse avuto i disegni che gli si prestano, l'uomo di ferro e di fuoco che fu San Paolo abbia impiegato vent'anni per fare qualche centinaio di proseliti? Altrove è il segreto della sua ardente attività.

Mi si permetterà di aggiungere una considerazione che non è dell'ordine di quelle alle quali amo soffermarmi, ma alla quale non è però impossibile attribuire qualche valore? Questo evento supremo che doveva essere il giorno del Signore, distruzione del mondo pagano ed instaurazione del regno di Dio, entro quale termine i primi cristiani l'attendevano? Su questo, tutti gli studiosi sono d'accordo, non si trattava niente più che di qualche anno, di qualche mese forse, chissà, di meno ancora... Ed è in pochi mesi, in pochi anni, che quel pugno di uomini avrebbe pensato di evangelizzare i cinquanta milioni di pagani, i sei milioni di ebrei e di giudaizzanti coi quali si confrontavano attraverso l'immenso Impero!... La probabilità ha dei limiti... Questo solo era possibile a coloro che chiamiamo gli Apostoli: far conoscere ai fratelli che l'ignoravano la grande notizia e, tutt'al più, istruire quelli tra gli ebrei, i giudaizzanti e i pagani che le circostanze mettevano sul loro cammino; tutt'al più, rafforzare le comunità accogliendo qualche nuovo venuto e, quando una di esse vacillava, tentare di fondarne un'altra.

A ciò limitiamo l'opera di propaganda del cristianesimo primitivo.

L'opera di propaganda comincerà davvero dopo l'anno 70, quando, da una parte, ci si sarà rassegnati a riportare ad un futuro indeterminato l'evento escatologico e, d'altra parte, l'ambizione nascerà di raccogliere l'eredità del giudaismo. [3] E, beninteso, quel giorno si vorrà che l'opera sia stata intrapresa dai santi fondatori della religione nuova e ordinata da Gesù stesso. 

Ci sembra possibile concludere. Durante il mezzo secolo che seguì l'Apparizione, i cristiani, altrettanto bene nella Diaspora come a Gerusalemme, potevano avere un solo pensiero: attendere il ritorno del Signore, diciamo piuttosto attendere di seguirlo nella sua morte, nel suo sonno e nella sua resurrezione, o, se si preferisce, prepararsi all'evento, o, più esattamente, prepararlo. 

La preoccupazione sarà di organizzare, di mantenere il rifugio dove sia possibile realizzare quella preparazione. E se uno di questi rifugi si rivela inadatto al suo scopo, si andrà altrove per tentare di fondarne un altro... Da soli? No. Con la propria gente, con quelli della propria famiglia, della propria famiglia naturale, ma soprattutto di quella famiglia spirituale che non ha alcun riguardo della razza e della nazionalità e, quando l'età comincerà a farsi sentire, con i pochi giovani che saranno venuti da voi e di cui si vorrà fare i propri continuatori nel caso in cui si scomparirebbe prima del Grande Giorno. Si potrà gioire nel vedere espandersi quella famiglia clanica; si potrà sostenere di vederla moltiplicarsi; ma fino a qual limite? Fino al limite del possibile, e abbiamo appena visto quanto quel limite fosse ristretto. 

Quanto a quei milioni di pagani e di ebrei che non conoscevano e non potevano conoscere la buona novella, la loro sorte è segnata: un mondo destinato a perire, diciamo più chiaramente, un mondo condannato a morte.

Si tratta di distruggere, e non di convertire. 


Così, nelle mansarde dove si ospiterà la loro povertà, vivranno gli uomini che dovevano fare la rivoluzione del 1917, senza la minima preoccupazione né la minima possibilità di esercitare la più modesta propaganda tra la gente che incrociano quotidianamente per le strade, accogliendo tra loro (e non senza precauzione) solo chi bussa alla loro porta, — fino al giorno in cui passeranno all'azione.

Così, nelle loro comunità, hanno vissuto i santi del cristianesimo primitivo, con la stessa incapacità di chiamare a sé chi non veniva da sé. Un quarto di secolo non sarà troppo perché mettano a punto la formula rivoluzionaria, voglio dire la figura del dio nuovo scaturito dalle più profonde necessità umane, che essi recavano al mondo.

Il confronto che abbiamo stabilito tra il cristianesimo primitivo e le rivoluzioni politiche rischiara una volta di più la situazione di quest'ultime. Non più dei compagni di Lenin, non bisogna rappresentarsi i primi cristiani come agitatori che si sforzano di reclutare adepti. I rivoluzionari che, prima del Gran Giorno, tengono riunioni pubbliche, affiggono manifesti, fanno appello alle masse (stavo per dire agli elettori) sono quasi sempre rivoluzionari politici, traduciamo: rivoluzionari di teatro. Prima del 1905 e prima del 1917, i bolscevichi lavoravano per la rivoluzione; ma lavoravano tra loro; non facevano propaganda.

In una religione che si fonda, come in una rivoluzione che si prepara, l'obiettivo supremo non è la salvezza dell'individuo, di cui ride il Socialista, ma la rigenerazione della Società nella sua universalità, stavo per dire nella sua cattolicità. Ora, perché una società si rigeneri, vale a dire perché un mondo nuovo sostituisca il mondo che deve scomparire, è necessario che un piccolo gruppo di uomini ne elabori il programma, detto altrimenti che prendano coscienza di sé in ciò che hanno giustamente in loro di universale. Prendere quella coscienza, ciò si chiama, in sociologia, definire il mito rivoluzionario che fornirà le ragioni dell'azione; ciò si chiama in religione raffigurare il volto del dio nuovo.

Perché una religione si fondi, è necessario che un gruppo di uomini che rappresenta e allo stesso tempo che anticipa la società, incarni l'impulso dei bisogni inespressi che salgono dal loro subconscio alla loro coscienza. Quel lungo periodo di preparazione, vale a dire di elaborazione, vale a dire di incubazione, doveva necessariamente precedere la diffusione del cristianesimo attraverso il mondo. Non si ricorda sufficientemente quanto tempo un Savonarola, un San Francesco d'Assisi, un Lutero abbiano meditato in solitudine e silenziosamente prima di alzare la voce; quanto tempo un Maometto sia restato nella sua solitudine; quanto tempo i grandi rivoluzionari del 1905 e del 1917 hanno atteso nei loro oscuri ritiri prima di gettarsi in azione. 

Con i primi cristiani la differenza è che il ritardo è stato più lungo. 

Quest'immenso lavoro, la Chiesa lo rendeva inutile ponendo come principio che gli Apostoli avessero appreso dallo Spirito Santo, e in un sol colpo, tutto ciò che dovevano sapere; essa era logica con sé stessa nell'inviarli a catechizzare l'universo dal giorno di Pentecoste. Si spiega meno facilmente perché gli studiosi indipendenti non abbiano compreso che senza l'intervento della terza persona della Santa Trinità le cose non potevano andare a quel ritmo. 

Ma se durante quel lungo periodo non vi fu attività «propagandistica», doveva esserci (seguiamo la nostra dimostrazione) «propagazione» della nuova fede.

Il grande storico Ferrero ha stabilito, e questa è una delle sue tesi fondamentali, [4] che fino agli ultimi tempi della Repubblica il Senato (tra le cui mani si trovava a Roma, come si sa, la direzione della politica estera) era stato opposto alle espansioni dell'Impero al di fuori dell'Italia. Così la conquista del mondo era stata avviata senza essere stata voluta. Come tante grandi cose della Storia, l'evangelizzazione della terra da parte del cristianesimo cominciò senza essere stata voluta. 

Una religione diminuisce quando non cresce; tutto ciò che non cresce, decresce; per un periodo così lungo (quasi quarant'anni!) la fede non avrebbe potuto mantenersi se non si fosse sviluppata; e come, se non si fosse sviluppata, si sarebbe trasmessa ai successori? Riconosciamo, dunque, che una propagazione si è fatta, alla condizione di non intendere nulla con questa parola che rassomigli all'azione di proselitismo, all'opera missionaria, alla propaganda sfrenata che si è addotta. 

Dopo esserci accinti a spiegare che quella propaganda sfrenata, quell'opera missionaria, quell'azione di proselitismo sono finzioni, tentiamo di comprendere quale sorta di propagazione ha potuto e ha dovuto avvenire, la quale è stata precisamente l'opera dei primi cristiani.  

Un testo delle epistole, di cui non sembra essere stato penetrato tutto il significato, getterà una prima luce sul problema. 

Dopo aver indicato come deve praticarsi il pasto di comunione eucaristica, San Paolo aggiunge, in 1 Corinzi 11:26:

«Tutte le volte che mangiate questo pane e che bevete questo calice, voi annunciate la morte del Signore (annunciate, in greco καταγγέλλετε)».

Vale a dire che praticando il rito di comunione eucaristica, voi annunciate il mistero cristiano; vale a dire che, per il fatto stesso della comunione voi siete i propagatori della fede; vale a dire che, per annunciare, per propagare la fede, è necessario non predicarla, ma viverla.

...E la parola?

La parola, questo strumento supremo della propagazione, protesterà la tradizione e, con essa, il coro al gran completo degli studiosi razionalisti... La parola, cosa ne fate voi? 

La parola?

La propagazione aperta? Sull'esempio dei conferenzieri incaricati dagli Affari Esteri?

La propagazione segreta? Sull'esempio dei disfattisti del Bonnet Rouge?

L'agitazione popolare? Sull'esempio dei tre Anabattisti di Meyerbeer?

Conosciamo i potenti effetti che l'eloquenza produce su un pubblico, altrettanto bene che si tratti di un predicatore, come di un oratore politico, di un avvocato processuale o di un agitatore popolare; con alcune qualità di ordine intellettuale indispensabili, vi occorre un certo numero di doti fisiche, potenza e musicalità della voce, espressività del viso e dei gesti, che si avvicinano a quelle che saranno il privilegio del grande attore...

Gli effetti dell'eloquenza? Tanto varrebbe denunciare l'azione segreta delle banche e dell'alta finanza... Ciò non è uno scherzo... Un personaggio abbastanza strano, di cui avevo appena fatto la conoscenza, mi confidò un giorno di aver sognato di fondare una nuova religione. 

— Perché avete rinunciato, gli domandai?

— Non sono riuscito, spiegò, a raccogliere il capitale.

E siccome gli domandai quale bisogno aveva di capitale per fondare una religione:

— Ebbene, mi rispose, e la pubblicità? 

Tra le opinioni del mio interlocutore e quelle di tanti studiosi, non vi è che una sfumatura, e non posso acconsentire con queste più che con quelle.

Non più che di fondi di pubblicità, una religione, per fondarsi e propagarsi, non ha bisogno dell'eloquenza. Eloquenza e pubblicità sono, a dire il vero, i due strumenti della propaganda... E la guerra del 1914 avrà aperto gli occhi su quanto valgono gli strumenti. Diffamazione ad ogni prezzo dei meriti dell'avversario, giustificazione ad ogni prezzo delle sue proprie scelleratezze, la propaganda è diventata l'arma delle cattive cause; e ciò è sinistro, che spesso riesca; quantomeno, riesce a convincere i criminali che sono innocenti e i pazzi che sono saggi. E riesce anche in questo: a nascondere al misero branco umano per quali interessi gli si domanda di farsi uccidere.

Il cristianesimo si è fondato come si fondano le grandi cose, per quella necessità sociale che la Chiesa chiama la volontà di Dio, e non per la volontà ponderata degli uomini. E si è propagato allo stesso modo. I mezzi sono dell'ordine dello Spirito; e in realtà ne esiste uno solo: l'irradiazione, — luce che non abbaglia ma penetra, parola che non tocca le orecchie ma tocca l'anima, profumo che si discerne solo dal cuore, appello silenzioso che nessun rumore soffocherà, stella che trafigge le nubi, calore di un focolare invisibile, incantesimo senza gesti, uragano che non è che un soffio, melodia della foresta, irradiazione, la sola arma di cui sia armato lo Spirito!

NOTE

[1] Si veda sopra, pagina 190.

[2] Il passo dell'epistola ai Romani 11:25-27, con l'improbabile conversione di massa che vi è intravista, non è attestato nell'Apostolicon e non è autentico. 

[3] Si vedano, sopra, le note delle pagine 165 e 172.

[4] Grandeur et décadence de Rome, 1, 1898 (in italiano), tesi ripresa ed esagerata da Maurice Holleaux, Rome, la Grèce et les monarchies hellénistiques, 1921, di cui il signor Jérome Carcopino ha corretto le esternazioni nei suoi Points de vue sur l'impérialisme romaine, 1934.

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