Il conflitto riguardo alla croce.
Resta un ultimo punto, di moltissima importanza. Si legge nell'Epistola ai Galati 5:11-12: «11. Quanto a me, fratelli, se io predico ancora la circoncisione, perché sono ancora perseguitato? Lo scandalo della croce sarebbe allora tolto via. 12. Dovrebbero farsi mutilare coloro che vi turbano». L'attribuzione di questi versi a Paolo non è contestata da alcun critico.
Per certi aspetti, il significato è ambiguo. Turmel lo spiega così: «Paolo risponde ai giudaizzanti che si spacciavano da interpreti del suo pensiero: Se io predico ancora la circoncisione, perché sono perseguitato? È una smentita» (cioè Paolo persiste a non esigere la circoncisione), «che segue» (verso 12) una fandonia». [117]
L'edizione del Nuovo Testamento della Società Biblica (1928) dà un altro commentario. Essa traduce il verso 12 così: «Si facciano pure evirare quelli che vi turbano», e vi vede un'allusione alla pratica dei sacerdoti di Cibele e di Attis, il cui culto era diffusissimo in Asia Minore. Quella differenza di interpretazione è del tutto secondaria. [118]
Lo stesso non vale per il verso 11: «Si pretendeva», dice il commentario dell'edizione della Società Biblica, «che Paolo continuasse, quando vi trovava vantaggio, a predicare la circoncisione. Senza dubbio era la sua tolleranza che dava adito a quella accusa. Non ha forse detto: «Mi sono fatto Giudeo con i Giudei» (1 Corinzi 9:20)? — Paolo domanda perché, a questo punto, sarebbe perseguitato. Non sarebbe la croce, ma la circoncisione a diventare la ragione principale: lo scandalo che provoca agli ebrei la vista del Messia crocifisso sarebbe eliminato».
Relativamente alla tesi secondo cui egli predica la circoncisione, Turmel vede una smentita da parte di Paolo, mentre l'edizione della Società Biblica sottolinea che gli avversari di Paolo non parlano che del problema della circoncisione, tralasciando quello della croce. Ma soprattutto egli vede nello «scandalo» uno scandalo per gli ebrei, mentre questo passo, così come tutta l'Epistola, è diretto contro i cristiani giudaizzanti, secondo il parere sia di Turmel che di Loisy. [119]
Ma quando Couchoud presentò la crocifissione di Gesù come un punto di disaccordo tra Paolo e i cristiani di Gerusalemme, [120] Loisy sollevò una smentita. [121] «Di queste opposizioni alla crocifissione di Gesù, la storia non conserva la minima traccia. Il fatto è solo che, se la morte di Gesù sulla croce è un punto comune della tradizione cristiana, a riguardo del quale non si solleva alcuna contraddizione (se non da qualche gnostico intemperante e tardivo), [122] la gnosi della croce, la teoria della redenzione, che è diffusa nelle Epistole di Paolo o attribuite a Paolo, non è entrata subito nella tradizione comune; ma nessuno ha il diritto, equivocando su questo punto, di sostenere che il cristianesimo contemporaneo a Paolo si rifiutava di ammettere la crocifissione di Gesù...».
Guignebert, invece, riconosce queste opposizioni, ma le spiega nel modo seguente. Ammettendo la crocifissione di Gesù sotto l'imperatore Tiberio e descrivendo lo stato d'animo dei suoi discepoli dopo la sua morte, scriveva: «Soprattutto, la necessità si impone di riflettere sulla sua morte, che è l'oggetto dello scandalo e il grande argomento dei non credenti; essa non può essere per i fedeli che il grande mistero che loro devono necessariamente spiegare, altrimenti l'intera loro fede ne sarebbe ostacolata; non ci si liberava dal temuto testo del Libro del Deuteronomio 21:23: «Maledetto da Dio, colui che è appeso all'albero!». [123] Non si trattava di introdurre l'idea di redenzione in quella morte...; si trattava soltanto di spiegare come quella morte rientrasse nel piano divino sull'avvento del Messia e non escludesse la fede nella messianicità di Gesù. [124] È quella spiegazione che porta Paolo, per mezzo di «una interpretazione in mito di un fatto, di per sé disturbante, imbarazzante, scandaloso, il fatto stesso della morte del Nazareno». [125]
Dal canto suo Goguel rimprovera senza dubbio a Guignebert di aver «visto in Paolo il secondo fondatore del cristianesimo, un secondo fondatore il cui ruolo... è stato giudicato così importante, se non più importante di quello del primo». Ma, fatta quella riserva, Goguel pensa anche che tutta la dottrina di salvezza di Paolo «non è che un'interpretazione della morte del Cristo, una spiegazione del paradosso della maledizione che incombe su suo figlio». [126]
Una tale tesi si scontra con due obiezioni. La maledizione, stabilita non solo dalla morte di Gesù, ma anche dalla sua morte sulla croce, che è stata ordinata da Ponzio Pilato, sembra essere un'interpretazione imprecisa del verso del Deuteronomio. Come è stato detto più sopra (pag. 52-54), l'impiccagione del cadavere era tra gli ebrei un aggravante infame della pena capitale che colpiva un crimine: era tutt'altra cosa rispetto alla spietata crocifissione del condannato vivo praticata dai Romani; era sufficiente la presenza di un palo di legno nell'uno e nell'altro caso per farli assimilare, per una sorta di atroce gioco di parole, in una comune maledizione ? A questo riguardo, i duemila ebrei crocifissi per ordine di Varo ai tempi di Augusto, al seguito di una sollevazione, sarebbero stati considerati come dei maledetti e non come dei martiri? [127]
In secondo luogo, perfino se si ammette l'applicazione a Gesù di una tale maledizione, si riscontrano una serie di improbabilità: i discepoli diretti di Gesù, che lo hanno circondato e amato, ne rimangono imbarazzati nel fedele ricordo che custodiscono di un uomo, e un ebreo della Dispersione, che non lo ha conosciuto, dichiara che il crocifisso è il Figlio di Dio; ma invece di accogliere con gioia una tale interpretazione, che li libera dalla loro pena, gli ebrei cristiani di Palestina, o almeno alcuni tra loro, rimangono risolutamente ostili a colui che lo ha enunciato con più chiarezza; un tale atteggiamento è incomprensibile.
Esso si comprende benissimo, al contrario, se si tratta di una nuova concezione della Divinità. La si riporti alla crocifissione del Figlio di Dio, come è descritta nell'Ascensione di Isaia (si veda più sopra, pag. 52-56): il principe di questo mondo uccide il Figlio di Dio, poi lo sospende all'albero. I cristiani giudaizzanti respingono una tale concezione, che è colpita dalla maledizione del Deuteronomio.
Ne hanno dunque un'altra? Sicuramente. Nel corso dell'Apocalisse di Giovanni, il Cristo appare principalmente sotto la forma di un agnello immolato, senza che sia fatta menzione della crocifissione, se non in un verso che può essere considerato interpolato oppure che si riferisce al martirio del Maestro di Giustizia: secondo Alfaric, la concezione del Cristo come un agnello espiatorio, che è quella della Chiesa di Gerusalemme, oppone quest'ultima alle Chiese di Paolo, rafforzando il disaccordo sulle pratiche rituali. [128] E nella terza grande opera cristiana del I° secolo, accanto alle Epistole paoline e all'Apocalisse di Giovanni, ovvero l'Epistola agli Ebrei, il Cristo si mostra come un sacerdote che si sacrifica lui stesso, senza che la parola crocifissione sia scritta. [129] Tali differenze di concezione sono difficilmente conciliabili, se queste tre categorie di opere si riferissero al martirio di un uomo, crocifisso qualche decennio prima sotto l'imperatore Tiberio; si comprendono al contrario le differenze nella raffigurazione dell'oggetto di credenze religiose simili.
NOTE
[117] DELAFOSSE (TURMEL), L'Epître aux Galates, op. cit., pag. 49.
[118] Si veda nello stesso senso dell'edizione della Società Biblica (protestante) quella della Sacra Bibbia (1956), pubblicata dalla Scuola biblica di Gerusalemme (cattolica). Però la traduzione latina di san Girolamo (Vulgata) dà al testo di Paolo lo stesso significato di quello di Turmel.
[119] LOISY, Remarques, pag. 37: «... i giudaizzanti che sollecitano i Galati alla circoncisione...». Per lo scandalo della croce agli occhi degli ebrei, si veda più avanti, pag. 208 e 214; si veda più sopra, pag. 60-62.
[120] COUCHOUD, Jésus, le Dieu fait homme, pag. 89 e seguenti.
[121] LOISY, Histoire et mythe, pag. 79-80.
[122] Si tratta di Basilide, che visse al tempo dell'imperatore Adriano (117-138) e che insegnava che Simone di Cirene non aveva soltanto portato la croce di Gesù, ma era stato crocifisso al suo posto, oppure dell'autore degli Atti di Giovanni (fine del II° secolo), che presta a Gesù una umanità e una morte apparenti (si veda più avanti, pag. 239-240).
[123] La maledizione di Deuteronomio è ricordata in Galati 3:13; tuttavia DELAFOSSE (TURMEL), nell'edizione che ha dato dell'Epistola ai Galati, considera che questo verso non è dell'apostolo Paolo (si veda il volume intitolato La deuxième Epître aux Corinthiens, pag. 57-59); LOISY ha adottato quella opinione (si veda Remarques, pag. 28).
[124] GUIGNEBERT, Le Christ, pag. 100.
[125] GUIGNEBERT, Le Christ, pag. 351 (si veda più sopra, pag. 111-112).
[126] GOGUEL, La naissance du christianisme, pag. 222-223 e pag. 254.
[127] Si veda GIUSEPPE, Antichità giudaiche, libro 17, capitolo 10, paragrafo 10 e Guerra Giudaica, libro 2, capitolo 5, paragrafo 2: poco dopo la morte di Erode il Grande (4 prima dell'era cristiana).
[128] ALFARIC, Les Epîtres de Paul, articolo postumo, pubblicato nel Bulletin du Cercle Ernest Renan, n° 35, aprile 1956. Forse vi è una concezione intermedia tra quella dell'agnello espiatorio e quella dell'uomo redentore in questo verso del Vangelo secondo Giovanni 1:29 : «Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo» (espressione simile, alcuni versi più avanti, 1:36). La si trova anche in un'epistola paolina, la 1° Epistola ai Corinzi, verso 7: «Il Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato» (si veda più avanti, pag. 215, nota 117).
[129] Si veda più sopra, pag. 89-93, e più avanti, Appendice 4, pag. 308.
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