lunedì 21 dicembre 2020

IL PUZZLE DEI VANGELIComplessità del problema

 (segue da qui)

1 — Complessità del problema

Quando si è assicurato che un'opera è omogenea, che ha un autore unico, il problema della sua datazione è relativamente semplice: le incertezze che sussistono sulla data di composizione di alcuni dialoghi di Platone sono senza conseguenza, e il fatto che si siano pubblicati soltanto sette anni dopo la morte di Pascal i Pensieri, la cui data di composizione resta imprecisa, non modifica la portata di questi testi.

Il problema diventa più difficile, quando l'opera appare composita, quando potrebbe essere attribuita a più autori separati nel tempo. La cronologia dei poemi omerici è così complicata, non soltanto perché l'Iliade e l'Odissea non possono essere attribuite né allo stesso autore né allo stesso tempo, ma anche perché ciascuno di questi poemi riunisce frammenti di provenienze e di date diverse. [3] In questo caso, si deve distinguere tra la data dell'assemblaggio finale e quella di ciascuno dei frammenti così riuniti.

Ora, il problema dei vangeli appare molto simile a quello di Omero: un'analisi attenta vi discerne elementi di fonti diverse, persino contraddittorie. Se importa, per esempio, datare la fusione in un'opera unica di ciascuna delle fonti del IV° Vangelo, è ancora più importante discernere a quale epoca risale ciascuno degli elementi così sovrapposti, in particolare se il prologo è stato aggiunto ad una biografia preesistente di Gesù. Allo stesso modo, il Vangelo di Matteo potrebbe contenere elementi eterogenei, di cui certi sono precedenti alla sua composizione. Allo stesso modo, Loisy ha ben individuato due fonti (almeno) nel Vangelo di Luca, la seconda apparendogli un rimaneggiamento della prima. [4

I FRAMMENTI SU PAPIRO. — Da questo punto di vista, è molto utile esaminare la portata dell'argomento che si ricava a volte dai frammenti su papiro, scoperti principalmente in Egitto dall'inizio del nostro secolo.

La sostituzione della pergamena al papiro non si è fatta ad una data precisa, i due materiali sono stati a lungo utilizzati contemporaneamente, e si può pensare che in Egitto il papiro, prodotto locale, abbia prevalso a lungo sulla pergamena, importata quindi più cara. Il fatto di trovare un testo scritto su papiro non basta quindi a stabilire che sarebbe anteriore al IV° secolo.

È tramite l'analisi della scrittura che gli specialisti si sforzano di proporre date approssimative. Ma le forme della scrittura si sono evolute lentamente, e in modo molto disomogeneo secondo i luoghi e le scuole dei copisti. Il margine di incertezza che risulta da quel metodo raggiunge facilmente cento anni, il che è molto spiacevole nella nostra materia.

Infine, i papirologi lavorano generalmente sui testi molto danneggiati, che devono ricostruire. Alcune parole bastano a indirizzarli verso un testo conosciuto, e ricostituiscono le lacune secondo i testi conosciuti, il che impedisce di conoscerne le differenze.

Fatte queste osservazioni generali, vediamo ciò che si trova nei frammenti più spesso invocati. 

Bisogna innanzitutto scartare quelli che risalgono certamente al III° secolo, come il papiro Bodmer II (che contiene circa 14 capitoli di Giovanni, con lacune istruttive) o la collezione Chester Beatty, che contiene vari estratti dei vangeli e delle epistole canoniche. È certo che queste opere esistevano nel III° secolo, e queste scoperte non possono in nulla contribuire alla loro datazione.

Un solo manoscritto è certamente del II° secolo, è il papiro Rylands 457. Ma è impossibile sapere se è necessario farlo risalire alla prima metà del II° secolo, esso può anche ben risalire al 180, il che rimarrebbe compatibile con la mia datazione. Sia come sia, si tratta di piccoli frammenti, molto deteriorati, grazie ai quali si è potuto ricostruire 4 versi del capitolo 18 di Giovanni, i versi 31, 33, 37 e 39, relativi alla comparsa di Gesù davanti a Pilato. Anche supponendo che si trattasse proprio del racconto inserito nel IV° Vangelo, non si potrebbe concludere l'esistenza di tutto il Vangelo alla stessa data. Ben al contrario, sappiamo che, nel IV° Vangelo, il racconto della passione ha delle chance di essere l'elemento più antico, alcuni lo datano al 135 circa. Ma il Gesù che appare in questi quattro versi ricostruiti è il Logos giovanneo? L'intera questione è là, e il papiro non ci permette di rispondervi. 

Restano i manoscritti che possono risalire altrettanto bene alla fine del II° secolo che al III° secolo. Questi sono i più interessanti, poiché nessuno di loro contiene estratti dei nostri vangeli, ma espressioni o idee che sono passate nei vangeli sotto una forma ben diversa. Essi ci introducono quindi probabilmente a certe fonti dei vangeli, non al loro testo.

Tale è il caso del gruppo scoperto a Ossirinco in Egitto, e di cui gli elementi più importanti sono di provenienza gnostica: essi ci illuminano molto di più sui vangeli apocrifi che sui canonici. Nulla è più istruttivo, tuttavia, che confrontare alcune espressioni con quelle che si avvicinano nei canonici.

In Matteo, Gesù dice: «Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (18:3). Nulla di simile nei manoscritti egiziani, se non l'espressione seguente: «I suoi discepoli gli dissero: quando ti manifesterai a noi, e quando ti vedremo? Egli disse: quando vi spoglierete senza provare vergogna». Questo è forse il senso che bisogna dare a «diventare come i bambini», ma è certo che l'espressione è stata interpretata e non è la stessa.

Il Gesù di Matteo dice: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (18:20). È un pensiero molto bello, ma ecco ciò che era all'origine: «Dove ci sono tre divinità, esse sono divine. Dove ce ne sono due o una, io sono con lei. Sollevate la pietra, e mi troverete». Il senso stesso non è molto chiaro.

Il Gesù di Giovanni dice che egli è venuto in questo mondo «perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi» (9:39). Mi sembra difficile riconoscere quella espressione, inquietante ma nettamente discriminatoria, nella generalizzazione disillusa del Maestro egiziano: «Ho preso il mio posto nel mondo, e sono apparso loro nella carne. Li ho trovati TUTTI ubriachi, e NESSUNO assetato. Il mio animo ha sofferto per i figli degli uomini, perché sono ciechi di cuore»

Anche quando il significato è simile, la forma è diversa: non soltanto ciò non prova l'esistenza dei nostri vangeli alla data (incerta) di stesura di questi scritti, ma ciò tenderebbe piuttosto a provare che i loro autori non conoscevano ancora, delle parole del Signore, che una versione primitiva e insufficientemente elaborata, come se i «logia» si fossero perfezionati prima di passare nei nostri vangeli. 

Vi si trova, per esempio, l'imprecazione contro i Farisei, che puliscono l'esterno della coppa o del piatto, ma il cui interno è pieno di rapina e di malizia (Luca 11:39). Ma la forma è stata ammorbidita, poiché il manoscritto egiziano reca: «Tu hai pulito dal di fuori questa pelle che anche le cortigiane e le suonatrici di flauto profumano, lavano, puliscono e adornano per suscitare la brama degli uomini, mentre sono piene di scorpioni e di ogni iniquità». Come se lo scrittore di Luca, in presenza di tanta audacia, avesse sentito il bisogno di rendere il testo più decente. 

Le stesse osservazioni si impongono a riguardo del papiro Egerton II, scoperto in Egitto intorno al 1935, e che certi datano intorno al 180. Io non darò che un esempio significativo: tutti conoscono l'episodio del pagamento del tributo a Cesare, e la risposta famosa di Gesù: «Rendete a Cesare quello che è di Cesare». Nel nostro papiro non c'è ancora un Cesare romano: si domanda a Gesù, per tentarlo: «È lecito dare AI RE quel che spetta all'autorità ?» Ma egli elude la risposta, e si indigna soltanto che lo si sia chiamato «maestro».

Chiaramente, siamo in presenza, non di estratti diretti dei nostri vangeli, ma soltanto di alcuni «logia» o detti che si avvicinano a certe espressioni evangeliche. Ma vedremo che gli evangelisti hanno utilizzato raccolte di «logia»: la concordanza di alcuni detti non sarebbe quindi per nulla sufficiente ad autenticare l'insieme dei libri dove sarebbero riprodotti. 

Ma, a dire il vero, il confronto è piuttosto disastroso, anche per le espressioni che vi si prestano: la forma è ben diversa, se il significato resta simile. Per molti, non c'è nemmeno un equivalente nei vangeli. È quindi fuori questione trarre argomenti da queste poche frasi, se non forse per dimostrare quanto liberamente gli scrittori evangelici abbiano utilizzato le fonti di cui disponevano.

Quanto ai vangeli considerati nel loro insieme, la probabilità di modifiche tra il II° e il IV° secolo appare grandissima, se si tiene conto dei fatti seguenti:

— è soltanto nel 325, al Concilio di Nicea, che fu fissato il dogma cristiano, specialmente il dogma cristologico: si deve quindi presumere che i manoscritti successivi abbiano subìto correzioni in vista di metterli in armonia con le nuove definizioni (il che potrebbe peraltro spiegare la scomparsa di tutte le copie precedenti);

— Sappiamo che, dalla fine del II° secolo, un lavoro di armonizzazione dei vangeli fu intrapreso, in particolare da Taziano; è impossibile sapere fino a che punto fu spinta quella armonizzazione e quale fu la sua influenza sui nostri testi, ma non c'è più motivo di ammirare le concordanze dei testi sinottici, se si tiene conto di questo lavoro;

— le modifiche apportate ai vangeli iniziali sono denunciate da Celso, autore pagano avversario del cristianesimo e praticamente contemporaneo di Ireneo: «È di pubblica notorietà che parecchi tra voi, come provenendo da una gozzoviglia e portando la mano su sé stessi, hanno alterato a loro piacere tre, quattro volte e anche più i testi primitivi del vangelo per poter respingere le contro-argomentazioni». [5] Vi erano dunque ancora, verso la fine del II° secolo, rimaneggiamenti frequenti dei testi evangelici;

— la critica di Celso è tanto più da trattenere, in quanto i vangeli appaiono come armi nel combattimento che la Chiesa conduce allora contro le sette gnostiche: nella misura in cui gli avversari sollevano le obiezioni, si sono dunque rimaneggiati i testi per rispondere a queste obiezioni. Per esempio, è per confutare le affermazioni del Cristo di Marcione, secondo le quali egli non aveva avuto una nascita carnale, che si aggiunse i prologhi dell'annunciazione e della natività ai testi di Matteo e di Luca. 

Queste osservazioni appaiono così gravi che ci si può chiedere se resta, nei testi che ci sono pervenuti, qualcosa della stesura iniziale.

Non bisogna per nulla esagerare però.

Innanzitutto, il fatto che importanti differenze sussistano, anche tra i sinottici, dimostra che il lavoro di armonizzazione non ha potuto essere spinto molto lontano, senza dubbio perché i testi erano già troppo diffusi, troppo conosciuti perché si potesse rielaborarli totalmente: se non avessimo che un rimaneggiamento profondo o totale risalente al IV° secolo, esso sarebbe certamente più efficace, più omogeneo.

Del resto, noi sappiamo che i testi canonici furono catalogati intorno all'anno 200, così come testimonia un documento chiamato canone di Muratori. Ciò non vuol dire che, da quell'epoca, i testi fossero già intoccabili: noi vi discerniamo ancora interpolazioni ulteriori, come quella che, in Matteo, riporta la presunta fondazione della Chiesa. Ma nel complesso si deve ammettere — non potendo dimostrare il contrario, e anche secondo alcune citazioni fatte dagli autori successivi — che la versione conosciuta da Ireneo intorno al 190, e uniformata intorno al 200 nel canone di Muratori, non differiva sostanzialmente da quella che è stata trascritta nel IV° secolo, sotto riserva di alcune interpolazioni, poco numerose, risalenti al III° secolo.

Si rilevano però in Ireneo delle divergenze che provano che egli disponeva, almeno su certi punti, di un testo diverso dal nostro: sennò come avrebbe fatto a far morire Gesù in uno stato di «vecchiaia avanzata, come testimonia il vangelo»? [6]

Prima del 190, è la nebbia totale, poiché non abbiamo alcuna menzione indiscutibile di un testo evangelico.

Tuttavia, anche se ammettiamo che la stesura dei vangeli, come la conosciamo, non sia molto anteriore al 190, — poiché in particolare Giustino, morto intorno al 165, non l'utilizzava —, non ne consegue che tutto risalga a quel periodo. Molto probabilmente le versioni scritte tra il 150 e il 190 riproducevano o utilizzavano elementi precedenti: è allora un problema diverso che si pone, quello delle fonti dei vangeli, che non va confuso con quello della data di stesura.

Si tratterrà provvisoriamente, in attesa di prove, che i nostri vangeli furono scritti tra 150 e 190, il che costituisce un'approssimazione sufficiente.

Entro quel limite, sarebbe molto interessante poter determinare l'ordine di composizione dei quattro vangeli canonici: neanche questo è un problema semplice.

La Chiesa dà, senza prova, Matteo come il più vecchio, ma quasi tutti i critici concordano sulla priorità di Marco, per la ragione che altri lo utilizzano: l'argomento è valido quanto alla redazione definitiva, ma non stabilisce che Marco sia anteriore a tutti gli elementi che figurano in Matteo o in Luca, questi contenendo al contrario probabilmente altre fonti più antiche.

Come ci sono pervenuti, Matteo e Luca sembrano sensibilmente contemporanei: è per ragioni piuttosto soggettive che conserverò l'utilizzo e l'espansione da parte di Matteo di alcuni versi tratti da Luca; siccome non abbiamo le loro rispettive fonti, è difficile datare la stesura finale dei due testi.

Infine, quasi tutti sono d'accordo nel porre Giovanni per ultimo: non soltanto è il più elaborato dei quattro, e presuppone un'evoluzione più lunga della dottrina, ma presuppone conosciuti i tre sinottici che egli completa o corregge. Il fatto di aver trovato 4 versi di Giovanni in un manoscritto del II° secolo non potrebbe essere trattenuto se non per dimostrare l'anteriorità di questi versi (se il papiro è realmente anteriore al 180). Ma è possibile che il nostro Giovanni, molto composito, contenga in effetti elementi anteriori alla stesura dei sinottici.

Lo si vede, il problema è complesso, e difficile da risolvere. Tratteniamo soltanto, in sostanza:

— che Marco è il più antico, la data della sua stesura dando luogo alle principali difficoltà;

— che Matteo e Luca, nella loro forma attuale, sono stati scritti dopo Marco, intorno al 150-160;

— che Giovanni è il più tardo, e che la sua stesura completa non risale al di là del 170 circa.

Una conclusione discende dall'evidenza di queste date: nessuno dei vangeli è realmente dell'autore al quale lo si attribuisce. Ciò non deve sorprenderci, il costume essendo allora di porre tali opere sotto il nome di personaggi dei tempi apostolici per meglio accreditarle: questo è il caso anche dei vangeli apocrifi. 

Un'altra conseguenza, altrettanto importante se non di più: i pretesi racconti inclusi nei canonici non possono provenire né da testimoni diretti dei fatti, né da persone che avevano raccolto i ricordi dei testimoni diretti, come credeva Ireneo.  

NOTE

[3] Si veda Victor BÉRARD, La résurrection d'Homère, Ed. Grasset 1930.

[4] LOISY, L'Evangile selon Luc, introduzione, pag. 60.

[5] Discorso vero, § 20. Citato da Origene, nel suo Contra Celsum.

[6] «Aetatem seniorem... habens Dominus noster docebat, sicut evangelium et omnes seniores testantur» (Haer. 2:22-5). L'espressione aetatem seniorem non può applicarsi che ad un vecchio. Ireneo precisa d'altro canto il suo punto di vista: è dopo 50 anni che un uomo declinat jam in aetatem seniorem.

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