sabato 20 settembre 2025

Gerard Bolland: FILOSOFIA DELLA RELIGIONE — La rivelazione del mistero nello spirito del cristianesimo

 (segue da qui)


VIII

La rivelazione del mistero nello spirito del cristianesimo. 

“Cristiana non è ancora la venerazione umile di un'elevatezza isolata; Cristiano è il sentimento elevante che nell’essere divino completo l’umanità partecipa”. Così affermano i Libri dei Proverbi. [1]  

Potremmo quindi dire che il cristianesimo consiste nella paternità di Dio, mentre abbiamo cercato di dimostrare, per quanto ancora possibile, attraverso le Scritture, come da Roma, a partire dalla metà del 2° secolo, sia stata intrapresa una reazione giudaizzante che ha identificato il Signore degli ebrei con il Padre di Gesù.  

Il Signore dei cristiani è Gesù, e chiamare Dio “Signore” deve essere inteso come un processo di giudaizzazione, attraverso il quale a Roma il cristianesimo è stato sistematicamente ridotto a una semplice religiosità.  

Ma ora sorge la domanda: se la parola religiosità qui non è appropriata, cosa dovremmo allora vedere nella cristianità? Per questo non esiste un termine puramente olandese; si potrebbe parlare di religione, e in tal caso, benché l’origine linguistica non sia certa, si potrebbe pensare innanzitutto al termine latino religare (legare, unire).  

In ogni caso, cristiano è il sentimento di comunione tra la piccolezza umana e la divinità, mentre la religione, intesa come culto, segna proprio la separazione tra signore e servo. Signore e Padre restano entrambi metafore per il principio unitario infinito di tutte le cose temporali. Tuttavia, non tutte le metafore hanno lo stesso valore, e bisogna comprendere la grandezza dell’evento che si è verificato quando l’uomo ha imparato a pensare alla divinità come Padre.  

In una discussione tra Loisy e Harnack (quest'ultimo, sebbene eccezionalmente erudito e colto, non deve essere considerato così importante come spesso accade negli ambienti accademici), è stato osservato che il nome Padre non è una novità nel Vangelo. Ma questo lo sapevamo già. Già in Malachia si chiede: “Non abbiamo forse tutti un unico Padre?” Tuttavia, questa designazione rimane di tardo giudaismo e non appartiene allo spirito ebraico originario, che parla di Adonai o Signore.  

Anche tra gli indù, nel mondo greco e persino altrove, Padre è un appellativo molto comune per la divinità. Tuttavia, il tono emotivo peculiare del cristianesimo rappresenta qualcosa di grandioso nello sviluppo dello spirito umano; per essa, questa è la sua idea centrale, mentre la problematicità di tale elevato tono emotivo costituisce la giustificazione delle alterazioni romane discusse.  

Ecco perché in Romani 16:25 leggiamo che ora è stato rivelato il mistero che è rimasto nascosto per secoli. Questa rivelazione del mistero consiste nel chiarire all’umanità che essa non deve temere. Perché Dio è un Padre amorevole, che non desidera sacrifici e non vuole essere servito.

Che non dobbiamo temere è anche il punto di vista degli gnostici, i quali in parte hanno tratto questa convinzione dai misteri antichi. In questo senso, rispetto al giudaismo, tutto ciò rappresenta la rivelazione del mistero.  

Tuttavia, togliete all’umanità la paura, e mirabile dictu, si assiste a un crollo morale, perché nel volgo tutto si capovolge. Ricordiamo a questo proposito il passo già citato di Renan! Attraverso i secoli, gli uomini non sono diventati né migliori né peggiori, ma fa una grande differenza l’idea normalizzante sotto la quale crescono. Se un uomo spirituale non trarrà dalla libertà un lasciapassare per l’anarchia, lo farà invece l’uomo comune; il termine “comune” ha assunto proprio per questo il significato di volgare, poiché la mediocrità non è di grande valore. In tal modo si comprende bene la falsificazione delle Scritture: Roma ha ragione, sul piano pratico, anche laddove ha agito con menzogna, perché il cristianesimo, nella sua verità, è cosa per pochissimi, proprio in virtù della consapevolezza che non si ha nulla da temere.  

Anche nel Collegium Philosophicum si è persa questa paura trascendente, tanto che il professor Bolland ha dovuto dolorosamente riflettere sul fatto che, durante il suo venticinquennale insegnamento, le sue parole devono essere state veleno per molti, poiché molti avranno abusato della libertà acquisita.  

Dal punto di vista storico-filosofico, dobbiamo ora comprendere che l’essenza del cristianesimo non coincide con l’essenza di “una” o “della” religione, bensì con la consapevolezza della comunanza tra la temporalità e l’eterno per coloro che si sono elevati al di sopra della religione. E, nonostante tutte le manipolazioni, questo spirito del cristianesimo non si è spento; nel suo linguaggio originario, esso non è una religione. Guardiamo, a conferma di ciò, Romani 8:15: “Poiché non avete ricevuto uno spirito di servitù per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo spirito di adozione a figli, per il quale gridiamo: Abba, Padre!”  

Si vede bene come qui gli accenti siano forti, forse talvolta un po’ troppo per fare maggiore impressione, ma nondimeno abbiamo sempre un solido fondamento. “Perché voi siete figli”, si dice in Galati 4:6-7, “Dio ha mandato nei vostri cuori lo Spirito di suo Figlio, che grida: Abba, Padre! Così tu non sei più servo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per grazia di Dio”. Qui dunque non si predica la religione, ma la libertà, che l’uomo nobile non interpreterà mai in senso negativo. Per profondità di metafora, questo passo è quasi filosofico. Il figlio è il germoglio del mondo, Gesù Cristo è la rappresentazione personale dello spirito che deve regnare in noi. Egli è il paradigma della comunione tra l’uomo e Dio. Per questo Cristo stesso dice in Giovanni 15:15: “Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa ciò che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutto ciò che ho udito dal Padre mio”.  

Anche qui, dunque, i destinatari del discorso si trovano al di sopra della religione. E anche se il professor Bolland fosse l’unico a interpretarlo in questo modo, rimarrebbe comunque la verità. Se ora si chiedesse quale sia il risultato di questa verità, la risposta sarebbe: un sentimento migliore, più elevato, di comunione divina.  

“Se rimanete nella mia parola, siete veramente miei discepoli”, dice Gesù in Giovanni 8:32, “e conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi”. Perché quando si è al di sopra della religione, ossia al di sopra del servire in vista di una ricompensa o di una punizione, si è giunti alla libertà. Giudaismo e Islam non possono portare a questo; essi possono solo rendere gli uomini religiosi, e quindi inevitabilmente servi. Tuttavia, un certo grado di servitù porta forse più benefici alle masse rispetto a questa pericolosa, elevata comprensione della libertà. In questo senso, è quasi un bene che nel cristianesimo sia possibile una gradazione, così che esso possa essere definito la religione della libertà, anche se questa definizione risulta intollerabile per il filosofo.  

Cosa accade, dunque, quando l’uomo si eleva evangelicamente alla consapevolezza della libertà?  

Giacomo 2:12 consiglia: “Parlate e agite come persone che saranno giudicate secondo la legge della libertà”. E in Galati 5:13 leggiamo: “Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà; soltanto, non fate della libertà un pretesto per la carne, ma servitevi gli uni gli altri per mezzo dell’amore”. E ancora: “Se siete guidati dallo Spirito, non siete sotto la legge” (Galati 5:18). Ricordiamo inoltre che in 2 Corinzi 3:17 il Signore è chiamato Spirito.  

Dunque, l’uomo non ha più nulla da farsi imporre e si eleva al di sopra dell’inganno. Tuttavia, è notevole il fatto che il cristianesimo non pronunci una parola contro la schiavitù sociale, e che la Chiesa cattolica non abbia alcun merito nella sua abolizione. Certo, il cristianesimo antico considerava già gli schiavi come fratelli, tanto che Lattanzio, seguendo Seneca, diceva: spiritu fratres, religione conservi. [2] Tuttavia, in linea di principio, la Chiesa non ha mai combattuto questo male, tanto che nel Medioevo essa stessa possedeva schiavi. Ancora nel 1548, Paolo III confermava il diritto per laici ed ecclesiastici di possedere schiavi, dopo che nel 1454 Niccolò V aveva autorizzato il commercio di neri.

Il che, tuttavia, non toglie che il cristianesimo, nella sua forma più pura, dovesse colpire la schiavitù nel suo cuore, anche se non portò immediatamente a miglioramenti sociali degni di nota. Per usare un termine medico: abbiamo a che fare con un’incubazione; ciò che può essere vissuto e sentito spiritualmente significa così tanto, che non può subito realizzarsi. Ma in effetti: “Non avevano fretta”.  

Questa è la forza di testi come 2 Corinzi 3:17: “Il Signore è lo Spirito; e dove c'è lo Spirito del Signore, c'è libertà”. Il Signore dei cristiani non è un comandante o un sovrano, ma lo spirito che deve regnare in noi. Cristo deve realizzarsi in noi, e allora, secondo Giovanni 8:32, conosceremo la verità, e la verità ci renderà liberi. Chi giunge alla conoscenza della verità si libera da ogni pregiudizio, da ogni forma di servitù dello spirito.  

Ecco perché nel Libro dei Proverbi si afferma che l'umile venerazione di una grandezza isolata non è ancora cristiana. In realtà, il cristianesimo è uno stato intermedio tra religiosità e saggezza, il che lo rende quasi irrealizzabile e lo mantiene tale; il vero cristianesimo è un'Idea, e l'Idea non si realizza esteriormente.  

Essere cristiani in senso vero e proprio significa allora provare quel sentimento elevato per cui l’umanità partecipa dell’essere pienamente divino. Questo emerge magnificamente dalla lettera ai Romani, un'epistola destinata ai Romani, scritta da maestri romani intorno al 125 sotto il nome di Paolo. Infatti, leggiamo in Romani 8:38: “Io sono persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né cose presenti né future, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù, nostro Signore”.  

Qui si tocca il punto essenziale. La poesia è quanto di più sublime possibile, ma la tralasciamo per chiederci: quale coscienza si cela dietro queste parole? Chi scrive in questo modo non conosce più la paura; la paura che pervadeva l’intera antichità nei confronti degli dèi, e che riemerge nei moderni “teosofi dell’India” quando sussurrano di elementali e di Signori dal volto oscuro, è qui dimenticata. Ecco perché Lutero, che l’aveva superata, poté pronunciare le celebri parole: “Pecca fortemente, ma credi ancor più fortemente”. Egli sapeva: se abbiamo Cristo, non saremo perduti.  

Rendiamoci conto di quanti tesori si stiano perdendo ai nostri giorni. La saggezza non è mai per le masse; e allora, cosa possono avere per nobilitare la loro misera vita quotidiana? Il miglior surrogato della saggezza è ciò che permise a Hegel di affermare, nel §1 della sua Enciclopedia delle scienze filosofiche, che “Vero è che la filosofia ha i suoi oggetti in comune con la religione, perché oggetto di entrambe è la verità, e nel senso altissimo della parola”. E nel §564 egli sostiene: “Nel concetto della vera religione, cioè di quella il cui contenuto è lo spirito assoluto, è riposto essenzialmente, che essa sia rivelata, e cioè rivelata da Dio”. Hegel pronunciò queste parole con cautela. Le rappresentazioni di Dio, del mondo, dell’anima, ecc., non sono prive di verità, ma non sono la verità sviluppata. Perché quando immaginiamo Dio, il contenuto non è solo puro pensiero; la forma è sensibile. E chi non vuole lavorare seriamente per realizzare la verità in sé, dovrà accontentarsi della verità rivelata, cioè della verità offerta su un vassoio d’argento. “Dio è Ragione”, si legge a pagina 51 dell’edizione di Leida, e con ciò egli intende dire che la religione rivelata da Dio è la religione dello spirito, che inizialmente è presentata come incomprensibile. Ma ciò che è temporaneamente incomprensibile è il rivelato, non l'impensabile o l'inconoscibile. In effetti, Dio è il vero, il razionale, la Ragione eterna, e Hegel, che ai suoi tempi dovette destreggiarsi per evitare persecuzioni, intendeva dire che la Verità, essendo puro spirito, non è immediatamente comprensibile per tutti. E laddove egli afferma: “La religione è la verità per tutti gli uomini”, intendeva tacitamente dire: “poiché quei pochi saggi sono una quantità trascurabile”. 

Così, la dottrina cristiana è rivelazione e offre il suo significato soprattutto a coloro che non sono nati per la Ragione Pura e per il Collegium Logicum. Tuttavia, la massa, ai nostri giorni, ha assaporato il gusto della cicoria e ora vuole il caffè. Ma non c’è caffè. “Non ho paura di Dio”, dirà volentieri la plebaglia insieme ai pii, senza considerare la santità come condizione e senza arrivare al significato profondo di passi come Romani 11:36.  

“Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose”. Questo è puramente filosofico. La separazione è stata eliminata dal pensiero: siamo momenti di Dio, quindi non dobbiamo servire. L’eterno in noi testimonia che noi, entità temporali, apparteniamo all’eterno, ovvero in noi testimonia Dio stesso. [3

Questa parola di Romani non è propriamente religiosa, così come non lo è il suo corrispettivo in Atti 17:28: “Poiché in lui viviamo, ci muoviamo e siamo”. Dio ha infatti “fatto abitare tutti i popoli della terra a partire da un solo sangue, e ha stabilito i tempi loro assegnati e i confini della loro dimora, affinché cercassero Dio, se mai, tastandolo, potessero trovarlo, benché egli non sia lontano da ciascuno di noi”.  

Quanto è sottile questo pensiero, che l’uomo debba iniziare a cercare Dio! Ma non lo si trova, anche se lo si può esperire, proprio perché egli non è lontano da ciascuno di noi. In realtà, questa è un’affermazione di tipo panteistico, anche se è bene usare con cautela questa definizione, perché il filosofo, quando si arriva al punto cruciale, preferisce demonizzare piuttosto che panteizzare, dato che si cerca sempre di ascoltare una unilateralità. [4]

Apparentemente diverso, leggiamo in Efesini 2:6 che l’uomo è stato resuscitato e fatto sedere nei cieli in Cristo Gesù. In realtà, qui troviamo una spiegazione letterale e una conferma dell’idea che il cristianesimo sia il sentimento che l’umanità partecipa pienamente dell’essere divino; eppure, fin dall’inizio, la visione copernicana è stata considerata dalle autorità ecclesiastiche come la rovina della fede nell’ascensione e nel cielo stesso.  

Ma non abbiamo forse gettato via qualcosa di prezioso, quando non crediamo più, e quindi perdiamo anche il senso originale di tutto questo? Il senso che l’umanità partecipa a Dio. Gesù, come esempio, è collocato accanto al Padre per la nostra immaginazione: il nostro stesso modello siede alla destra del Padre, è presente quando Dio siede nella sua camera di consiglio. “Quando dunque il Figlio dell’uomo siede alla destra del Padre”, dice Hegel (Werke 122:300), “allora, con questa esaltazione della natura umana, il suo onore e la sua unità con il divino emergono nella loro massima espressione davanti all’occhio dello spirito”.  

L’ascensione [5] è il “fatto” attraverso il quale sia il cristiano luterano che quello cattolico giunge alla rappresentazione di un’esistenza divina-umana eterna, di un’onnipresenza divina accompagnata dalla glorificazione dell’umanità. L’intera comunità dei fedeli è “stata resuscitata e fatta sedere nei cieli in Cristo Gesù”, “con il quale sono stati resuscitati mediante la fede nell’operare di Dio”. (Colossesi 2:12; cfr. Romani 6:4).  

In realtà, lo stesso autore sacro non lo crede fino in fondo; letteralmente, infatti, non potevano essere stati collocati nei cieli. Ma qui non si discute un articolo di fede, bensì una modalità espressiva simbolica.  

Ora, dopo aver sviluppato questo pensiero fondamentale del cristianesimo, esaminiamo come esso appare nella realtà della storia. Possiamo subito dire che il cristianesimo si realizza in un equilibrio tra affermazione dogmatica priva di riflessione, errore deliberato e ordine libero.  

Pensiamo all’affermazione dogmatica priva di riflessione nel cattolicesimo, ossia al cristianesimo positivo, in realtà infantile e ingenuo, di fronte al quale essere protestanti significa, in un certo senso, essere razionali. Tuttavia, bisogna evitare di attribuire lode o biasimo fissandosi su uno dei termini di questo rapporto. Naturalmente, ci sono grandi studiosi cattolici e protestanti ingenui, ma comunque, le proporzioni restano proporzioni. E nella relazione tra cattolicesimo e protestantesimo, il vero cristianesimo può dire: “Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quando sono diventato uomo, ho abbandonato ciò che era da bambino” (1 Corinzi 13:11). Qui si parla di un’evoluzione verso la maturità, a cui si allude anche in Ebrei 6:1, uno dei versetti più notevoli del Nuovo Testamento: “Perciò, lasciando l’insegnamento elementare intorno a Cristo, tendiamo alla perfezione”, perché “il cibo solido è per gli adulti”.  

Essere infantili qui significa essere positivi. Anche un sasso esiste positivamente, ma la coscienza umana non è un’affermazione dogmatica. Il modello iniziale di questa affermazione dogmatica nel cristianesimo è il cattolicesimo, mentre la sua negazione risiede nel protestantesimo, che inizia come protesta e si traduce nel dissolvimento del positivo. Il protestantesimo, infatti, non ha altro contenuto positivo se non quello ereditato dalla Chiesa cattolica romana, per cui il protestante più coerente è colui che alla fine non crede più a nulla. La coercizione dogmatica, dunque, non dovrebbe appartenere alle nostre chiese, poiché con quale diritto si può imporre una confessione di fede ai propri nipoti?  

Ma allora, quale legame rimane? Già la parola pastore suona strana; ad esempio, le pecore del Veluwe rendono il lavoro del pastore molto difficile. Queste pecore non si comportano affatto da pecore. Non si può più parlare di oves et pastor, perché tutti si agitano l'uno contro l'altro. Ecco perché il protestantesimo, essendo una forma di cristianesimo in perenne opposizione e dissoluzione del positivo, finisce per significare la distruzione stessa del cristianesimo. Prima di esso, però, c’era qualcosa che cercava di emergere attraverso il cattolicesimo, che, essendo una religione ancora impregnata di pratiche giudaizzanti, non è priva di esteriorità. Infatti, il culto cattolico-romano è il mistero antico reso pubblico, una manifestazione esteriore della disposizione spirituale. Ma il semplice recitare e seguire il rituale non sarà mai il vero cristianesimo. Il professor Bolland avrebbe volentieri tenuto un sermone davanti a riformati rigorosi, che probabilmente lo avrebbero trovato piuttosto interessante, anche se qualche studente lo avrebbe guardato con uno sguardo di intesa. Tuttavia, oscillare avanti e indietro cantando una messa davanti all’altare non avrebbe potuto farlo. Essendo nato a Leida, era, nel profondo del suo cuore, protestante nel sentimento, pur essendo in grado di giudicare la Chiesa cattolica con maggiore equità rispetto ad altri, perché, volente o nolente, ne aveva avuto esperienza. Così poteva ben  comprendere che era necessario disorganizzarla per far maturare ulteriormente gli spiriti. E alla fine, emerge ora lo spirito della razionalità come valorizzazione di ciò che, comunque, possiede un significato profondo.

Ma anche se le comunità ecclesiastiche protestanti hanno la loro assertività evangelica e non evangelica, il principio protestante è un principio di trasformazione, abolizione e dissoluzione. È una contraddizione che ogni comunità protestante porta in sé: deve organizzarsi e, facendo ciò, perde il suo grande principio, che porta costantemente alla disgregazione e alla rovina imminente.  

Per questo motivo, il protestante coerente è l'uomo senza chiesa, completamente estraniato dal cristianesimo come dottrina ormai superata. Perché, sebbene si possa dire che non vi sia progresso nella semplice intransigenza e staticità, la contrapposizione non è elevazione, e il protestantesimo coerente, di per sé, non supera l’errore deliberato. Protestare, infatti, non conosce limiti né mezze misure. Ciò non significa necessariamente che sia un male, ma non porta arricchimento. Il cattolicesimo rimane una questione per minorenni, di fronte alla quale il protestantesimo, dal 1500 in poi, si presenta come il principio del progresso.  

Chi non è ancora cristiano è ebreo e pagano. E ciò che non è più cristiano rischia di rivelarsi di nuovo pagano. Si intende ciò che, coerentemente, è rimasto protestante fino alle sue ultime conseguenze. Già in Matteo 7:6 si riflette questa consapevolezza: “Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci”. Non fate capire troppo incondizionatamente a quella bestialità, a quella canaglia, che non ha nulla da temere!  

Così si legge anche nel Vangelo Egiziano, citato nelle Omelie Clementine: “Ricordiamoci e restiamo fedeli al nostro Signore e Maestro, che ci ha dato il comandamento: custodirete i misteri per i figli della mia casa. Per questo egli rivelava ai suoi discepoli, in privato, i segreti del regno dei cieli”. [6] “Gloria al nostro Signore, fratelli!” dice anche Clemente Alessandrino, “che ha posto in noi la saggezza e la comprensione dei suoi misteri; il profeta infatti dice: chi potrà comprendere la somiglianza del Signore, se non colui che è saggio, esperto e ama il suo Signore? Queste cose sono comprensibili solo per pochi, poiché non per invidia [7] – dice – il Signore ha comandato in un certo vangelo: il mio segreto (resta) con me e con i figli della mia casa!” [8

Se si considera, accanto a ciò, quanto ha detto Ernest Renan, che ha comunque contribuito in modo significativo alla scristianizzazione dell’Europa occidentale, si potrà capire perché il professor Bolland abbia definito tragica la sua stessa esistenza. Infatti, smettere di credere significa per la massa: imbarbarirsi, diventare maleducati. E Matteo 7:6 si può estendere fino alla socialdemocrazia. Le lingue velenose dei suoi leader dicono la verità, che attraverso l'odio si trasforma in menzogna e si rivolgerà contro di loro stessi. Il filosofo, invece, desidera almeno rimanere sempre nel segno dell’amore.  

Ma comunque si voglia giudicare la scristianizzazione, la trasformazione e la distorsione del protestantesimo, che si è rivelato sempre più anticristiano, sono presupposte nella vera cristianità, che va oltre il cattolicesimo infantile e la razionalità ostinata del protestantesimo. Tuttavia, l'affermazione delle proprie convinzioni presenta delle difficoltà per la massa, tanto che con la pura dottrina evangelica non si ottiene nulla tra ottentotti e boscimani. E se diciamo o ammettiamo che la Chiesa cattolica ha molte possibilità di un grande futuro in Brasile, ciò significa allo stesso tempo che gli olandesi rimasti cattolici sono olandesi arretrati, e che i connazionali che si lasciano persuadere subiranno un declino spirituale. Il cattolicesimo è una questione per i popoli meridionali, non per i germani.  

Così si rapportano tra loro il cattolicesimo, il protestantesimo e il vero cristianesimo come sentimento, intelletto e ragione, anche se il vero cristianesimo può ugualmente manifestarsi nel linguaggio del cattolicesimo e del protestantesimo. Tuttavia, non precisamente dentro o fuori una determinata comunità ecclesiastica. Più volte, il professor Bolland ha ricevuto nel suo studio sacerdoti che volevano rompere con la Chiesa, ma per questa ragione ha sempre sconsigliato loro di farlo. Inoltre, chi se ne va perde ogni influenza positiva.  

Qui è opportuno ricordare una frase che il professor Bolland ripeteva costantemente agli studenti di teologia di Leida: nessun uomo è troppo buono per essere predicatore, anche se molti predicatori non sono abbastanza buoni per il loro ufficio. È necessario un surrogato umano universale per la saggezza, che possa essere meglio trasmesso dai più nobili tra noi. Bisogna parlare pedagogicamente, a beneficio delle comunità, pensando a ciò che si dice, ma senza dire tutto ciò che si pensa. Considerato in questo modo, l'ufficio di predicatore è la funzione più alta e nobile che un uomo possa svolgere, superata solo da quella di professore di filosofia. Infatti, per la comunità, la pura ragione deve essere presentata come ragione velata, [9] poiché il cristianesimo dogmatico non è il vero cristianesimo. E neanche quello errato. Il vero cristianesimo è quello completo, che si ritrova in ogni forma di cristianesimo. È il libero e ragionevole sentimento dello spirito non più dogmatico, che in nessun caso nega il significato e il senso degli insegnamenti cristiani, pur non conoscendo più né speranza né paura, pur essendo privo di fede. Perché chi crede ancora nell'ascensione al cielo? Come abbiamo visto, l’apostolo stesso non ci credeva. È una figura retorica densa di significato. “La maggior parte delle persone” – ha scritto nella seconda metà del 2° secolo il medico-filosofo Galeno – “non riesce a seguire un ragionamento strutturato con il proprio intelletto e ha quindi bisogno di un insegnamento per mezzo di parabole, proprio come vediamo ai nostri giorni che coloro che chiamiamo cristiani hanno tratto la loro fede dalle parabole. Tuttavia, talvolta queste persone fanno lo stesso dei veri filosofi: per esempio, tutti possiamo vedere la loro indifferenza verso la morte, così come notiamo che, per moderazione, provano avversione per la dissolutezza; tra loro vi sono uomini e donne che si sono persino astenuti per tutta la vita dall’unione coniugale, e altri che, nella padronanza di sé, nella disciplina e nella ricerca seria di un comportamento nobile, hanno raggiunto un livello tale da non essere inferiori ai veri filosofi”.  

Il cristianesimo completo, vero e libero è la razionalità sensibile, che si manifesta nel linguaggio cristiano per esprimersi in modo simbolico e conciliatore. [10] E il fiore del cristianesimo è il liberalismo religioso, che è più di una semplice indipendenza di pensiero, tanto che può anche parlare in modo edificante per l'ortodossia, contribuendo così alla formazione di persone giuste, ragionevoli e sensibili. Così, anche il non credente, che potrebbe aver riflettuto su tutto ciò di cui si è discusso, potrebbe finire per considerare la religione in modo più ricco, più profondo e più equo rispetto a prima.  


NOTE AL CAPITOLO VIII.

[1] I Libri dei Proverbi, Appendice n. 36 e seguenti.

[2] Lattanzio, Institutiones V, 15, 3. Hegel, Opere 9², 405: “La schiavitù è impossibile nel cristianesimo”.

[3] I Libri dei Proverbi, p. 237, nota.

[4] Cfr. Zuivere Rede, p. 667.

[5] In realtà, discesa agli inferi, resurrezione e ascensione costituiscono un unico insieme simbolico, anche se nel racconto evangelico la prima non poteva facilmente essere proposta. E che innanzitutto la resurrezione evangelica sia allegoria, lo si vede chiaramente in Luca 2:34; 16:32; 23:43; Giovanni 5:24; 11:25; Romani 6:4; 1 Corinzi 15:50; 2 Corinzi 5:1-4; Efesini 2:5-6; 5:14; Filippesi 1:23; Colossesi 2:12.

[6] Clemente Alessandrino, Stromati 5:10.

[7] Voltaire a proposito di Marco 4:12 (cfr. Romani 9:18): “C’è forse qualcosa di più duro e di più odioso?”

[8] Omelie Clementine 19:20.

[9] Bolland, Il primo vangelo, p. 162 sgg.

[10] Che soltanto il sapiente possa servirsi del linguaggio simbolico con comprensione, lo aveva già notato intorno all’inizio della nostra era Didimo Grammatico.

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