lunedì 14 gennaio 2019

«Il Dio Gesù» (di Paul-Louis Couchoud) — Gesù l'Uomo-Dio (II)

(segue da qui)

PARTE PRIMA

GESÙ L'UOMO-DIO 

Il primo punto dove portare il pennello luminoso, eccolo qui. Gesù, uomo e Dio, si presenta come un Essere misterioso, incomparabile, senza pari. Unico in entrambi i sensi della parola. Egli è Dio e uomo in una sola persona. È unico così nel suo genere, in tutto l'universo reale o concepito. Non è in alcuna maniera un semidio, come quelli a cui i Greci rendevano un culto e che erano intermediari tra gli  uomini e gli dèi. Egli possiede la pienezza della Divinità, al punto che essendo Dio nella religione del monoteismo, il monoteismo è salvaguardato. E la pienezza dell'Umanità al punto che san Tommaso osa scrivere “Se Gesù cessasse di possedere la natura umana, la natura umana scomparirebbe, non potendo sostenersi nell'essere”. È talmente un uomo che ha subito un supplizio da schiavo, vale a dire l'estrema dell'umiliazione. Prima di addentrarci nella boscaglia dei commentari e dei cavilli, contempliamo l'Essere attraente che i vangeli propongono alla fede. Egli possiede in totalità le due condizioni, la divina e l'umana, che gli sono necessarie per salvare l'umanità.
In relazione a Dio egli è Dio il Figlio, in relazione a noi Dio il Fratello. Niente di più grande, di più efficace, di più sconvolgente è mai stato presentato agli uomini. Non si ha affatto il diritto di pensare meschinamente di Gesù. Nessuno dovrebbe trattare di Gesù, se prima non ha misurato la sua ampiezza infinita.
Credere che un tale Essere possa esistere, che esista, ecco il postulato abbagliante della fede cristiana. Tutto il resto ne deriva, grazia, culto, sacramenti, Chiesa, teologia, con sovrabbondanza. Che Gesù sia, e la terra si copre di cattedrali. Una fede così audace, una fede così enorme, risponde a colpo sicuro a un possente appello di cuori. Corrisponde a qualche infinito misterioso della natura umana, dal momento che ha guadagnato così tanti uomini e attraversato così tanti secoli. Non appena avete accettato, per un atto di fede pronunciato in fondo alle viscere, l'esistenza dell'Essere singolare che è tutto uomo  e tutto Dio, voi siete in comunione spirituale con miliardi di morti e milioni di vivi, porzione notevole della massa totale dell'umanità. Allo stesso tempo avete la chiave dell'immensa letteratura cristiana. Per cominciare, avete pieno accesso agli scritti sacri, testimoni primitivi della fede, san Paolo, l'Apocalisse, i vangeli.
Nulla nel grande profeta Paolo, nulla nella sublime Apocalisse, nulla nei meravigliosi vangeli infarciti di miracoli, nulla che possa suscitare a non-credenti difficoltà su difficoltà può fermare il credente. Si impressionerà che Paolo e Giovanni, i primi descrittori di Cristo Gesù, parlino di lui da mistici e da visionari? È possibile, quindi, apprendere la realtà divina se non attraverso il sentiero mistico della rivelazione? Sarà scandalizzato nel vedere il racconto evangelico deviare dalla verosimiglianza umana? Gesù che è uomo intero, eccetto il peccato, non è affatto interamente uomo. Sarebbe inconcepibile e vano che un Dio-uomo sia passato sulla terra senza che nulla abbia mai manifestato il Dio.
Il cristiano, il cattolico soprattutto, legge più volentieri i vangeli di san Paolo e dell'Apocalisse. Si figura meno Gesù nella sua gloria celeste o tra le trombe del suo Avvento che nel dettaglio umile e tragico della sua carriera di uomo. Vede “un vagito di neonato, una mano che insegna e che guarisce, un volto coperto di sangue e di sputi” (Mauriac). In nessun momento dimentica nè può dimenticare che si tratta di Dio. Da là proviene il pathos intenso. Porta via Dio: rimane una storia tra le altre, forse non la più commovente. Altri martiri hanno sofferto molto più.
Questo cristiano, metterà in dubbio la nascita verginale? E perché? La venuta di Dio nel mondo può occorrere meglio che attraverso il seno di una vergine pura? Dubiterà della resurrezione di Lazzaro? Certamente no! Gesù non sta facendo rinascere il cristiano che partecipa da ora alla vita eterna? Il miracolo di Lazzaro è più grande di questo miracolo?Non è questo il segno? E la resurrezione di Gesù, chi ne dubiterebbe senza essere pazzo? Un Essere divino, si può concepire che muoia senza risorgere? Nell'Uomo-Dio, il Dio non è più difficile da credere dell'uomo. Se si preferisce, l'uomo non è affatto più facile da credere che il Dio. La difficoltà è indivisibile.
I primi libri cristiani, depositi della fede primitiva, restano all'ora presente, dopo quasi due millenni, intelligibili e chiari ai cristiani. Esprimono, nella loro sostanza, la fede che vibra e fiorisce ancora. Non hanno cessato di essere attivi e di essere attuali. Di nessun libro antico si può dire altrettanto.
In questo modo, quando, a metà del ventesimo secolo della fede cristiana, noi poniamo la domanda formidabile: Chi è Gesù? noi riceviamo, in primo luogo, la risposta della tradizione cristiana: Gesù è l'Uomo-Dio. Risposta impressionante, che comanda il rispetto. È quella dei documenti più antichi che leggiamo su Gesù. Mantenuta, brandita da un secolo all'altro, è il clamore dell'immenso popolo cristiano, quello che dorme nelle tombe, quello che canta il Credo nelle chiese, la confessione di tutti i morti per cui sono nato. È oggi la risposta dei bambini dei catechismi e quella degli studiosi cristiani: dei solidi esegeti cattolici come dei liberi critici protestanti.


L'ho maturato, per esempio, nel bellissimo libro didattico di padre Léonce de Grandmaison su Jésus-Christ. [1] Ho visto l'autore, nel 1924, con un dilettante e mediatore di incontri spirituali, il conte di Saussine. Il padre era alto, dritto, un po' rigido, come un crociato. I suoi occhi acuti e la sua voce maschile esprimevano una fede ben armata, sicura di sé. Fece un segno della croce prima di prendere la sua tazza di tè. Aveva, tutte pronte, sull'Uomo e sul Dio, sulla storia e sul mistero, delle risposte limpide e sobrie. Come gli manifestavo l'impossibilità di dover riunire in un unico Essere l'assoluto di Dio e le contingenze di un uomo reale, egli fu un po' infastidito dall'obiezione. Ha ammesso educatamente, “È un'opzione filosofica”. Non pensava che si poteva, per così poco, rinunciare a una credenza sostenuta da una base così ampia.
Ho incontrato l'anno seguente, a Gerusalemme, il principe degli esegeti cattolici, il padre Lagrange. Ammirabile ebraista, grecista come Wilamowitz, biblista completo, possedeva la più raffinata cultura antica sotto il copioso corredo dell'erudizione moderna. Mi dispiacque un po' che la sua ricca scienza fosse talvolta servita come riso senza condimento. Degli occhi profondi, un naso prominente, un pizzetto grigio annunciavano la bontà. Sotto le sue parole affiorava una natura nobile e fraterna. Avresti detto un instancabile studioso in cui sussisteva un adolescente altrettanto fiducioso e puro come al giorno della sua prima comunione. Presso di lui il suo priore, lavoratore altrettanto esemplare, un robusto aratore sui campi dell'Assiria, aveva custodito questo gioiello d'infanzia? Presto avrebbe lasciato il saio per entrare nello stato laico e all'Istituto.
Il padre Lagrange era l'urbanità stessa. Con grazia mi fece gli onori del convento di Saint-Etienne e della sua biblioteca ben ordinata, un asilo di scienza nella città tre volte santa. Sollevò con la mano le tavole che coprivano alcuni resti archeologici. Mi elogiò per aver confrontato un verso di Omero al verso evangelico dove Gesù dorme su un cuscino, alla prua della nave. Avevo appena pubblicato un saggio sul Mystère de Jésus. Gli dissi di quanto mi fossi allontanato dal sistema di Renan e di Loisy, i quali considerano Gesù un ebreo oscuro che sarebbe stato divinizzato. In Gesù il Dio mi sembrava molto più provato dell'uomo. Vidi che le mie parole non lo colpirono affatto. Dopo un silenzio, mi disse sorridendo “Renan vede solo l'uomo in Gesù, voi vedete solo il Dio. Renan e voi, signore, tutti e due, voi fate un cattolico abbastanza buono”.
Non so perché ho trattenuto dal nostro incontro un dettaglio significativo. Il padre stava dando gli ultimi ritocchi al suo commentario sul Vangelo secondo san Giovanni. Ero curioso di conoscere le sue conclusioni sull'autore del capolavoro evangelico. “Il libro”, mi dice, “mostra una conoscenza di Gerusalemme che, a parte questo, non hanno gli altri tre vangeli. Apprendiamo anche che Gesù fece discepoli a Gerusalemme durante i suoi vari soggiorni. Sono incline a pensare che l'autore sia uno di questi discepoli senza nome. Quello nella cui casa Gesù ha mangiato il giorno dell'Ultima Cena, quello che era un parente del sommo sacerdote…” L'indicazione era interessante. A Parigi, non appena il libro è apparso, l'ho aperto avidamente. Ahimè! Ho appreso alla prima pagina che il vangelo ha per autore Giovanni, figlio di Zebedeo, vale a dire un discepolo galileo. “Questo punto è fissato dalla tradizione ecclesiastica”. La Commissione Biblica, guardiano rigido e formale di tradizioni di ineguale valore, tiene ai suoi studiosi la briglia assai corta. L'esegeta cattolico, lo so, difende la disciplina cristiana, e il protestante la libertà cristiana. Ma ho visto dei bei eruditi cattolici scalpitare sotto una vecchia bardatura. Il gentile abate Le-Long, studioso preciso e raffinato, prese gli pseudonimi di V. Normand e di Siouville per scrivere a proprio agio sugli antichi testi cristiani. Il lazzarista Socrate, il signor Pouget non ha scritto praticamente nulla. Fortunatamente ha trovato in Jean Guitton il suo Senofonte, persino il suo Platone. [2]
Dopo gli sconvolgimenti della guerra, i centri di ricerca cattolica, Roma, Parigi, Louvain, Le Saulchoir, Fourvière, Carmel brillano di una nuova luminosità. Il padre A.-J. Festugière, raffinato cristallo che risuona di tutti i fremiti antichi, esplora le correnti religiose del pensiero greco. Illumina tutto ciò di cui parla. Il canonico Cerfaux e il padre Bonsirven sono dei buoni introduttori a san Paolo, il padre de Lubac e il padre Daniélou a Origene. Veterano della storia dei dogmi, il padre Lebreton ha derivato eccellenti capitoli della storia della Chiesa. Non hanno affatto l'occasione né il compito di affrontare il problema storico di Gesù. Pensano forse che non si presenti più? O che non dovrebbe essere trattato, quando si pone?
Ho visto recentemente il mio vecchio e caro avversario, il vecchio abate Lepin. Ci eravamo un po' scontrati quando era professore di apologetica nel seminario maggiore di Lione. La sua polemica ha sempre avuto il fresco profumo della buona fede. La carità di colui che Loisy chiamava “il candido sulpiziano” non si esaurisce affatto alla morte. Tra le pagine del suo breviario, custodisce una fotografia di Loisy. Mormorando la sua preghiera, domanda a Dio la salvezza eterna del prete scomunicato. Fragile ottuagenario, olio puro che si estingue, vive sull'alta collina di Fourvière, in un vecchio parco, in mezzo a sante figlie. Dai balconi della morte, guarda la sera del mondo con serenità. È lo stesso luogo dove sant'Ireneo, verso l'anno 185, scrisse la sua Confutazione della falsa scienza  e la sua Dimostrazione della predicazione apostolica. Da Ireneo fino al signor Lepin la dimostrazione è rimasta fondamentalmente la stessa. Il dolce vecchio che mi accoglie scompare per un momento. Credo di intravedere il vescovo della Gallia, “zelota per la causa di Cristo”, greco di nascita, barbaro di cuore, uomo semplice e diretto che sentiva così fortemente lo Spirito Santo nella Chiesa e che ha incontrato, tramite Policarpo, il sublime gruppo di cristiani di Efeso da cui è giunto il vangelo di san Giovanni.
Al mio caro avversario, ho confessato di aver fatto una distinzione tra Gesù uomo e Gesù uomo storico. In Paolo, nell'Apocalisse, Gesù è uomo senza dubbio, uomo in forma celeste. Un uomo storico, egli non lo è che nei vangeli, particolarmente in Luca. Dai primi scritti ai secondi il corpo di Gesù si è precisato nel senso della carne, nello stesso tempo che era fortemente affermato dalla chiesa la resurrezione della carne. Il successore di Ireneo mi ha ascoltato senza impazienza. Egli mi ha dissuaso dal seguire il sentimento di un “bizzarro olandese” (Eysinga, suppongo) e dall'immaginare che il Gesù storico sia stato creato dalla fede. Appena ho insistito un po', mi ha toccato il braccio e mi ha detto con voce persuasiva, “Non sentite affatto l'enorme ondata di amore che ha provato Dio verso gli uomini? Poteva solo realizzarsi fino alla fine in un'incarnazione totale”. Il suo viso, diafano come un ostia, brillava d'amore. Non ho sollevato le obiezioni che avevo preparato.


Conosco soprattutto dai loro libri i critici protestanti. Ho ricevuto da Harnack una o due note caratterizzate dalla brevità imperiale del Napoleone della teologia. Nel corso della mia vita ho incontrato il buon Klostermann, la cui arte era quella di comprimere il più copioso commento di un vangelo fino alla massima densità, Carl Clemen, saggio e moderato, che non era disorientato in nessun campo della storia delle religioni, l'insospettabile Martin Dibelius che stava cercando di trovare, nelle strutture letterarie dei racconti evangelici, quale fu lo shock cristiano, Lohmayer, solido contadino del Danubio, sensibile ai ritmi, che calpestava con gioia tutte le aiuole del Nuovo Testamento. Mi sarebbe piaciuto conoscere lo squisito Albert Schweizer che, dopo aver lasciato il suo segno nella ricerca di Gesù e Paolo, si recò in missione medica e spirituale nel cuore dell'Africa, per camminare come Paolo in novità di vita.
Per gusto preferivo, in materia di esegesi, gli inglesi e gli americani ai tedeschi. C'è un modo di conoscere il greco che si ha solo a Oxford e una nuova visione dei testi che sembra particolare agli americani. Ho tratto mio profitto dal volume di Streeter sui quattro vangeli, [3] da quello di R. H. Lightfoot sulla storia e l'interpretazione nei vangeli. [4] Corrispondevo con il vigoroso arcidiacono di Westminster, il reverendo R. H. Charles, quando egli ha scoperto lo stile ritmico nell'Apocalisse. Ho potuto estendere dopo di lui la sua scoperta all'insieme del Nuovo Testamento. Mi dispiace di non aver conosciuto il professore di Yale, intelligente come Erasmo, Benjamin W. Bacon, di cui ho letto e riletto, senza esaurire l'interesse, gli studi sui vangeli di Matteo e di Giovanni. [5]
La critica protestante, molto più libera di quella cattolica, ha cancellato dai primi libri cristiani la crosta delle interpretazioni tradizionali e scolastiche sotto le quali scomparivano come la mummia sotto le bende dipinte. Li ha ricollocati nei movimenti religiosi e negli ambienti sociali che sono stati i loro. Ha esaminato seriamente la loro autenticità, studiato la loro composizione, verificando le attribuzioni, segnalando i pezzi sospetti. Tutto questo lavoro di rimozione e pulizia, lungi dal danneggiare le sacre scritture, rende loro forza e bellezza.
Maurice Goguel, uomo retto e sincero, degno campione francese della critica liberale, mi ha detto nel 1928, col suo tono lento, serio, quelle audacie del pensiero che un protestante può accogliere senza che la pietà sia raggiunta. “Io stesso, di fronte ai testi del Nuovo Testamento, mi sento nello stato di libertà completa. Non vi è alcuna conclusione ardita che ho paura di esprimere, purché quella sia il risultato di un serio esame e che in coscienza, mi sembri la verità”. Lo disse anche per gli altri. Ho conosciuto e amato Adolphe Lods, storico di Israele, studioso intrepido, cristiano profondo. Bousset, Reitzenstein, Franz Boll (sull'Apocalisse), Firmin Nicolardot (sulle procedure di redazione degli evangelisti), Walter Bauer (sul vangelo di Giovanni), R. Bultmann (sulla tradizione sinottica), G. Bertram ( sulla Passione), Wetter figlio (sul figlio di Dio) sono degli studiosi così coraggiosi che un cattolico conformista li prenderebbe ingenuamente per empi. Nei grandi libri della critica protestante regna questa atmosfera di libera coscienza e di responsabilità personale senza compromessi, senza inquisizione, che è così vivificante da respirare in un tempio riformato.
In molte investigazioni secondarie, la critica protestante è la forza trainante, l'esegesi cattolica il freno. Ciascuna beneficia dell'altra. Dall'una all'altra, si fanno degli scambi discreti. Quanto alla domanda capitale: Chi è Gesù? l'accordo implicito esiste. Gesù è uomo ed è Dio: non si può rivendicare alcuna confessione cristiana se non lo si crede allo stesso tempo.
È vero che per il protestante la divinità di Gesù è una realtà spirituale che resta fuori dalla portata di ogni conoscenza positiva e la cui confessione viene solo dall'interiorità. Ecco le parole con le quali Goguel termina il suo lavoro su Jésus et les origines du christianisme:  [6] “Nelle formule con le quali si traduce una religione, non va vista che l'espressione simbolica di una realtà spirituale che, essendo di tutt'altro ordine rispetto alla conoscenza positiva, non può confermarla o negarla più di quanto possa essere confermata o negata da essa”. Il protestante ha il pudore delicato della sua fede. La divinità di Gesù è il mistero che si custodisce nel proprio cuore per sé stessi. Non c'è bisogno di zittirla, ma non conviene affatto proclamarla fuori contesto. Gli esegeti e i critici la oltrepassano solitamente sotto silenzio. Eppure la questione è importante e domina dall'alto il loro lavoro. Ma la rinviano alle sezioni del dogma delle Facoltà di teologia. Loro, trattano della storia temporale di Gesù, senza domandare se non metta per nulla in dubbio la sua divinità. E il professore del dogma si occuperà della divinità di Gesù senza concedere che la storicità vi produca difficoltà. Si tratta di tenere entrambe le estremità della catena e di non guardarvi in mezzo.


Né gli studiosi cattolici né i protestanti sono molto propensi a scrivere una vita di Gesù. Duchesne che univa il rigore impietoso del cartista e dello storico ha la fede semplice del bretone, capace di piangere nel dire la sua Messa alle Catacombe, ha scritto la sua Histoire ancienne de l'Eglise [7] rimuovendo volontariamente la parte iniziale che avrebbe dovuto essere dedicata a Gesù. Quando Harnack ha voluto donare al pubblico una piccola sintesi dell'opera, ha scelto l'Essence du christianisme, [8] in preferenza alla vita di Gesù. Dal lato protestante il Jésus di Bultmann (1926), quello di Dibelius (1939), quello di Goguel (1950); sul versante cattolico il Jésus-Christ  di padre Prat (1933), La Vie et l'Enseignement de Jésus-Christ, di padre Lebreton (1931), La Vie de Jésus-Christ di monsignor Ricciotti (traduzione francese, 1947), hanno l'aspetto di dissertazioni cucite da capo a capo piuttosto che di una vita raccontata. Un fascio di legna non fa affatto un albero vivo. Lo studioso cristiano può, in materia di dettagli, evitare il conflitto tra le esigenze della sua scienza e della sua fede intima. La Vie de Jésus sfugge ai suoi metodi ordinari e supera tutti i suoi mezzi. Scrivere la vita dell'Uomo-Dio è una sfida che non era stata ingaggiata alle origini se non con il soccorso divino. Se un evangelista ha potuto a volte correggere un altro, è perché riceveva come lui l'assistenza dello Spirito Santo. Lo studioso cristiano ha il diritto di sentirsi scoraggiato.
I vangeli si immergono, per la metà, nel divino: altrimenti non avrebbero affatto il loro equilibrio. Non possono quindi essere riportati alla base. Possono essere parafrasati tutt'al più. È uno sforzo letterario. Uno scrittore cristiano, prendendo come tema l'Uomo-Dio, presenterà il racconto evangelico in una maniera moderna. Illuminerà con delle intuizioni storiche, paesaggi di Terra Santa, chiarirà dei ritratti, delle analisi psicologiche, utilizzerà le interpretazioni di poeti e di artisti. Questo è ciò che hanno fatto, con i cattolici, con dei talenti diversi, l'eloquente padre Didon, il veemente Papini, il delicato Poizat, François Mauriac, oscuro e pascaliano, Daniel-Rops, chiaro ed enciclopedico. I loro libri portano la verità solo a coloro che già la possiedono. D'altra parte, possono essere gustati da dei non credenti letterati per i quali l'Uomo-Dio è un tema di poesia, proprio come Prometeo o Faust.
Jésus en son temps, di Daniel-Rops, [9] è un libro di talento e di convinzione. L'autore, uno storico che non dimentica affatto di essere anche un romanziere, sa dipingere Gesù battezzato “sulle rive di questo fiume dalle acque chiare, costeggiato da allori e da tamarindi”, crocifisso “ai margini dei fossati della città, a due passi dalle mura dai blocchi giganti, in qualcuno di quei luoghi di abbandono e di spazzatura che si possono trovare alle porte delle città orientali”. Accetta i quattro vangeli nel loro stesso contenuto, spesso al prezzo di una concordanza artificiale, e toccando le difficoltà solo con una mano leggera. Per la sostanza, nulla che non vada da sé, poiché Gesù è l'Uomo-Dio.
La nascita verginale? “Si è ancora in questo universo soprannaturale dove il contatto diretto con i poteri divini trova l'uomo docile e consenziente”. La tentazione? “Questa scena che si dice sia incredibile, è tuttavia in piena umanità... Nell'orto degli Ulivi, la sera dell'agonia, si indovinerà di nuovo la presenza dell'Avversario”. Il miracolo di Cana? L'autore è un po' sconcertato: “Si esita a pensare che così tanto di potenza divina sia stata messa al servizio di una causa così temporale...” La pesca miracolosa? Qui, per eccezione, il soprannaturale non deve affatto essere invocato: “L'incontro tra le  fredde acque del Giordano e le calde acque del lago fa abbondare il plancton, quindi il pesce: il fatto è esplicabile naturalmente e il simbolo è chiaro”. La resurrezione dei morti, la marcia sulle acque? “La morte stessa gli è soggetta... Dio, dice il libro di Giobbe, cammina sul mare come su un terreno solido”. La moltiplicazione dei pani? “Gesù riprende per proprio conto il gesto del Creatore... La divinità di Gesù brillava in questo episodio prodigioso”. La resurrezione di Lazzaro? “Testimonianza ultima della divinità di Cristo, annuncia questa vittoria più definitiva che Gesù riporterà sulla morte”. Gesù si è dichiarato Dio? “Non si è dato solamente per il Messia ... Per impiegare un termine dogmatico, si è riconosciuto consustanziale a Dio...” La resurrezione? “Resurrexit a mortuis, la formula del Credo deve essere presa alla lettera, non solo dal credente ma dallo storico. Così confuso come sembra a noi, Gesù è uscito dalla tomba, ha vissuto quaranta giorni  una seconda vita. Il fatto è storico”.
Nel leggere questo libro, avevo davanti agli occhi l'immagine di un antico desultator sull'arena dell'ippodromo. Lo storico cattolico conduce due cavalli e salta delicatamente da uno all'altro. Nell'ordinarietà del racconto esclama: Guarda come Gesù è completamente uomo! Nelle manifestazioni soprannaturali: guarda come è completamente Dio!
Se vogliamo confrontare le posizioni cattoliche di Daniel Rops con quelle che può prendere, a riguardo della vita di Gesù, uno storico protestante, scegliamo l'ultimo libro del dottor E. W. Barnes, vescovo anglicano di Birmingham, The Rise of Christianity. [10] Qui i vangeli vengono usati solo dopo essere stati sottoposti alla critica più severa. L'atmosfera è del tutto cambiata.
La nascita verginale? Questo è uno dei cinque modi con cui si è voluto spiegare come Gesù è Figlio di Dio. “Riposa su una storia dubbia”. L'unità di Gesù con Dio? “Il bambino, appena si sviluppò la sua intelligenza, comprese la natura di Dio osservando la sua creazione, sentiva come Dio in tutte le sue esperienze, cresceva vicino a Dio nel cercare di servirlo. Così fu formato (dovremmo dire: rivelato?) un'unione così completa da poter essere chiamata un'unità di Gesù con Dio”. I miracoli? “È possibile che dei casi eccezionali di influenza dello spirito sul corpo avvengano in momenti di estrema emozione religiosa e quando l'ascendente di un uomo eccezionale ha gioco libero. In questi casi delle leggi normali possono avere delle conseguenze sorprendenti”. Il battesimo? “Gesù abbandonò il rito del battesimo quando iniziò il suo ministero e l'idea di un battesimo nello Spirito Santo era assente dal suo insegnamento”. L'Eucaristia? “Gesù non ha mai detto: fate questo in memoria di me, ed è molto improbabile che abbia detto: Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”. Il processo? “Ci sono così tante incoerenze che mostrano la mancanza di informazioni dettagliate e precise”. La Crocifissione? “Un sacco di dettagli non possono affatto essere considerati storici”. La Resurrezione? “Il corpo di Gesù gettato nella fossa dei criminali ha sperimentato la corruzione come gli altri corpi umani. Non vi ha affatto avuto luogo la resurrezione del corpo di Gesù, [11] che avrebbe fatto eccezione alle leggi uniformi che esprimono il carattere invariabile del controllo di Dio sui fenomeni... Ma i cristiani hanno sentito un potere spirituale nelle loro vite, dove hanno interpretato correttamente che lo Spirito di Gesù rivelò, come nel suo insegnamento di Galilea, la Sapienza e la Giustizia di Dio”. L'Ascensione? “La storia di cui Matteo non fa affatto menzione ha preso forma solo nel secondo decennio del secondo secolo. Quanto ad un soggiorno terrestre piuttosto lungo del Risorto, è un'idea che non è affatto anteriore alla Epistola di Barnaba (110-120 circa)”.
Di fronte a tali posizioni, vedo un cattolico scandalizzato alzare le braccia al cielo ed esclamare che l'autore non crede affatto nella divinità di Gesù. Non è così. Il dottor Barnes è cristiano, è  vescovo. Non vede alcuna contraddizione tra le sue opinioni e il vero insegnamento di Gesù e di Paolo. Crede con Paolo che Gesù si è volontariamente svuotato della sua divinità per diventare uomo. Crede che la fede nell'uomo-Dio non sia incompatibile con alcuna legittima conclusione della critica. Non considera i miracoli di Gesù diversi da quelli degli Apostoli. Quindi rinuncia alla deduzione della divinità di Gesù. Egli constata che al giorno d'oggi  essi “indeboliscono la credibilità dei racconti evangelici”. Egli sostiene con san Paolo che le cose spirituali si devono discernere spiritualmente.


Chi è Gesù? Che si tratti di cattolici dogmatici, di protestanti critici, di ferventi ortodossi, la risposta dei cristiani è chiara: Gesù è Uomo-e-Dio, uomo che ha vissuto, Dio che è vivo. Si adatta meravigliosamente ai testi. Essi sono stati scritti proprio per farla risaltare. Rimuove, in profondità, ogni difficoltà di esegesi. Nessuna divergenza di confessione, nessuna difficoltà di critica può prevalere contro di essa. È perfetta.
Ha un solo difetto. Si rivolge al cristiano ed è valida solo per lui. Dipende da un atto iniziale, che non è affatto di conoscenza, ma di fede. “Assumi un istante”, disse Jean Guitton, [12] “che Gesù è Dio, che è l'Onnipotente e che la Onnibontà è apparsa per un momento sulla terra... Allora, tutto va da sé nel Vangelo, nulla vi stupisce, tutto è al suo posto”. Sì, è sufficiente assumerlo per un istante. Abbi la fede per guida. Non c'è più per voi un enigma di Gesù.
Come trasmettere questa fede? Riscrivere la biografia dell'Uomo-Dio è una grande petizione di principio. Equivale a chiedere al lettore di avere implicitamente la fede che si pretende di procurargli. Se accetta immediatamente che l'Uomo-Dio possa esistere, è già credente. Se non lo accetta, il racconto scivolerà su di lui. Non si può far uscire l'Uomo-Dio da alcuna constatazione storica. La fede è un cerchio incantato. “Tu non mi cercheresti, se non mi avessi già trovato…”


NOTE

[1] Parigi, Beauchesne, 1920, 2 volumi.

[2] Portrait de M. Pouget, Parigi, Gallimard, 1941.

[3] The four Gospels. Uno studio di origini, Londra, Macmillan, 1924.

[4] History and interpretation in the Gospels, Londra, Hodder and Stoughton, 1935.

[5] Studies in Matthew, Londra, Constable, 1930; The Gospel of Hellenists, New York, H. Holt, 1933 (opera postuma). 

[6] 3 volumi, Parigi, Payot, 1932-1947. A parte il volume sulla vita di Gesù, è nella nostra lingua la storia più completa delle origini cristiane, benché la complessità di livello e una certa prolissità la privino di tonalità.

[7] Parigi, Fontemoing, 3 volumi, 1905-1910. Bella opera che Roma censura. La storia della Chiesa non è affatto una lettura edificante.

[8] Berlino, 1900. Traduzione francese, Parigi, Fischbacher, 1907. A questa esposizione della posizione protestante, l'abate Loisy opporrà il suo famoso piccolo libro l'Evangile et l'Eglise, Parigi, Nourry, 1902, 5° edizione, 1929.

[9] Parigi, Fayard, 1945, edizione riveduta e corretta, 1947. Il libro è stato purificato da qualche tocco di antisemitismo che lo deprezzavano.

[10] Londra, Longmans, Green e C°, 1947. L'autore rappresenta l'alleato modernista della Chiesa superiore. È disapprovato dagli arcivescovi di Canterbury e di York.

[11] Goguel disse in termini moderati: “Se la scoperta di qualche documento venisse a stabilire in una maniera tale da far ritenere incontestabile il fatto che il cadavere di Gesù si sia lentamente decomposto nella tomba dove era stato deposto, il cristianesimo non sarebbe perciò affatto annientato con tutto ciò di cui ha arricchito la vita spirituale dell'umanità” (La Naissance du christianisme, 41).

[12] Difficultés de croire, Parigi, Plon, 1947, pag. 143.

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