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B. Testimonianze dell'Esistenza di un'Epistola Più Corta.
Il risultato dell'indagine precedente è che l'Epistola ai Romani fu fabbricata piuttosto che scritta. Ci sono anche prove che essa una volta esistette in una versione più corta. Ciò può essere dedotto con probabilità dalle omissioni di Ireneo e di Tertulliano nel citarla; ma in ogni caso è chiaro che gli Gnostici, a cui essi si opposero, e che li precedettero considerevolmente nel tempo, utilizzarono un'Epistola più corta. Secondo Ippolito (Philosophumena 7:25), che qui non fa alcuna osservazione sulla differenza testuale, Basilide citò la sostanza di 8:19-22 in una versione più breve e più comprensibile di quella del testo canonico: “E la stessa creazione geme insieme con noi e soffre le doglie del parto, attendendo la rivelazione dei figli di Dio” (καὶ ἡ κτίσις αὐτὴ συστενάζει καὶ συνωδίνει τὴν ἀποκάλυψιν τῶν υἱῶν τοῦ θεοῦ ἐκδεχομένη). [1] La deduzione che egli avesse davanti a sé un testo diverso è confermata dal confronto del verso 13, 14 con un'altra citazione che Ippolito fa più oltre: “Perciò da Adamo fino a Mosè ha regnato il peccato, com'è scritto” (μέχρι μὲν οὖν Μωσέως ἀπὸ Ἀδὰμ ἐβασίλευσεν ἡ ἁμαρτία, καθὼς γέγραπται). Questa non è una citazione del testo canonico, ma lo richiama, ed è spiegabile sull'ipotesi che Basilide usasse una versione dell'Epistola non più esistente.
Abbiamo maggiori informazioni circa il testo letto da Marcione. Questo era certamente più breve del testo canonico che Tertulliano lo accusa di aver mutilato. Non possiamo, ovviamente, prendere per buona la parola dei “Cattolici” sul fatto che il loro testo fosse l'originale, anche se non c'è bisogno di accusarli di malafede. Il solo fatto che le copie in loro possesso contenessero passi non compresi nell'Epistola riconosciuta dall'“eretico” fu sufficiente ai loro stessi occhi per giustificare l'accusa di falsificazione circolata da Ireneo in poi. In realtà, ci sono validi motivi per ritenere più antica la versione dell'Epistola letta da Marcione. Ireneo scrisse la sua opera principale contro gli eretici almeno quarant'anni dopo che Marcione si presentò a Roma; e ciò lascia il tempo di apportare modifiche al testo e di far sorgere sospetti ingiustificati circa la ragione delle differenze. Per Marcione, Paolo fu “l'Apostolo”; egli non lo riprese come autorità dai suoi avversari. Ireneo e Tertulliano, d'altro canto, furono impegnati nel tentativo di annettere “l'Apostolo degli eretici” nell'interesse cattolico. Che cosa è dunque più probabile: che Marcione creasse per sé un'autorità alla quale poter appellarsi solo dopo ampie mutilazioni; oppure che quell'autorità, che, come dobbiamo ricordare, lui stesso e gli uomini del suo orientamento avevano fatto conoscere, ricevesse in seguito aggiunte e subisse modifiche dallo schieramento avverso? Non c'è bisogno di considerarlo esente dalle cattive abitudini del secondo secolo riguardo ai testi che dovevano essere citati come autorevoli; ma, se egli tentasse una falsificazione su una scala così ampia, sembrerebbe strano che non l'avesse portata a termine più efficacemente. Nel testo che lui utilizzò, figurava un passo dopo l'altro che i suoi avversari avrebbero potuto in seguito addurre contro di lui, mentre ne erano assenti altri che non deponevano nemmeno in minima parte contro una sua posizione. E se, già che c'era, avesse fatto accuratamente il lavoro, non avrebbe trovato necessario scrivere un trattato controverso per provare che Paolo, nonostante alcune apparenze del contrario, fosse davvero dalla sua parte. In base a tutto ciò, dobbiamo concludere che il testo più breve di Marcione era anteriore e più originale rispetto al testo canonico.
NOTE
[1] Lo Gnostico, come è stato spiegato in una discussione non inclusa nel riassunto precedente, intese con queste doglie del parto sofferte dalla creazione naturale il desiderio di essere liberata dai “figli di Dio” — cioè dai cristiani — i quali, non essendo di questo mondo, ne turbavano l'armonia. Il fine della sua aspirazione è “che tutti gli uomini della filialità salgano da quaggiù” (ἵνα πάντες ἀνέλθωσιν ἐντεῦθεν οἱ τῆς υἱότητος ἄνθρωποι). Dio, avendo finalmente pietà, distenderà su tutto il mondo un profondo oblio, “di modo che tutti gli esseri restino nella loro condizione naturale e nessuno desideri niente di ciò che è contro natura”. Così il mondo, non conoscendo più d'ora in avanti i “figli di Dio” e contento della sua ignoranza, non sarà più turbato ancora da simili doglie del parto.
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