giovedì 17 ottobre 2024

ECCE DEUS — CONCLUSIONE

 (segue da qui)

CONCLUSIONE 

Quest'analisi è stata tediosa, ma era necessaria, e apparentemente non lascia dubbi sul fatto che il riferimento prevalente e quasi esclusivo del pentimento e del ravvedimento è alla conversione da una forma di culto imperfetto o idolatrico al puro culto dell'unico “Dio nella persona di Cristo”. Sembra probabile che il riferimento primitivo del peccato, specialmente nella “remissione o allontanamento dei peccati”, fosse nell'uso neotestamentario sempre alla rinuncia dell'idolatria, degli errori di fede o di pratica. Questi erano infatti concepiti trascinare con sé tutte le forme di vizio, come si legge molto chiaramente in Romani 1:18-32, dove l'intero acrostico delle iniquità è dedotto dal politeismo, dal rifiuto di avere la conoscenza di Dio (1:28). Questo passo è altamente istruttivo e afferma la dottrina neotestamentaria con più chiarezza ed enfasi di ogni altro. Sembra impossibile, dopo averci riflettuto attentamente, mettere in discussione in qualche aspetto importante il risultato dell'indagine precedente. 

Questi risultati inattesi derivano grande importanza dal fatto che confermano in maniera impressionante e decisiva la conclusione già raggiunta (pag. 46 e seguenti) circa l'essenza e la virtù sovrana della proclamazione protocristiana.  Se, come si sostiene, la propaganda primitiva fosse stata diretta principalmente e consapevolmente contro l'idolatria prevalente, se fosse stata una rivolta organizzata contro il politeismo, allora, in effetti, il suo grido di battaglia doveva essere, o almeno doveva significare, “Cambiate i vostri pensieri”, “Volgetevi dagli dèi a Dio”; allora, in effetti, il “ravvedimento dalle opere morte e la fede in Dio”, dovettero essere stati il fondamento stesso della nuova religione universale. La conclusione è vera, ma in questo ragionamento non implica esplicitamente la premessa. D'altra parte, se questo fosse stato effettivamente il grido di battaglia dei missionari, e se questo fosse stato il suo significato, se il loro appello al pentimento avesse significato davvero “Abbandonate i vostri idoli e adorate solo l'unico Dio vivente” (il Gesù, che li avrebbe così salvati dai loro peccati, dalle loro idolatrie), allora, in effetti, il contenuto vitale della loro predicazione non avrebbe potuto essere altro che la grande verità del monoteismo, e lo scopo della loro crociata non avrebbe potuto essere altro che la redenzione dell'umanità dall'“errore politeistico”, dall'“amara servitù dei demoni che ci tiranneggiano”. Ora, però, con procedimenti del tutto scorrelati da premesse del tutto scorrelate, abbiamo mostrato che in questo caso la premessa è effettivamente vera; e da essa la conclusione segue di necessità. In altre parole, la conclusione necessaria di una premessa già stabilita (pag. 6 e seguenti) è stata a sua volta mostrata in modo del tutto indipendente un fatto storico-letterario; e questo fatto è stato dimostrato recare con sé l'anzidetta premessa come sua conseguenza necessaria. Sarebbe difficile fornire, e ingiusto richiedere, una dimostrazione più rigorosa. 

Non dovrebbe passare inosservato, poiché integra e conferma quanto detto sopra, che la parola ebraica per pentirsi, nel senso familiare e ormai quasi esclusivo di rimorso o rimpianto, è l'espressione onomatopeica nāham, sospirare, gemere. Nell'Antico Testamento è usata soprattutto con Jahvé, ora in senso affermativo, ora in senso negativo. Il suo equivalente neotestamentario, e di fatto la sua traduzione, è metamélomai, usato cinque volte (Matteo 21:30, 32; 27:3; 2 Corinzi 7:8; Ebrei 7:21), abbastanza distinto da metánoia.

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