L'assegnazione del nome di Gesù negli Atti degli Apostoli.
Ancor più dell'intervento del principe di questo mondo nella morte del Figlio di Dio e della impiccagione del suo cadavere, l'assegnazione del nome di Gesù dopo il suo ritorno al cielo scompare dalla letteratura cristiana del II° secolo, in seguito all'adozione generale del racconto presentato dai Vangeli sinottici. Però lo stesso passo degli Atti degli Apostoli (5:30-31), citato più sopra, [75] sembra aver conservato anche a quest'ultimo riguardo la traccia della concezione primitiva: «Il Dio dei nostri padri ha resuscitato Gesù che voi avete fatto morire appendendolo al patibolo. Dio lo ha innalzato con la sua destra facendolo Capo e Salvatore, per dare a Israele la grazia della conversione e il perdono dei peccati».
Così, secondo questo passo degli Atti, è Dio che ha reso Gesù Capo e Salvatore dopo il compimento della sua missione terrena; ora queste due nozioni di autorità e di salvezza sono contenute nel nome di Gesù. [76] Il verso degli Atti in questione deve essere confrontato ai versi dell'Epistola ai Filippesi e dei capitoli dell'Ascensione di Isaia che sono stati menzionati in precedenza.
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NOTE
[75] Pag. 58-59.
[76] «Il tetragramma ineffabile, Jahvé, ha per traduzione regolare nella Bibbia greca dei Settanta: Kyrios (Signore)», ha osservato COUCHOUD, Le mystère de Jésus, op. cit., pag. 81. Gli Atti impiegano i termini archègos (5:31), o archôn (7:35), il cui significato è apparente: capo, principe, re. Una nota della Sacra Bibbia, pubblicata sotto la direzione della Scuola biblica di Gerusalemme, segnala che l'espressione: «Capo e Salvatore» (Atti 5:31) «corrisponde a «Capo e Redentore», detto di Mosè come Figura di Cristo in Atti 7:35».
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