venerdì 12 febbraio 2021

IL PUZZLE DEI VANGELIIl messaggio d'unione

 (segue da qui)

4° Il messaggio d'unione

L'idea che il IV° vangelo sia un tentativo di unificazione tra le opposte concezioni che dividevano i cristiani non è nuova. È stata proposta da Baur nel 1847. Baur vedeva nel IV° vangelo un tentativo di conciliazione tra la Gnosi e il cristianesimo romano (più precisamente tra la Gnosi e il Montanismo).

Ma essa aveva condotto Baur ad una conclusione che sembrava allora inaccettabile, riportando la stesura del vangelo fino al 160-170 circa: questo ritardo era allora un'ipotesi azzardata, e prematura. Fu ripresa nel 1920 da Heitmüller. Loisy l'ha intravista, quando scrive che il IV° vangelo ha realizzato «una sintesi più vera e più efficace di una sapiente combinazione», sbarazzandosi dell'immagine storica del Cristo e del suo «colore ebraico» e «dandogli la forma ellenica». [143]

Ma il bisogno di una tale sintesi si è fatto sentire soprattutto dopo il 150. Certo, fin dall'origine, troviamo i «cristiani» divisi: Paolo si oppone al gruppo di Gerusalemme, e ad altri, l'autore cristiano dell'Apocalisse dedica i suoi primi capitoli a denunciare le divisioni. Ma invece di placarsi, queste polemiche non non hanno fatto che aggravarsi, fino alla grande rottura con Marcione poi Valentino, intorno al 150. Il II° secolo è ricolmo della guerra che conduce la «grande chiesa» contro le sette gnostiche o «docete», e gli evangelisti lo sanno bene, perché fanno annunciare da Gesù queste divisioni e la comparsa di falsi Cristi. [144] La prima epistola giovannea denuncia questi «anticristi», «che sono usciti di mezzo a noi», [145] e la seconda precisa che si tratta di coloro «che non confessano che Gesù sia venuto nella carne». [146] Lo pseudo-Ignazio tuona contro le cattive dottrine, [147] il cattivo lievito, [148] l'erbaccia dell'eresia, [149] la divisione. [150] Ireneo, alla fine del secolo, scriverà ancora la sua opera per denunciare le «eresie», più specialmente lo gnosticismo dei discepoli di Valentino, e Celso schernisce questi cristiani divisi in sette che si lacerano a vicenda. La guerra è ovunque: è a ciò che doveva portare il messaggio del Cristo? 

La datazione tardiva del IV° vangelo non fermandoci più oggi, perché si deve ritardarne la stesura finale fino al 160-170 circa, diventa molto più facile vedervi un tentativo di unione, reso più necessario di prima dalla grande crisi apertasi al momento della rottura con Marcione.

 Il messaggio di pace — Se quella interpretazione è giusta, dobbiamo aspettarci di trovare nell'opera un grande appello alla pace e all'unione tra i cristiani.

L'idea è delineata nella parabola del buon pastore: non deve esserci che un «solo gregge», perché vi è un «solo pastore». [151]

Ma leggiamo soprattutto il grande discorso finale di Gesù sull'amore fraterno: [152] occorrerebbe citarlo tutt'intero, poiché è esattamente quello che ci potevamo aspettare:

«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi», e con ancora più insistenza: «Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

Non si parla qui di amore per il prossimo, di amore tra tutti gli uomini: il discorso si rivolge ai discepoli, a coloro che Gesù ha scelto, che egli chiama suoi «amici». Certo, saranno odiati nel mondo, ma almeno che rimangano uniti tra loro! Ora che se ne va, li prega di conservare questo amore, senza il quale la sua opera non potrà sopravvivere.

Gesù insisterà ancora su questo tema nella sua preghiera al Padre:

«Non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: che siano tutti uno... Io ho dato loro la gloria che tu hai data a me, affinché siano uno come noi siamo uno, io in loro e tu in me». [153]

Chi potrebbe negare che questo sia il messaggio essenziale del IV° vangelo?

La revisione dei sinottici — Quel tentativo di unione si scontrò, come si pensa, con molte difficoltà, e l'intransigenza delle sette non favoriva il loro riavvicinamento. Tra queste sette, una disponeva di armi che non le permettevano quasi il minimo ripiegamento, voglio parlare della chiesa di Roma con i suoi tre vangeli. Per reazione contro gli Gnostici, si aveva talmente umanizzato Gesù che non era più un dio, e che alcuni tendevano già a vedere in lui solo un uomo ispirato, una sorta di saggio alla maniera di Socrate, mentre gli avversari del cristianesimo, Celso o Luciano di Samosata, si facevano beffe del capo di briganti o del «profeta impalato», senza mettere in dubbio che fosse stato un uomo.

Disumanizzando il personaggio di Gesù, riaffermando la sua divinità, il IV° vangelo reagiva contro quella concezione. Ma cosa fare dei sinottici, che affermavano con tanta insistenza l'umanità di Gesù, la sua nascita, i suoi pasti con i peccatori, i suoi moti di ira improvvisi, il sudore di sangue della sua agonia? Non era più tempo di sopprimere tanti dettagli imbarazzanti, ma bisognava almeno cercare di attenuarli, di interpretarli. 

Quel tentativo di revisione dei sinottici è manifesto nel IV° vangelo. Lo si è fatto in due modi: o si sono rimossi dalla vita di Gesù gli episodi più materiali, oppure se ne è data un'interpretazione simbolica.

A — Ho segnalato più sopra tutto ciò che manca nel IV° vangelo, in relazione ai sinottici. Alcune di queste lacune possono spiegarsi per varie ragioni, per l'assenza dell'episodio nella fonte dello pseudo-Giovanni, per l'ignoranza dei «logia». Ma altre lacune sono certamente volontarie, e non è un caso che il IV° vangelo sopprima proprio tutto ciò che può sembrare il più odioso agli Gnostici:

— soppressione totale della nascita, e sostituzione con un prologo che afferma la natura divina;

— soppressione di ogni genealogia; [154]

— eliminazione dei miracoli troppo dubbi, che realizzano tutti i ciarlatani, come l'espulsione di una legione di demoni dal corpo di un posseduto;

— eliminazione dei moti d'ira, delle maledizioni, indegne di un dio;

— modifica totale dell'atteggiamento di Gesù che, invece di tacere la sua divinità e di comandare il segreto, rivendica, al contrario, pubblicamente il suo titolo di Figlio di Dio; sostituzione del silenzio inquietante davanti a Pilato con un discorso che rivendica la regalità celeste.

B — Il secondo metodo è ancora più netto, consiste nel riprendere vari elementi contenuti nei sinottici, ma nel cambiarne il significato. Infatti, lungi dall'ignorare i sinottici, il IV° vangelo li utilizza, ma li traspone. Anche qui, mi limiterò agli esempi più caratteristici:

— il più importante è la moltiplicazione dei pani: il IV° vangelo conserva questo episodio, ma questo trucco di prestigio prende un significato simbolico, e serve a introdurre l'insegnamento sul pane di vita. [155]

— la guarigione del paralitico [156] serviva da prova del potere di rimettere i peccati, cosa che non poteva essere negata per il Logos: così il IV° vangelo, trasportando una scena analoga a Gerusalemme, [157] la inverte. Gesù comincia col guarire il paralitico, dopo avergli domandato: «Vuoi guarire?» Ed è solamente in seguito che dà il senso di quella guarigione: «Ecco, tu sei guarito, non peccare più», la guarigione è diventata puramente morale;

— trasposizione analoga nella guarigione del cieco nato. [158] Marco non raccontava che un piccolo miracolo senza portata, Giovanni sviluppa l'episodio per permettere di far dire a Gesù che egli è la «luce del mondo», che d'ora in poi sono i ciechi a vedere, e che coloro che si rifiutano di credere saranno i veri ciechi. Non è più il fatto del miracolo che importa, ma il simbolo!

— Ho già spiegato come la resurrezione di Lazzaro non fosse che una messa in scena della parabola di Luca e della sua lezione: «Non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti». Lo pseudo-Giovanni non si limita a far realmente uscire Lazzaro dalla tomba, questo miracolo illustra il detto: «Io sono la resurrezione e la vita», [159] e dimostra che chiunque creda al Figlio di Dio, «anche se muore, vivrà».

— Infine il Logos non poteva, come il Gesù dei sinottici, pregare il Padre di allontanare da lui il calice, né sudare del sangue. Così annuncia, al contrario: «Che dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma è per questo che sono venuto incontro a quest'ora». [160

È così che il IV° vangelo corregge i sinottici.

C — Da tutto ciò risulta un'impressione ben diversa: laddove avevamo un uomo, abbiamo solo un dio che realizza i suoi disegni con estremo rigore. È cacciando i venditori dal Tempio che inaugura il suo ministero e la sua manifestazione, [161] e fin dall'inizio proclama che distruggerà il Tempio e lo ricostruirà in tre giorni; [162] nei sinottici, queste manifestazioni non erano date che alla fine, e i discepoli non ne comprendevano il senso. In Giovanni, tutto è dato sin dall'inizio, come conseguenza del prologo, e si spiega ciò che, nei sinottici, restava oscuro: «Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando dunque fu risorto dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che egli aveva detto questo». [163]

D — Questo modo di correggere i sinottici permette di respingere l'opinione secondo la quale il IV° vangelo riporterebbe una «tradizione» diversa: non vi è tradizione giovannea, gli elementi di fatto derivano dai sinottici, ma sono utilizzati in modo diverso, in una prospettiva nuova.

Beninteso, il IV° vangelo contiene episodi sconosciuti ai sinottici, e soprattutto insegnamenti che non derivano dai «logia». Ma è necessario sottolineare allo stesso tempo quella dipendenza in relazione a buona parte dei materiali, e nello stesso tempo il loro utilizzo sistematico in uno spirito diverso, per cercare di farli accettare in un senso mistico.

Pietro e Giovanni — Per accreditare il nuovo vangelo d'unione, bisognava porlo sotto un alto patronato, che potesse eclissare i sinottici: Marco e Luca non erano che comparse, ma Matteo era uno dei dodici, bisognava cercare un super-apostolo.

Già a Roma si aveva avuta la stessa idea, e ci si sforzava di ingrandire il ruolo di Pietro, molto oscurato nelle origini, così come ne testimonia l'epistola ai Galati. Anche se la missione essenziale di Pietro, in Matteo solo, costituisce un'interpolazione, è innegabile che i sinottici preparino già la riabilitazione di Pietro, promosso a «principe degli apostoli». Bisognava quindi opporre a Pietro un altro capo dei dodici. La soluzione normale sarebbe senza dubbio consistita nello scegliere Giacomo, il capo reale della comunità primitiva. [164] Ma la morte di Giacomo, ucciso a Gerusalemme, era un fatto fin troppo noto.

Non restava quindi che scegliere un apostolo più oscuro, e collocarlo al primo posto. Nessuno si prestava meglio di Giovanni a quella elevazione, personaggio di secondo piano ma spesso presente nei sinottici: se ne fece il discepolo «che Gesù amava», cosa che tutti avevano ignorato fino ad allora.  Senza dubbio Giovanni era morto con suo fratello, ma era molto meno conosciuto, ed era facile prestargli una seconda vita... un po' troppo oltre. Ora giusto un presbitero Giovanni era vissuto a Efeso: contrariamente ad alcuni esegeti, credo che la confusione fosse intenzionale. 

Così il IV° vangelo riduce il ruolo di Pietro, ed esalta un Giovanni davvero poco conosciuto ai sinottici. «Si tratta di mostrare il discepolo gnostico più vicino a Gesù rispetto all'apostolo ebreo». [165] Pietro rinnegava e abbandonava Gesù nella passione; il Giovanni ideale della nuova sintesi resterà fedele fino ai piedi della croce. Allo stesso tempo egli sarà questo testimone diretto degli ultimi momenti, la cui assenza costituisce una seria obiezione alla credibilità dei racconti della passione nei sinottici. Dopo la morte di Gesù, Luca faceva andare Pietro da solo alla tomba vuota, [166] il IV° vangelo gli aggiunge questo «altro discepolo» anonimo, [167] nel quale tutti indovineranno Giovanni.

Il capitolo 21 — Non c'è dubbio che si era andati troppo lontano: se Roma poteva avallare il «discepolo amato», non poteva accettare l'abbassamento del ruolo di Pietro. Vi furono probabilmente delle reazioni, che provocarono l'aggiunta del capitolo 21. Tutti i critici concordano nel vedervi un'aggiunta successiva, ma perché quella aggiunta, se il suo contenuto non era parso necessario?

Quella volta non si ha più alcuna ragione di tacere il nome del discepolo amato, che tutti conoscono. Così, benché il IV° vangelo ignori totalmente i figli di Zebedeo, essi appaiono bruscamente in 21:2: è un riferimento ai sinottici.

Si immaginerà in seguito quella pallida rievocazione della pesca miracolosa, e si farà apparire Gesù in Galilea ai discepoli ridiventati pescatori, — mentre, secondo gli Atti, essi rimasero tutti a Gerusalemme, avendo ricevuto l'ordine di non allontanarsene. [168] L'appuntamento: «Io vi precederò in Galilea» [169] figurava già in Marco e in Matteo, oppure lo si è aggiunto al momento dell'armonizzazione finale, per iniziare il capitolo 21 del IV° vangelo? Non ne so nulla, ma propenderei per la seconda ipotesi.

Gesù appare quindi a Pietro, in riva al lago, senza che ci si prenda cura di inventare qualcosa di nuovo. E, con un ultimo gesto di conciliazione, si ristabilirà, in riva al lago, una sorta di missione affidata a Pietro, che possa soddisfare la tendenza romana. Mentre, in tutta l'opera, Gesù vivo non ha mai affidato alcun ruolo particolare a Pietro, il risorto gli dirà: «Pasci le mie pecore». [170] Poi Gesù annuncerà a Pietro il suo futuro martirio.

Ma l'occasione era troppo bella per non approfittarne anche a favore di Giovanni: l'aggiunta si concluderà quindi con un altro annuncio a Giovanni, che permetterà di accreditare la sua sopravvivenza e l'attribuzione del vangelo.

Il capitolo 21, benché sia chiaramente un'aggiunta successiva, resta quindi nello spirito del vangelo tutt'intero, costituisce l'ultimo tentativo conciliatorio tra i cristiani divisi.

Risultati — Quel tentativo di conciliazione generale riuscì in parte, poiché la Chiesa ha ammesso il IV° vangelo nel suo canone. Esso fallì, nella misura in cui non ha soppiantato i sinottici.

Non ha certamente ricondotto tutti gli Gnostici nel seno di una Chiesa unificata, poiché le controversie sono continuate con Ireneo, Ippolito, Tertulliano e altri. Ma si può pensare che abbia trattenuto nel cristianesimo sette dissidenti che, senza il vangelo di Giovanni, se ne sarebbero separate, tutti quei «cristiani di san Giovanni», non del tutto ortodossi, adoratori del Logos più che del crocifisso. Ancora nel XIII° secolo, i Catari, negatori dell'incarnazione, si diranno cristiani basandosi sul vangelo di Giovanni.

Ma il IV° vangelo avrà soprattutto una conseguenza imprevista dai suoi autori: grazie alle espressioni sul Logos, alle sue assimilazioni di Gesù a Dio, permetterà tutte le speculazioni teologiche del III° secolo e fino alla sintesi di Nicea. Quella sintesi non sarebbe stata possibile senza gli elementi del IV° vangelo, che già formavano la base del sincretismo cristiano.

Così la Trinità non figura nel IV° vangelo, ma vi è in germe. Quando Gesù alita sui suoi discepoli dicendo: «Ricevete lo spirito santo», [171] si tratta ancora solo dell'ispirazione divina, non di una terza persona in Dio. Ne è lo stesso della promessa precedente: «Lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa», [172] o dell'espressione «lo spirito di verità che procede da Dio». [173] Ma sarà facile personificare lo Spirito Santo, come si aveva personificato il Logos.

Gli ebrei — Al momento della stesura del IV° vangelo, si aveva già rinunciato a convertire gli ebrei. Lo pseudo-Giovanni [174] è molto sprezzante nei loro confronti, e non si deve necessariamente supporre, come Turmel, che questo disprezzo sarebbe venuto da Marcione: questi non aveva il monopolio dell'antigiudaismo! In breve, se lo scrittore di Matteo aveva veramente tentato di convincere gli ebrei che Gesù era il Messia, egli aveva fallito in quel tentativo, e il IV° vangelo non cerca più di ritornare su una rottura già consumata.

Va da sé che gli ebrei monoteisti accetteranno ancora meno facilmente quella divinizzazione del Gesù Logos: non si potrebbe avere un Figlio di Dio senza ristabilire una forma di politeismo, — ed è proprio questo infatti a cui porterà il IV° vangelo, aggravato dal dogma della Trinità.

Si noterà però che, se lo pseudo-Giovanni ha rinunciato a convertire gli ebrei, non contiene l'espressione di maledizione di Matteo [175] che giustificherà in seguito tutte le persecuzioni. Giovanni non condanna gli ebrei, li disprezza. Ma li conosce bene, quando fa loro dire: «Noi abbiamo una Legge, e secondo questa Legge egli deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio». [176] È proprio questo, in effetti quel che gli ebrei non potevano perdonare, e rendeva impossibile l'adesione degli ebrei: la macchina infernale che costituisce quella condanna ineluttabile del Figlio di Dio è molto più apparente in Giovanni che nei sinottici. 

Ma se gli ebrei respingono Gesù, lui li contraccambia. [177] Non è venuto per loro; la legge di Mosè è superata. [178] «La legge fu data da Mosè, la grazia e la VERITÀ da Gesù Cristo». [179] La Legge di Mosè non era dunque la verità! Marcione avrebbe potuto firmare quella espressione. Il Messia giovanneo non è venuto a salvare la razza di Abramo; egli è il salvatore del mondo [180] e non quello degli ebrei. E questi saranno esclusi dal regno, non perché abbiano commesso una colpa rimanendo fedeli alla loro legge, ma perché Dio ha previsto in anticipo che sarebbero esclusi: Dio li ha volontariamente accecati, così come aveva predetto Isaia. [181] Non sono quindi maledetti a causa di un crimine, come in Matteo, ma è forse peggio, sono respinti senza motivo.

Allora perché quella insistenza del IV° Vangelo sulla localizzazione a Gerusalemme dell'attività di Gesù, contrariamente ai dati dei sinottici? È che Gerusalemme era diventata per i cristiani un nome simbolico. La città, rasa al suolo da Tito, era stata ricostruita in stile romano da Adriano, ma l'Apocalisse aveva propagato l'idea di una Gerusalemme celeste, nella quale i cristiani vedevano il simbolo del mondo nuovo, cristianizzato. È in quella Gerusalemme celeste, molto più che nella capitale della Giudea, che Gesù doveva fondare il suo regno. 

NOTE

[143] Le quatrième Evangile, pag. 119.

[144] Marco 13:22-23, Matteo 24:24-25.

[145] 1 Giovanni 1:19.

[146] 2 Giovanni 7.

[147] Efesini 16, Magnesiani 8.

[148] Magnesiani 10.

[149] Tralliani 6.

[150] Filadelfiani 7.

[151] Giovanni 10:16.

[152] Giovanni 15:1-17.

[153] Giovanni 17:20-23.

[154] Si trova ancora però menzione della madre e dei fratelli (2:1, 2:12, 7:5, 7:10), forse reintrodotti al momento dell'armonizzazione?

[155] Giovanni 6:1-14 e 6:22-59.

[156] Marco 2:3-12, Matteo 9:2-8, Luca 5:18-25.

[157] Giovanni 5:5-18.

[158] Giovanni 9:1-41.

[159] Giovanni 11:25-27.

[160] Giovanni 12:27.

[161] Giovanni 2:14-16.

[162] Giovanni 2:19.

[163] Giovanni 2:21-22.

[164] Sembrano esserci stati dei tentativi in tal senso, come testimoniano le Omelie clementine.

[165] LOISY, op. cit., pag. 128.

[166] Luca 24:12.

[167] Giovanni 20:3.

[168] Atti 1:4.

[169] Marco 14:28, Matteo 26:32.

[170] Giovanni 21:17.

[171] Giovanni 20:22.

[172] Giovanni 14:26.

[173] Giovanni 15:26.

[174] Dimenticando che il figlio di Zebedeo era probabilmente lui stesso ebreo.

[175] Matteo 27:25.

[176] Giovanni 19:7.

[177] Si veda Giovanni 5:54, 9:41, ecc.

[178] Giovanni 1:17, 4:23, 6:32, 8:17 (la vostra legge), 10:34 (id.).

[179] Giovanni 1:17. Allo stesso modo: «Se rimanete fedeli alla mia parola... conoscerete la verità» (8:31).

[180] Giovanni 4:42.

[181]  Isaia 12:37-39.

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