domenica 29 settembre 2024

ECCE DEUS — I BALUARDI DEL LIBERALISMO

 (segue da qui)

PARTE III.

I PILASTRI DI SCHMIEDEL

ἀμφοῖν γὰρ ὄντοιν φίλοιν ὅσιον προτιμᾶν τὴν ἀλήθειαν. — ARISTOTELE.

«Benché infatti ambedue le cose siano care, è giusto e preferibile la verità» (N.d.T.).


I BALUARDI DEL LIBERALISMO 

1. La maniera in cui il problema più profondo, più difficile e di gran lunga più importante del Nuovo Testamento è trattato quasi uniformemente dai portavoce più accreditati dell'Alto Criticismo è cavilloso a un livello tale da far rimpiangere i giudiziosi. Solo con un'aria impaziente di condiscendenza malcelata essi si degneranno di ammetterlo nell'arena del dibattito e, una volta ammesso, ciò è giudicato in senso scontato con una rapidità, per non dire precipitazione, che ricorda l'esclamazione ad patibulum, ad patibulum del giudice risvegliato durante i bei vecchi tempi di Alva. Nell'edizione tedesca di questo libro si è pensato bene di dedicare circa sette pagine alle compiacenti argomentazioni avanzate da Renan, da Réville e da Keim, prima che la storicità del Gesù fosse diventata davvero una questione scottante. Tale discussione prometteva di essere istruttiva, almeno nel mostrar quanto i più recenti apologeti fossero stati costretti a seguire gli apologeti più anziani, quanto poco progresso reale fosse riuscito a registrare il liberalismo più recente e più colto. Però queste pagine sono state omesse da questa edizione per fare spazio a questioni di maggiore importanza e perché la maggior parte delle considerazioni ivi raccolte si possono trovare ora in forme equivalenti, sebbene più elaborate, distribuite in punti appropriati di questo volume, cosicché la sua argomentazione non soffre in alcun modo dell'omissione. 

2. C'è però un'eccezione a questa regola di inadeguatezza: un'eccezione così degna di nota da meritare una considerazione particolare e minuziosa. Il professor Paul Wilhelm Schmiedel di Zurigo, il grande successore del grande Volkmar, comprende perfettamente il caso e nel suo articolo più importante su “I Vangeli” nell'Enciclopedia Biblica (§§ 131, 139, 140, 141) ha sviluppato una vera argomentazione che richiede il più attento esame assieme ad un'ammirazione incondizionata. così importante è questo tentativo formale e serio di dimostrare la storicità di Gesù che le sue basi meritano di essere citate in extenso. Schmiedel definisce giustamente “spiacevole il fatto che la decisione sulla credibilità della narrazione evangelica debba dipendere dalla determinazione di un problema così difficile e forse insolubile come quello sinottico”. Proprio vero. Rimandare un problema alla soluzione della “questione sinottica” vuol dire rimandarlo alle calende greche. Ma dobbiamo osservare che la questione della storicità di Gesù, come noi la concepiamo, non è affatto la stessa della “credibilità della narrativa evangelica”. Sostenere che i Vangeli sono in essenza un simbolismo consapevole ed elaborato non equivale a dire nulla contro la loro credibilità. Possiamo parlare della forza, della bellezza, dell'efficacia di una similitudine, di una metafora o di una parabola, ma mai della sua credibilità o incredibilità. Questa è una distinzione essenziale da tenere a mente. Dimenticarla equivale a diventare incapaci di una valutazione adeguata della questione in esame. 

3. Schmiedel continua: “L'esame della credibilità deve essere impostato fin dall'inizio da due punti di vista opposti. Da un lato, dobbiamo mettere da parte tutto ciò che, per qualsiasi ragione derivante o dalla sostanza o da considerazioni di critica letteraria, va considerato dubbio o errato; dall'altro, dobbiamo ricercare tutti quei dati che, per la natura del loro contenuto, non possono in alcun modo essere considerati invenzioni. 

4. “Quando uno storico profano si trova dinanzi un documento storico che testimonia il culto di un eroe sconosciuto ad altre fonti, egli attribuisce la massima importanza a quelli aspetti che non possono essere dedotti semplicemente dal fatto di questo culto, e lo fa per il semplice e sufficiente motivo che essi non si troverebbero in questa fonte se l'autore non li avessi incontrati come dati consolidati della tradizione. Lo stesso principio fondamentale può essere tranquillamente applicato nel caso dei Vangeli, poiché anch'essi sono tutti scritti da adoratori di Gesù. Abbiamo quindi il vantaggio — che non sarà mai troppo apprezzato — di poter riconoscere qualcosa come degno di fede anche senza poter dire, o essere chiamati a indagare, se provenga dal Marco originale, dai logia, dalla tradizione orale o da qualsiasi altra fonte che possa essere addotta. La priorità relativa diventa una questione indifferente, perché la priorità assoluta — cioè l'origine nella tradizione reale — è certa. In questi punti la questione della credibilità diventa indipendente dalla questione sinottica. In questo caso i casi più chiari sono quelli in cui un solo evangelista, o due, hanno dati di questa categoria, e il secondo, o il terzo, oppure entrambi, si trovano ad averli alterati nell'interesse della riverenza dovuta a Gesù. Se scopriamo alcuni di questi punti — anche se pochi — essi garantiscono non solo il loro contenuto, ma anche molto di più.  In questo caso, infatti, si può ritenere credibile anche tutto ciò che concorda con queste e che, per altri aspetti, non dà adito a sospetti. In effetti, lo storico completamente disinteressato deve riconoscere come proprio dovere quello di indagare i motivi di questa così grande riverenza per sé stesso che Gesù fu in grado di suscitare; e allora si troverà innanzitutto indotto a riconoscere come veri i due grandi fatti che Gesù ebbe compassione per la moltitudine e che predicò  con potenza, non come gli scribi (Matteo 9:36; 7:29). Procediamo quindi a verificare nei due modi indicati alcuni dei punti principali nei vangeli sinottici”. 

5. Il professor Schmiedel procede ora con questa verifica critica, e dapprima con risultati solo negativi e sfavorevoli relativi al “quadro cronologico” (132), all'“ordine della narrativa” (133), alle “occasioni dei detti di Gesù” (134), a “luoghi e persone” (135), alle “condizioni appartenenti a un periodo successivo” (136), ai “racconti dei miracoli” (137), alla “Resurrezione di Gesù” (138). Alla fine, però, dopo questo faticoso pellegrinaggio attraverso il deserto della negazione, raggiunge la terra promessa dell'affermazione e della certezza ed esclama fiducioso nella gioia: “139. Brani assolutamente credibili: (a) Circa Gesù in generale. 140. (b) Sui miracoli di Gesù”. 

6. È con vivo interesse che si ascolta questo annuncio, anche se i termini non sono proprio rassicuranti. Una cosa è che un brano o un'affermazione sia “assolutamente credibile”, e piuttosto un'altra che costringa a credere, che il suo contrario sia non credibile. Riguardo a molte narrative, potremmo dover ammettere che esse siano “assolutamente credibili”; potrebbe non esserci alcuna ragione per non crederci, eppure allo stesso tempo potrebbe non esserci alcuna ragione di sorta per crederci. In questi casi, il giudizio dovrebbe rimanere sospeso fino a quando qualche considerazione esterna decisiva non venga messa sul piatto della bilancia. Questa osservazione merita di essere fatta a questo punto, per la sua pertinenza, non tanto al caso in esame, quanto a decine di lavori critici che sono completamente viziati da questa fallacia di assumere che, se un episodio evangelico non è di per sé né nel suo contesto incredibile, esso dovrebbe quindi essere creduto: un principio che ci costringerebbe ad accettare come Storia reale intere biblioteche di letteratura fittizia. Naturalmente, si può dare per scontato che il professor Schmiedel non si sia imbrigliato in un simile paralogismo. Nel suo articolo dobbiamo supporre che per “assolutamente credibile” si intenda una credenza assolutamente persuasiva, che costringe all'accettazione: in questo caso il nostro vivo interesse diventa intenso. 

7. Quali sono, dunque, questi passi di importanza così trascendente? Sotto (a) ne troviamo cinque: (1) Marco 10:17 e seguenti (“Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo”); (2) Matteo 12:31 e seguenti (che la bestemmia contro il Figlio dell'Uomo può essere perdonata); (3) Marco 3:21 (che i suoi parenti lo ritennero fuori di sé); (4) Marco 13:32 (“Quanto a quel giorno o a quell'ora, nessuno li sa, neppure gli angeli del cielo, neppure il Figlio, ma solo il Padre”); (5) Marco 15:34 (“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”). Sotto (b) troviamo: (1) Marco 8:12 (dove Gesù rifiuta di dare un segno); (2) Marco 6:5 (Gesù non è in grado di compiere alcun atto di potenza a Nazaret); (3) Marco 8:14-21 (“Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei”, ecc.); (4) Matteo 11:5-Luca 7:22 (risposta al messaggio di Giovanni il Battista). 

8. Questi sono i nove pilastri del Vangelo concepito come Storia. L'occhio di falco, il fiuto da segugio del professore zurighese ha scorto e individuato questi nove: non di più. Certamente sono, almeno in numero, sufficienti. Per loro si sostiene che “potrebbero essere definiti i pilastri fondativi di una vita di Gesù veramente scientifica”; che “provano” “che nella persona di Gesù abbiamo a che fare con un essere completamente umano......provano anche che egli è realmente esistito [come uomo storico] e che i Vangeli contengono almeno alcuni fatti assolutamente attendibili che lo riguardano”. Altrove, come nella sua luminosa Introduzione al Gesù di Arno Neumann, il critico svizzero si è espresso in maniera ancora più inequivocabile. Parla di fornire “la prova dell'esistenza storica di Gesù in un modo che sarà del tutto immune da possibilità di obiezione”.  Confutando Robertson, sostiene che quest'ultimo “sta pensando a testi che in sé considerati sono ugualmente applicabili a un semidio e a un uomo; mentre i miei brani “fondativi”, invece, sono appropriati solo a un uomo, e non avrebbero mai potuto essere scritti se l'autore avesse pensato a un semidio” (pag. xvii). Più chiaramente di tutto, a pag. xviii: “Siamo così portati a una semplice questione di fatto: la precisa specificità dei brani fondativi è stata correttamente affermata? Gli adoratori di Gesù, quali erano per consenso universale gli scrittori dei Vangeli, avrebbero potuto inventare per lui parole come “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo” (Marco 10:18)......e così via. Se fossero stati guidati dalla loro adorazione per il solo Gesù, non avrebbero potuto scriverlo. Dovettero quindi essere guidati da una tradizione. Ma, inoltre, questa tradizione era essa stessa realmente tramandata da adoratori di Gesù; di conseguenza, questi testi non possono essere stati inventati neppure in questa fase preliminare della composizione del Vangelo, ma dovettero basarsi su una riproduzione fedele dei fatti. Il signor Robertson non ha approfondito la questione se sia così o meno”. 

Infine, e più acutamente, a pag. xxi: “In realtà i miei testi fondativi non sono stati da me cercati per alcuno scopo; essi si sono imposti a me in virtù di una caratteristica, e di una sola caratteristica: l'impossibilità di essere stati inventati, e la loro conseguente credibilità”. 

9. Sicuramente il lettore deve ora comprendere chiaramente questa argomentazione. Il prof. Schmiedel sostiene che nove brani scritti e preservati dagli adoratori di Gesù sono opposti così direttamente alla loro concezione di Gesù come entità da adorare che non potevano essere stati inventati da questi adoratori; per cui conclude che dovettero aver fatto parte di una tradizione riguardante il Gesù, nella quale tradizione egli apparve non come un'entità da adorare, ma come un uomo. Questa tradizione, che sta dietro tutti i vangeli scritti, noi la dovremmo accettare in quanto originale e affidabile, almeno quanto al suo punto centrale, l'umanità storica di Gesù. 

Ciò sembra essere un pezzo ammirevole di pensiero critico, e merita il tributo più alto che si possa pagare alla dialettica controversa: il tributo di un esame minuzioso, esaustivo e imparziale. 


NOTE

[1] Naturalmente, non si intende che l'argomentazione di Schmiedel sia priva di anticipazioni o di paralleli di qualche tipo: raramente si potrebbe dire tanto di una procedura scientifica. Nondimeno, grazie a una giusta accentuazione e a un accurato sviluppo, egli l'ha resa particolarmente sua.

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