domenica 3 gennaio 2021

IL PUZZLE DEI VANGELIFonti pagane

 (segue da qui)

6° Fonti pagane

Vedendo l'importanza delle fonti ebraiche (ed essene) nel cristianesimo, ci si chiede come Marcione abbia potuto pensare di separare la nuova religione dall'ebraismo. L'idea non era tuttavia così stravagante come sembra: avremmo avuto un cristianesimo diverso, senza dubbio, ma in sostanza non sarebbe cambiata così tanto la sostanza dei dogmi, perché se il contesto generale del cristianesimo è ebraico, la sostanza della religione cristiana non è di origine ebraica.

Dopo aver esaminato le fonti ebraiche, resta quindi da considerare l'aspetto opposto delle origini cristiane. 

Non insisterò qui sulle analogie superficiali con la mitologia greca: basterà ricordare quella che concerne la nascita divina e verginale di Gesù, inconcepibile in ambiente ebraico (o esseno), ma molto comune nel paganesimo.

In Egitto, il faraone era considerato generato da Amon. In Grecia, numerosi sono i semi-dèi nati da rapporti tra una divinità e una mortale (o viceversa): la bella Elena era figlia di Zeus e di Leda, ed è per il suo antenato Enea che Cesare pretendeva di discendere da Venere. Alcmena non era certamente vergine quando concepì Ercole da Zeus, ma suo marito Anfitrione giocò proprio lo stesso ruolo di Giuseppe, sposo di Maria. E l'annunciazione le era stata fatta, come a Maria, non da un angelo, ma dall'indovino Tiresia: «Rallegrati... tu sarai venerata dal popolo di Argo». Un altro semidio, Perseo, era privilegiato da una nascita verginale, e ciò turbava Giustino.

Ma è soprattutto della leggenda della nascita di Platone che sembra ci si sia serviti per Gesù. Secondo Diogene Laerzio, è grazie alla protezione di Apollo che la madre di Platone, Perictione, restò vergine fino al suo concepimento. Apollo era apparso a suo marito Aristone, per proibirgli di avere rapporti con la moglie fino ad allora. [172] Questo è esattamente ciò che ci viene raccontato sul conto di Giuseppe: «Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio». [173

Lasciamo là queste leggende, alle quali nessuno ci credeva più al tempo di Augusto. Quando parlo del paganesimo, non si tratta qui della mitologia, ma dei culti che rappresentavano veramente, all'inizio dell'impero romano, lo sfondo religioso del pensiero antico. Questi culti venivano tutti dall'Oriente, come il cristianesimo; come esso, erano pervenuti, per influenze reciproche o contaminazione, ad una dottrina e a riti molto simili a quelli del cristianesimo.

Che si trattasse dei culti misterici, o della Gnosi siriana, il tutto derivante da Zoroastro, si era arrivati ad una credenza abbastanza uniforme, quella del «Salvatore». Si comincia col constatare l'esistenza del male, e si conclude, da una parte, che il Dio buono, il Dio supremo, non può essere il creatore di un mondo così malvagio, dall'altra parte che è inconcepibile che questo Dio non faccia nulla per migliorare la triste sorte degli uomini: l'intervento di una divinità superiore in questo mondo perverso appare nello stesso tempo come una aspirazione legittima ed una necessità logica.

Senza dubbio il Dio supremo potrebbe sopprimere il male, ma non vuole ancora farlo. Per di più, cosa si tratta di salvare? Si è largamente diffusa l'idea che l'uomo sia duplice, costituito da un corpo destinato alla putrefazione e da un'anima immortale, ed è l'anima sola che ha bisogno di un Salvatore. Tutti i culti, che si diffusero nella stessa epoca nell'impero romano, insegnano l'immortalità dell'anima; questa è una antica credenza, che Platone aveva lui stesso derivato dai misteri di Eleusi. Ma l'anima è prigioniera nella carne, e così decaduta che non può liberarsi con i suoi propri mezzi, è necessario l'intervento di un dio salvatore. Questo è ciò che insegnano tutti i culti ellenistici, e questo è anche ciò che insegnerà il cristianesimo.

Il Salvatore non è il Dio supremo, è un essere celeste, di un rango elevato ma ancora inferiore al grande Dio, che scenderà in questo mondo inferiore per compiervi una missione. In ambiente ebraico, questo politeismo apparirà scandaloso, ma l'esistenza di divinità intermedie, di una gerarchia di esseri celesti, non può scandalizzare i pagani.

Su questo terreno, l'analogia del Messia ebraico, del Logos giovanneo con gli dèi salvatori appare evidente: il Figlio dell'uomo di Enoc, come il Logos di Filone, sono definiti ciascuno «figlio primogenito di Dio», sono di rango inferiore al Padre e procedono da lui, esattamente come Attis o Mitra. Una nozione pagana si è così infiltrata nel giudaismo, con grande scandalo degli ebrei ortodossi e ferocemente monoteisti: essa presuppone già una contaminazione del pensiero greco e rimarrà sempre ai margini del pensiero ebraico.

In che modo il dio salvatore realizzerà la sua missione, trionfare sul male e chiamare le anime ad una beata immortalità? Ci vorrebbe troppo tempo per spiegare come si è venuti a quell'idea, a noi strana: il dio deve morire e risorgere. Il suo trionfo sulla morte è necessario, e sarà in seguito comunicabile ai suoi fedeli per mezzo di un rito di iniziazione. Tutti i misteri pagani hanno lo scopo di far partecipare l'iniziato alla morte e alla resurrezione del dio; da questo punto di vista, è corretto dire che «il Signore Gesù Cristo è afferrato come una divinità delle religioni del mistero: per mezzo del sacramento, il credente partecipa alla Sua morte e alla Sua resurrezione». [174]

Il dio salvatore muore in vari modi, secondo i culti; ma egli risorge generalmente dopo tre giorni, e sempre in primavera: questo perché si tratta di antichi riti agrari, che celebrano la resurrezione della vegetazione. Il mistero della redenzione è simboleggiato dal germogliare del chicco di grano, che deve dapprima essere seppellito per rivivere, e l'apostolo Paolo conosce bene quella immagine. [175

La più antica allusione a questo rito è probabilmente quella che figura in una leggenda di Ugarit, che risale almeno al II° millennio prima della nostra era. Ma è abbastanza curioso notare che, in questo antico testo cananita, il chicco di grano è Alein Baal, ossia il Figlio di Dio. Il doppio simbolo del chicco di grano che rinasce e del Figlio di Dio, che muore e rinasce per dare vita agli uomini, quindi esisteva già, fin da una remota antichità, nei luoghi stessi dove il cristianesimo situa l'origine dell'eucarestia e la morte del Figlio di Dio, seguita dalla sua resurrezione. Un'influenza diretta di questo culto locale rimane possibile, ma non esclude quella di altri culti ellenistici, che insegnano la stessa dottrina.

Infine, la resurrezione del dio è di diretto interesse per il fedele solo se garantisce a quest'ultimo la sua stessa immortalità, solo se è comunicabile e apre all'iniziato le porte della vita eterna. 

Questo è ciò che leggiamo, ad esempio, in una formula egiziana: «Come è vero che Osiride vive, anch'egli vivrà; come è vero che Osiride non è morto, neanche lui morirà; come è vero che Osiride non è annientato, neanche lui sarà annientato». Questo è ciò che ci rivela, sui misteri di Eleusi, l'inno omerico a Demetra: «Felice colui che possiede, tra gli uomini, la Visione di questi misteri! Ma chi non è iniziato ai misteri, chi ne è escluso, giammai avrà simile destino, nemmeno dopo la morte, laggiù, nella squallida tenebra» (1:480). E questo è esattamente ciò che dice anche l'apostolo Paolo: «Se Gesù Cristo non è resuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede». [176]

Ecco perché, in tutti questi culti, vediamo il dio salvatore, prima di risalire nella dimora celeste di cui ha aperto le porte, istituire uno o più riti di «comunione», permettendo all'iniziato di unirsi al suo sacrificio e al suo trionfo. «Quando la divina fra le Dee ebbe tutto rivelato, si avviò per salire all’Olimpo, al consesso degli altri Dèi», precisa l'inno a Demetra. Parallelamente Mitra, nel corso di un ultimo pasto con i suoi discepoli, istituirà un sacramento che permetterà ai suoi fedeli di unirsi a lui in vista della loro immortalità. Infatti il sacrificio del dio, benché compiuto nel tempo, conserva, per la virtù del rito, un valore permanente: il dio non è morto che una sola volta, ma il rito rinnova eternamente il valore di questo sacrificio, e permette di trarne i frutti durante tutti i secoli a venire.

Si vede quanto vi ritroviamo di idee familiari ai cristiani. Ma non è un riscontro fortuito, si tratta proprio del fondamento della salvezza. L'apostolo Paolo ha predicato un dio salvatore, identico a tutti i salvatori dell'ellenismo; le analogie tra la dottrina e i riti dei culti misterici e quelli del cristianesimo hanno talmente colpito gli scrittori cristiani del II° secolo, che essi hanno accusato i pagani di plagio. Quello che ignoravano è che tutti questi culti sono molto anteriori al cristianesimo: se c'è stata imitazione o influenza, è perché l'ultimo venuto ha beneficiato delle credenze e dei riti che si sono trasmessi fino a lui.

Questo rapido riassunto basta a far risaltare le influenze pagane o ellenistiche che formano l'elemento essenziale del sincretismo cristiano, la vera dottrina della salvezza. Da questo punto di vista, Gesù è solo uno degli dèi salvatori del paganesimo orientale, trasposto in un ambiente ebraico o rivestito di un'apparenza ebraica. Infatti le nozioni di un'incarnazione divina, della morte del dio e della sua resurrezione in primavera, quella della teofagia tramite il consumo della carne e del sangue (anche sotto forma di vino), sono assolutamente estranee al giudaismo, e sono persino inconcepibili in ambiente ebraico.

La Chiesa accentuerà ancora queste dipendenze dai culti pagani annettendo riti, feste, luoghi di culto, — come la natività fissata al solstizio d'inverno per competere con la festa della natività di Mitra, la grotta di Betlemme (dove si celebrava il culto di Adone), la settimana santa (imitata dal rituale del culto di Attis), e soprattutto i riti del battesimo di rinascita e della comunione col pane e la coppa, che esistevano già nei culti misterici, ben prima della nascita del cristianesimo.

GESÙ DIO SALVATORE — Che Gesù sia un dio salvatore, ciò risulta innanzitutto dal suo nome, che non è un nome di persona, ma un nome di culto. Il nome «Gesù Cristo» traduce esattamente la fusione, realizzata in lui, delle nozioni di Salvatore e di Messia; ma è per il suo titolo di Salvatore che Gesù si è fatto ammettere fuori dal giudaismo.

Che Gesù significa «salvatore» e designa un dio salvatore, gli evangelisti non mancano mai un'occasione per ricordarcelo. Anche se è per riferimento ad Abacuc, [177] Maria, nel Magnificat, saluta il nascituro col nome di Salvatore. [178] Nella notte della natività, un angelo annuncia ai pastori: «Oggi vi è nato un salvatore». [179] È lo stesso angelo che aveva prescritto a Giuseppe di chiamare il bambino col nome di Gesù, «egli infatti salverà il suo popolo». [180]

Sulla croce, ancora una volta, è a questo titolo che lo si schernisce: i sacerdoti e gli anziani dicono che questo Salvatore «non può salvare sé stesso». [181]

Che ci sia un'influenza del paolinismo o di Marcione, è del tutto possibile, ma il Cristo di Paolo e di Marcione è soprattutto un Salvatore.

IL SACRIFICIO — A più riprese Gesù avverte i suoi discepoli della necessità del sacrificio che accetta volontariamente: è necessario che il Figlio dell'uomo sia consegnato e messo a morte. [182] I discepoli non capiscono, e senza dubbio nessun ebreo avrebbe potuto concepire la morte di un dio. Ma quella necessità è ben nota in tutti i culti misterici: il Salvatore deve morire per il riscatto delle anime. Contro gli Gnostici e Marcione, che potevano vedervi solo un'apparenza, i vangeli affermeranno quindi la realtà della morte di Gesù: in ciò, non faranno altro che ripetere la dottrina dei misteri, perché per assicurare ai suoi fedeli l'immortalità, bisogna prima di tutto che il dio trionfi realmente sulla morte. È ancora ciò che ci insegnerà sant'Agostino: «Il Signore Gesù è un Dio che salva... ci avrebbe salvato morendo». [183] Siamo in pieno ellenismo mistico.

Sarà in seguito necessario che ciascuno partecipi al sacrificio, che ciascuno «porti la sua croce». Infatti «chi vuole salvare la sua vita, la perderà», [184] ma «chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna». [185] Gli Gnostici non hanno mai insegnato altro.

LA RINASCITA — In tutti i culti misterici, l'iniziato subiva un rito simbolico, il cui significato profondo traduceva la sua morte e la sua rinascita; diveniva allora un uomo nuovo, per la virtù del dio salvatore. Questo è tutto l'insegnamento dato a Nicodemo: «Se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno dei cieli... dovete nascere di nuovo». [186] Siamo in piena dottrina dei misteri, come insegnava l'apostolo Paolo, [187] ma come appariva anche in vari culti segreti, e per esempio in questo frammento ritrovato di una liturgia di Mitra: «Signore, nuovamente nato, mi distacco, in quanto ascendo, e NELL'ASCENDERE MUOIO; nato da nascita che dà vita, nel morire sono liberato». [188] Si può trovare una analogia con l'espressione «una volta elevato, io muoio» nel IV° Vangelo. [189] Ma soprattutto, la «nascita che dà vita» è esattamente ciò che Gesù insegna a Nicodemo, [190] anch'esso solo nel IV° Vangelo: questo brano di origine pagana è stato inserito nel vangelo; non sappiamo da dove provenga, ma certamente da un culto estraneo al giudaismo, a meno che non sia ispirato a qualche opera gnostica. Se Nicodemo era ebreo, non solo sarebbe scusabile per non comprendere come si possa «rinascere», ma dovrebbe protestare contro questo insegnamento.

LA CENA — Il racconto dell'ultimo pasto di Gesù con i suoi discepoli è l'unico episodio dei vangeli che sembra contenere un po' di calore umano. Quella illusione scomparirebbe se possedessimo il racconto corrispondente dell'ultimo pasto di Attis o di Mitra, poiché probabilmente è stato modellato su uno dei due.

Dopo aver citato le parole di Gesù nel corso della Cena, Giustino aggiunge: «I malvagi demoni per imitazione, dissero che tutto ciò avveniva anche nei misteri di Mitra. Infatti voi già sapete, o potete apprendere, come nei riti di iniziazione si introducano un pane ed una coppa d'acqua, mentre si pronunciano alcune formule». [191] È anche sotto l'influenza dei demoni che gli adoratori di Dioniso avrebbero introdotto il vino nei misteri, e avrebbero insegnato che fosse salito in cielo dopo essere stato fatto a pezzi. [192] Tertulliano dice anche che il diavolo «imita i sacramenti di Dio nei misteri degli idoli» [193] in particolare per mezzo dell'oblazione del pane nel culto di Mitra.

Beninteso, l'imitazione può essere fatta solo dai cristiani, poiché tutti questi culti sono molto antecedenti al cristianesimo, ma si vede che queste analogie avevano colpito gli autori cristiani molto più di quanto abbiano colpito noi, poiché tutti questi culti sono scomparsi. L'apostolo Paolo sa anche che esiste un calice cristiano e un calice demoniaco. [194]

Tutti questi dèi, prima di scomparire temporaneamente nella morte o di ascendere al cielo, riunivano i loro discepoli in un pasto d'addio, e in quella occasione istituivano il sacramento di comunione col pane e l'acqua o il vino. Una tale analogia non può essere fortuita: malgrado le sue apparenze, il racconto della Cena è quindi simbolico e rituale, non è un ricordo autentico.

LA COMUNIONE — Secondo Tertulliano, è il Cristo di Marcione che avrebbe fatto per primo del pane il simbolo del suo corpo, e quella istituzione figura nell'Evangelion ricostruito. È dunque proprio in Marcione che va cercata l'origine del sacramento eucaristico. Ma ciò non vuol dire che Marcione l'abbia immaginato: non solo un'istituzione simile figurava, da molto tempo, in altri culti, ma era conosciuta da Paolo, — almeno se si ammette la completa autenticità di questo passo della 1° Epistola ai Corinzi. [195]

Attis, dio della vegetazione, era rappresentato da una spiga di grano. Conosciamo poco le cerimonie del suo culto, ma Firmico Materno ci dice che comportavano una vera e propria «cena», nel corso della quale il fedele mangiava un prodotto a base di grano. Anche Tertulliano è stato colpito da quella analogia.

Era lo stesso nel culto di Mitra, come lo si è appena visto sotto la penna di Giustino.

La formula che trasforma (simbolicamente o realmente) il pane nel corpo del dio non è quindi di origine cristiana, e il fatto di mangiare il dio, che sarebbe sembrato agli ebrei un sacrilegio spaventoso, non sorprende negli ambienti ellenistici da cui proviene.  

Quella certezza appare ancora più forte nel caso del vino, identificato al sangue divino: quella trasformazione esisteva nell'antico culto di Osiride. I fedeli di Attis e di Mitra bevevano a loro volta il sangue del dio in un calice consacrato. L'unica religione dove un tale rito appare impossibile è il giudaismo, poiché la legge di Mosè proibisce assolutamente il consumo di sangue. [196] Quando la prima epistola attribuita a Giovanni dice che «il sangue di Gesù ci purifica da ogni peccato», non può quindi riferirsi ad una nozione ebraica, ma ad un'idea molto comune nei culti dei vari Salvatori il cui sacrificio sanguinoso aveva una virtù redentrice.

LA RESURREZIONE — Come tutti gli dèi salvatori, Gesù muore e risorge, entro il consueto periodo di tre giorni. La Settimana Santa di Attis, celebrata pubblicamente a Roma a partire dall'imperatore Claudio, comportava il giorno del pianto per la morte del dio, e tre giorni più tardi la chiassosa celebrazione della sua resurrezione: si pensa che la Chiesa si sia ispirata a questo cerimoniale che attirava molto le folle.

Il Cristo di Marcione, si sa, non poteva morire. Dopo la sua scomparsa, è invano che si andava a cercare il suo corpo alla tomba, [197] un angelo diceva: «Perché cercate il Vivente tra i morti?» [198] Questo non è il caso di Gesù, che deve realmente subire la morte e trionfare su di essa, come tutti gli dèi simili: sennò, il suo sacrificio sarebbe vano e inefficace.

La risurrezione si presenta dappertutto in modo simile: nessuno vi ha assistito, si è soltanto trovata vuota la tomba. Questo è ciò che raccontavano anche i sacerdoti di Attis che, precursori delle agenzie turistiche di Gerusalemme, mostravano ai pellegrini la tomba vuota del loro dio. Il dio babilonese Marduc (dal quale i vangeli hanno preso, nel racconto della passione, il mantello di porpora e la corona d'acanto, che un errore di traduzione ha trasformato in corona di spine), risorgeva a sua volta il terzo giorno. Non conosciamo i dettagli della risurrezione di Mitra, ma sappiamo da Firmico Materno che il sacerdote, facendo sugli iniziati l'unzione santa,  diceva loro: «Rallegratevi, il vostro Dio è risorto dalla morte. Le sue pene e sofferenze saranno la vostra salvezza». [199

Sfortunatamente, a parte qualche frammento o citazione, nessun documento relativo a questi culti ci è pervenuto; è anche probabile che l'essenziale si trasmetteva oralmente. Ciò rende impossibile qualsiasi confronto esatto, al di fuori delle linee generali, ma si può misurare quanti elementi puramente pagani sono così passati nei nostri vangeli. Per esempio, tutto il discorso sul pane della vita [200] potrebbe provenire letteralmente da un culto come quello di Mitra o di Attis; il racconto della scoperta della tomba vuota è forse quello che facevano i sacerdoti di Attis; solo Matteo, inquieto per quella resurrezione clandestina, ha creduto di dover aggiungervi un brano ridicolo [201] a titolo di prova, ma gli altri evangelisti, non più dei fedeli di tutti gli dèi salvatori, non avevano gli stessi scrupoli: la resurrezione era sufficientemente assicurata, poiché garantisce l'immortalità individuale.

Oltre ai culti ellenistici, ho parlato poco dell'influenza delle fonti gnostiche, a parte quella di Marcione; non che la sottovaluti, ma essa si confonde in parte con quella del paganesimo, dal quale la Gnosi ha derivato elementi essenziali. Non sarebbe meno istruttivo confrontare i nostri canonici con i vangeli gnostici, per stabilire una lista dei punti in comune. Che cos'è, ad esempio, il resoconto della trasfigurazione, [202] se non una manifestazione propria del Cristo gnostico, il cui corpo non era che un'apparenza che mascherava la natura angelica e luminosa? Questo stesso Cristo, pura apparenza e non prigioniero della materia, può ben camminare sull'acqua, passare attraverso i muri: riprendendo tutti questi episodi da Marcione, si farà, senza accorgersene, del Gesù umano dei vangeli un essere contraddittorio; ma le contraddizioni non imbarazzano minimamente gli autori dei canonici.

NOTE

[172] Diogene Laerzio, 3:1.

[173] Matteo 1:24-25.

[174] BULTMANN, Le christianisme primitif, pag. 193.

[175] 1 Corinzi 15:37.

[176] 1 Corinzi 15:14 ss.

[177] Abacuc 3:18.

[178] Luca 1:46.

[179] Luca 2:11.

[180] Matteo 1:20 (l'aggiunta «dai suoi peccati» è posteriore).

[181] Marco 15:31, Matteo 27:42.

[182] Marco 8:31, 9:31, 10:33; Matteo 16:21, 17:22, 20:18-19; Luca 9:22, 9:44, 18:31-33.

[183] Città di Dio 17:18.

[184] Marco 8:35, Matteo 16:25, Luca 9:24.

[185] Giovanni 12:25.

[186] Giovanni 3:3.

[187] Romani 6:3-5; Galati 6:15.

[188] DIETERICH, Eine Mithraslithurgie, citato da O. Briem in Les sociétés secrètes de mystères, Payot, pag. 295.

[189] Giovanni 12:32-33.

[190] Giovanni 3:1-21.

[191] 1° apologia, § 66.

[192] 1° apologia, § 54.

[193] Praescr. 11.

[194] 1 Corinzi 10:20-21.

[195] 1 Corinzi 11:23-25.

[196] Genesi 9:4; Levitico 3:17, 17:10.

[197] Il Cristo di Marcione era messo simbolicamente nella tomba, come ci informa Epifanio.

[198] Citato da Epifanio, Haer. 42:11.

[199] De errore profan. relig. 22:1.

[200] Giovanni 6:26-58.

[201] Matteo 28:11-15.

[202] Marco 9:2-8, Matteo 17:1-8, Luca 9:28-36.

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