(segue da qui)
“I misteri” — dice un autore posteriore (Pseudo-Demetrio, De Interpretatione) — “parlano in allegorie, per suscitare meraviglia e timore reverenziale”. E scherzando scrisse ancora Orazio (Odi 3:2) che non avrebbe voluto abitare sotto lo stesso tetto con un traditore dei segreti sacri di Cerere. “È compito del sapiente” — osservò sotto Augusto il letterato Didimo (citato in Clemente, Stromata 5:8) — “fare un uso appropriato del linguaggio simbolico e spiegarne il significato”; ma che non si dovesse comunicare tutto a tutti fu anche opinione, in modo particolare, dei pitagorici (Diog. Laerz. 8:15), tra i quali vi erano sia “iniziati” sia semplici “uditori”. [1] “La moltitudine degli uomini” — testimonia il “pitagorico” Filone (cfr. qui Clemente, Stromata I, p. 305d Sylb.) al § 12 del suo scritto su Giuseppe — “accoglie più facilmente il falso che il vero”. [2] “Che cosa è mai” — aveva chiesto Eraclito (presso Proclo sull'Alcibiade di Platone) — “la loro comprensione o consapevolezza?” E aggiungeva: “La maggior parte degli uomini si riempie come il bestiame!” (citato in Clemente, Strom. 5:9). “Lasciate dunque che tutti costoro” — dice Filone al § 14 della sua trattazione sull’immutabilità di Dio — “apprendano le falsità che possono essere loro utili, se non è possibile ricondurli alla retta via mediante la verità”. Egli indica chiaramente che Mosè, per guidare gli stolti, avrebbe scritto utili menzogne; e laddove, per esempio, in Genesi 6:6–7 (cfr. Numeri 23:9) è detto che Dio si pentì d’aver creato l’uomo, Filone afferma: “Ciò è detto dal legislatore a mo’ di introduzione, per ammonire coloro che non possono essere indotti al ravvedimento in altro modo”. Altrove (Sulla piantagione di Noè 6) egli dice: “La Causa eterna suole rivelare i propri segreti ad alcuni in modo più aperto e chiaro, come alla luce del sole, ad altri invece in modo più velato e quasi adombrato”. Così egli interpretò la vera spiegazione mosaica come interpretazione mitica (De Josepho 6), considerando la propria capacità esegetica come frutto di ispirazioni e rivelazioni divine (De Somniis 2:38); con lui — egli stesso lo afferma (Leg. Alleg. 3:22) — si è “nel giusto” quando si è introdotti “nei misteri del Signore”. Quando, per esempio, egli parla della distruzione di Sodoma, dice: “Questa è dunque la spiegazione palese, l’interpretazione per la moltitudine; ma esiste anche un’interpretazione segreta, riservata ai pochi che indagano gli stati dell’anima e non le forme corporee, e questa interpretazione sarà ora comunicata” (De Abrahamo 29). Altrove ancora (De Cherubim 14), dopo aver parlato in modo allegorico di una maternità verginale delle mogli dei patriarchi, aggiunge: “Questo, o voi iniziati, purificati nell’udito, dovete accoglierlo nei vostri animi come veramente sacri misteri, e non rivelarlo ad alcun profano”. In un frammento (69a Harr.) egli afferma: “Non si addice divulgare i sacri misteri ai non iniziati”.
NOTE
[1] Si pensi qui ai bhikṣu e agli upāsaka dei Buddhisti.
[2] Voltaire in una lettera del 31 luglio 1775: “La filosofia non sarà mai fatta per il popolo; la canaglia d’oggi somiglia in tutto alla canaglia che vegetava quattromila anni fa”.

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