domenica 17 aprile 2022

LA PRIMA GENERAZIONE CRISTIANAIL SACRIFICIO PRIMITIVO

 (segue da qui)


PRIMA PARTE

LE ORIGINI

I
IL SACRIFICIO PRIMITIVO

Il cristianesimo è il risveglio, nel primo secolo della nostra era, di una religione preistorica, senza dubbio una delle più antiche religioni della terra, che, dopo aver vegetato oscuramente per millenni, compì l'opera di riportare agli uomini, il giorno in cui cominciò il declino della civiltà antica, i princìpi (evidentemente modernizzati, evidentemente rinnovati, evidentemente idealizzati) delle religioni primitive, vale a dire i princìpi stessi, in ciò che ha di essenziale, della cosa sociale, e realizzò così una delle più grandi rivoluzioni che il mondo abbia mai conosciuto.

E ciò si manifesta nel fatto che Gesù è il dio, sociologicamente predestinato, che, sia dopo la sua diffusione attraverso l'universo, che nel corso della sua risalita e nel suo tempo di tenebre, vale a dire nell'intero sviluppo della sua perpetuità, avrà eretto, dall'alto della sua croce insanguinata, la primitiva e decisiva figura del dio sacrificato.

Il sacrificio del dio (messa a morte, resurrezione e comunione) è alla base del cristianesimo; meglio ancora, ne è la ragion d'essere, nel contempo il punto di partenza; lo spiega integralmente; è, in verità, il cristianesimo stesso. 

Nelle epistole di San Paolo, che sono il documento aureo della prima generazione cristiana, Gesù è un dio sacrificato e non è altra cosa; agli uomini porta il sacrificio della Croce; non porta loro alcun insegnamento. Se lo fa nei vangeli e vi è altra cosa rispetto ad un dio sacrificato, è perché i vangeli sono l'opera delle successive generazioni. Un fatto, in ogni caso, è oggi universalmente ammesso tra gli studiosi e comincia ad esserlo tra i più informati degli istruiti non specialisti: [1] il mondo antico non è stato conquistato dall'insegnamento evangelico, ma da una dottrina di redenzione fondata sulle virtù del sacrificio. [2]

Il significato del sacrificio del dio è dunque la cosa che deve essere compresa preliminarmente, ma che solo le religioni primitive dove è nato permettono di comprendere.

Religioni primitive, religioni preistoriche, religioni di semi-civilizzati... i miei lettori si diranno forse che queste sono questioni la cui attualità è quanto meno remota. La serie di studiosi che va dalla scuola antropologica inglese alla scuola sociologica francese attuale, ha dimostrato che esse condizionano, tutt'al contrario, la vita sociale contemporanea; le nostre istituzioni fondamentali hanno, per la maggior parte almeno, la loro origine nelle istituzioni dei nostri antenati neolitici; la maggior parte non sono che una laicizzazione delle loro pratiche religiose; è impossibile approfondirne la natura senza ritornare a questo punto di partenza e senza seguirne l'evoluzione, non dispiaccia ai nemici della storia.

Non servirà però a niente approcciare lo studio delle civiltà passate se non vi si apporta una mente interamente liberata dal razionalismo pseudo-cartesiano che ha imperversato così a lungo in Francia. Si può accordare infatti ad un matematico (soprattutto se è allo stesso tempo un grande poeta) che in tutti i luoghi e in tutti i tempi il quadrato dell'ipotenusa è uguale «alla somma dei due quadrati costruiti sugli altri due lati»; non si accorderà, invece, a nessun adepto della critica interna che il cervello umano abbia funzionato in modo identico tra le popolazioni della preistoria o gli attuali semi-civilizzati, nelle comunità paoline e tra i maestri delle nostre università. Non c'è scienza delle istituzioni, e beninteso delle religioni antiche o primitive, senza uno sforzo di penetrazione, non solo oggettivo ma empatico, nelle mentalità di cui si tratta di tradurre le manifestazioni in linguaggio di scienza.

I nostri lettori ci permetteranno di riprendere, a volte riassumendole, a volte completandole, un certo numero di spiegazioni date nei nostri due precedenti volumi; l'inconveniente di qualche ripetizione è di poca importanza quando si tratta di riconoscersi in materie così poco conosciute.

In un'opera in cui si parlerà costantemente delle religioni preistoriche, è utile precisare che lo studio ne è stato reso possibile dalla conoscenza del folclore e quella delle religioni dei semi-civilizzati che vivono attualmente in quattro delle cinque parti del mondo. Non è, affrettiamoci a dichiararlo, che si possano assimilare i «primitivi» della preistoria e i «primitivi» che sono i nostri attuali semi-civilizzati; se alcuni studiosi sono stati indotti a farlo, è da tempo che i maestri della scuola sociologica vi hanno saggiamente rinunciato. Per lo storico delle religioni preistoriche, e nell'assenza di documenti risalenti a queste lontane epoche, l'opera benefica dell'etnografia e del folclore è stata, non solo di iniziarci ad una mentalità che è agli antipodi del nostro razionalismo, ma di illuminare (e con quale luce!) i dati recentemente acquisiti dall'archeologia, da una parte, e, d'altra parte, la quantità di tradizioni e di sopravvivenze che contengono gli antichi testi semitici, egiziani, cuneiformi, greci, latini e altri.

Abbiamo spiegato [3] come la storia delle religioni, e con ciò stesso la storia delle civiltà, sia stata rinnovata da cima a fondo quando gli studiosi, cessando di chiudersi con tutte le finestre chiuse nella loro critica egocentrica, si appellarono al tempo e allo spazio. A dire il vero, la comprensione delle origini religiose dell'umanità [4] risale ai lavori della scuola antropologica inglese: precisiamo alcune date: 1865, Mac Lennam, Primitive Marriage;  1871, Tylor, Primitive Culture; 1887, Lang, Myth, Ritual and Religion; 1886, il geniale articolo di Robertson Smith sul Sacrificio nella nona edizione dell'Encyclopaedia Britannica, e, 1889, il suo non meno geniale Religion of the Semites; dal 1890 al 1913, le varie edizioni del Golden Bough di Sir James Frazer. In Francia, i lavori dell'illustre Durkheim, la cui influenza risale alla fondazione dell'Année Sociologique, 1897, e il cui capolavoro, Le Formes élémentaires de la vie religieuse, apparve nel 1912; infine, la scuola sociologica francese. Mi è parso necessario, all'inizio di questo capitolo, indicare ai lettori non specialisti quale direzione vi è seguita. Senza dimenticare i maestri della «Religionsgeschichte» e i loro discepoli. E in armonia con l'insegnamento soprattutto filologico, storico e archeologico che è dato attualmente nella nostra Sorbona.

Come occorreva attendersi, abbiamo assistito ad alcuni tentativi di reazione contro le dottrine di Robertson Smith e dei suoi successori; reazione che non era a volte che l'esagerazione di emendamenti legittimi a queste dottrine, ma che spesso portava il marchio di un secondo fine dogmatico appena dissimulato. Quando si tratta di studiosi i cui lavori sono peraltro condotti secondo i metodi dell'erudizione, la discussione si impone; c'è bisogno di aggiungere che, allorché questo non è il caso, è sufficiente continuare per la propria strada? [5] La scienza è qualcosa che si fa e non è mai fatta; in certe epoche, i pionieri aprono una strada. Molte correzioni possono essere portate ai lavori dei primi antropologi; alcune a quelli di Robertson Smith e di Durkheim. Uno studioso sarà sempre pronto, e questa sarà la sua dignità, a rinunciare ad una tesi che gli sembrerà essere stata confutata. L'importante è essere sulla strada giusta.

Per iniziarsi alla mentalità che governa le religioni primitive, non c'è, per i non specialisti, una miglior guida all'ora attuale dei libri del signor Lévy-Bruhl. [6] Si sa come vi è stato dimostrato il carattere anti-sperimentale e fondamentalmente mistico di un modo di ragionare impermeabile a ciò che affiora per noi al più elementare buon senso. [7]

Attingendo all'insieme di questi lavori, e ponendo in principio la distinzione tra il pensiero razionale e irrazionale e il carattere essenzialmente irrazionale del pensiero mistico, abbiamo preso per base dei nostri studi [8] il fatto che il pensiero irrazionale domina tra le popolazioni primitive e diminuisce nella misura in cui si sviluppano le civiltà, ma che ogni rinnovamento religioso implica (evidentemente sotto forme adattate al tempo e all'ambiente) un ritorno della mentalità irrazionale e primitiva.

NOTE
[1] Per esempio, il signor Jean Schlumberger, Sur les frontières religieuses, 1934, pagina 88.
[2] Si veda Dieu Jésus, pagine 120-124. 
[3] Grandeur et décadence de la critique, pagine 42 e seguenti e particolarmente pagine 46-47.
[4] Sia chiaro, una volta per tutte, che quando parliamo di «origini», non si tratta dell'origine delle cose; quale studioso si azzarderebbe a intraprendere un tale viaggio? ma unicamente delle origini attualmente conosciute nello stato momentaneo della scienza. Si veda, su questo argomento, Durkheim: Formes élémentaires de la vie religieuse, pagine 10-11.
[5] Tal certo scrittore, ora morto, di cui per riguardo per il riposo della sua anima, non ricorderò il nome, e che, dopo aver pubblicato un'opera in cui combatté furiosamente le dottrine di Durkheim, dovette confessare (a me stesso) che non aveva letto le Formes élémentaires de la vie religieuse.
[6] Les Fonctions mentales dans les sociétés inférieures, 1910; si veda anche la Mentalité primitive, 1922; l'Ame primitive, 1927; le Surnaturel et la nature dans la mentalité primitive, 1932, e la Mythologie primitive, 1935.
[7] Si veda anche Durkheim, Année Sociologique, 1909-1912, pagine 33 e seguenti e Henri Hertz, Revue de l'Histoire des Religions, 62, pagine 356 e seguenti.
[8] In particolare, Demain, ici, ainsi, la Révolution, prima parte; anche, Dieu Jésus, pagine 100 e seguenti e Grandeur et décadence de la critique, pagine 71 e seguenti, salvo qualche messa a punto necessaria. 

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