mercoledì 15 maggio 2024

L'APOCALISSE — SUL QUALE UNA VERNICE CRISTIANA È STATA IN SEGUITO SPALMATA

 (segue da qui)

VI. SUL QUALE UNA VERNICE CRISTIANA È STATA IN SEGUITO SPALMATA

L'Apocalisse è un libro ebraico scritto in parte all'inizio della rivolta del 132, in parte dopo la catastrofe del 135. Diciamo ora che questo libro ebraico ci è pervenuto in un'edizione cristiana di cui mi resta da parlare. 

Esso è caratterizzato dai ritocchi molteplici che si possono classificare in due gruppi. Al primo gruppo appartengono quelli il cui spirito cristiano è manifesto e non lascia spazio ad alcuna contestazione. Nella lista seguente dove li si trova più spesso annessi al loro contesto ebraico da cui è impossibile separarli, sono scritti in corsivo: 

1:1 Rivelazione di Gesù Cristo che Dio gli ha dato... al suo servo Giovanni. 

1:2 Il quale ha reso testimonianza alla parola di Dio e alla testimonianza di Gesù Cristo. 

1:5 E da parte di Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il capo dei re della terra. 

1:6 A colui che ci ama... (fino a 8 compreso).

1:9 che hai parte... e alla perseveranza in Gesù. Io ero sull'isola chiamata Patmos a  causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù. 

1:11 Invialo alle sette chiese (termine sostituito qui e nei due capitoli seguenti al termine «sinagoghe». Nella mitologia ebraica dell'epoca gli stessi fenomeni atmosferici erano governati dagli angeli, si veda Histoire des dogmes 4:57; non si deve quindi stupirsi di vedere gli angeli a capo delle sinagoghe; grazie all'edizione cristiana dell'Apocalisse, le chiese ereditarono i benefici delle sinagoghe e furono presiedute dagli angeli).

 2:18 Ecco quanto dice il Figlio di Dio, colui che ha gli occhi come una fiamma. 

3:5 Non cancellerò il suo nome dal libro della vita e confesserò il suo nome davanti a mio Padre e davanti ai suoi angeli. 

3:14 Ecco quanto dice l'Amen, il testimone fedele e verace, il principio della creazione di Dio. 

3:21 Lo farò sedere con me sul mio trono, come io ho vinto e mi sono assiso con mio Padre sul suo trono. 

5:5 Non piangere; è stato deciso che il leone della tribù di Giuda, la radice di Davide, aprirà il libro. 

11:8 I loro cadaveri saranno sulla piazza dalla grande città... là dove anche il loro Signore è stato crocifisso.

12:17 Egli se ne andò a fare la guerra a coloro che osservano i comandamenti di Dio e che hanno la testimonianza di Gesù. 

14:4 Questi sono coloro che non si sono contaminati con le donne, perché sono vergini. 

14:12 Questa è la perseveranza dei santi che osservano i comandamenti di Dio e la fede di Gesù. 

17:6 Io vidi quella donna ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù. 

18:20 E voi, i santi, gli apostoli, i profeti. 

19:10 Io sono un servo come te e i tuoi fratelli che hanno la testimonianza di Gesù. Adora Dio, perché la testimonianza di Gesù è lo spirito di profezia. 

19:13 Egli aveva una veste tinta di sangue e il suo nome è il Verbo di Dio. 

20:4 E io vidi le anime di coloro che erano stati decapitati a causa della testimonianza di Gesù a causa della parola di Dio. 

21:6 Io sono l'alfa e l'omega, il primo e l'ultimo. 

22:13 Io sono l'alfa e l'omega, il primo e l'ultimo. 

22:16 Io, Gesù, ho inviato il mio angelo per attestarvi queste cose nelle Chiese. Io sono il germoglio e la discendenza di Davide. 

22:20 Vieni, Signore Gesù! 

22:21 La grazia del Signore Gesù sia con tutti voi! 

Avendo fatto la prova e acquisito la certezza che l'Apocalisse è un libro ebraico, abbiamo il diritto di basarci unicamente sullo spirito cristiano che anima questi testi per respingere la loro autenticità. La nostra deduzione è conforme alle leggi della più rigorosa logica e noi potremmo attenerci ad esse, anche se nient'altro altresì venisse a sostenerla. Ma ci è proprio permesso di constatare che i sostegni non le fanno difetto. Consideriamo i nostri testi. Alcuni sono allegati mediante la congiunzione «e» o da altre congiunzioni analoghe al contesto che faceva a meno di loro perfettamente; altri danno commentari che suonano artificiali; altri confondono tutto (come si può vedere nel titolo): tutti fanno figura di interpolazioni. Eravamo arrivati ​​per mezzo di deduzione a negare loro l'autenticità; la sintassi conferma la nostra deduzione. 

Accanto ai testi che affermano la loro origine cristiana, ve ne sono altri che la nascondono, cosicché per scoprirla un'inchiesta preliminare è necessaria. Occupiamoci ora di questo secondo gruppo. 

Il brano dei due testimoni (11:1-13) è passato sotto i nostri occhi. La prima versione ebraica ci ha mostrato questi personaggi sotto i tratti di due taumaturghi invincibili e invulnerabili. La seconda versione ci ha informato che la Bestia li ha uccisi, che i loro cadaveri sono stati esposti sul luogo di Aelia Capitolina e che, riportati in vita, hanno fatto il loro ingresso in cielo. Ma leggiamo nel versetto 10: «A causa loro gli abitanti della terra si rallegreranno e saranno nella gioia, e si invieranno doni gli uni altri altri perché questi due profeti hanno tormentato gli abitanti della terra». In questo testo l'autore, nello stesso tempo in cui descrive la gioia degli abitanti della terra, la legittima. Spiega che gli abitanti della terra hanno ragione a rallegrarsi della morte dei due profeti, dato che sono stati «tormentati» da loro. Non è così che parla un amico, un sostenitore. L'autore che tiene questo linguaggio è un nemico dei due profeti. Nel versetto 10, non è più lo scrittore ebreo della totalità del brano che tiene la penna, ma l'editore cristiano. Egli è già intervenuto nel versetto 8 per ricordarci che i cadaveri di Bar-Kochba e di Rabbì Achivà sono stati esposti «là dove il loro Signore è stato crocifisso». Egli interviene qui di nuovo per notare che questi due settari hanno perseguitato gli abitanti della terra, vale a dire i cristiani (persecuzione attestato da Giustino, 1 Apologia 31:6) e per descrivere la loro gioia. 

In 13:11-17 vediamo apparire una Bestia munita di due corna simili a quelle di un agnello, ma che parla come un drago e che ha la specialità di far discendere il fuoco dal cielo sulla terra. I due testimoni menzionati in 11:5 vomitano il fuoco dalla bocca. Con una sfumatura, i testi 13:13 e 11:5 ci inseriscono di fronte allo stesso prodigio e, senza dubbio, anche alla stessa causa. Il brano di 11 dà il ritratto di Bar-Kochba e di Rabbì Achivà tracciato da un sostenitore. Lo stesso ritratto ritorna probabilmente in 13; ma questa volta esso è tracciato da un nemico, dall'editore cristiano. Per lui, il messia del 132 e il suo protettore, è una sola e la stessa Bestia con due corna. Quella Bestia ha le apparenze di un agnello perché gli ebrei, dopo il 135, amavano presentare Bar-Kochba sotto il simbolo di un agnello immolato; ma in realtà essa si comporta come un drago, il messia ebreo lanciava il fuoco dalla bocca; ma la leggenda che abbellisce tutto ciò che tocca ha dovuto insegnare di buon'ora che egli faceva discendere il fuoco dal cielo, e i cristiani, per cui il messia ebraico era solo lo strumento del diavolo, non hanno avuto alcuna difficoltà ad accettare la leggenda. Ricordiamoci infine che il Veggente ebreo attende il ritorno di Nerone che deve prossimamente, seguito dagli eserciti dei Parti, prendere Roma e ridurla in cenere. Il messia Bar-Kochba ha avuto molto probabilmente la stessa speranza. Anche lui ha contato sull'aiuto di Nerone e ha dovuto comunicare ai suoi correligionari quella convinzione che era così adatta a premunirli contro ogni fallimento. Non ha potuto andare più oltre e, ad esempio, prescrivere agli ebrei di adorare Nerone; ma i cristiani che metteva a morte e che, invece, lo detestavano, hanno potuto spargere sul suo conto imputazioni di questo genere e il brano cristiano 13:11-17 può  essere l'eco di queste calunnie. 

In 16:13 appare un falso profeta, che è l'associato della Bestia e del drago. Lo ritroviamo un po’ più oltre (19:20). Lì constatiamo che egli è stato gettato nello stagno di zolfo e di fuoco in compagnia della Bestia. E infine 20:10 ci informa che, tra mille anni, il diavolo si unirà a loro. Questo falso profeta non può essere che la Bestia con due corna di 13:11. Egli indica quindi il messia ebreo del 132. Ma, in tutti e tre i casi, è l'editore cristiano che ce lo presenta. 

Passo ora alla descrizione della Gerusalemme celeste. In 21:12 leggiamo che le mura della città hanno dodici porte e che su ciascuna delle porte è scritto il nome di una delle dodici tribù dei figli d'Israele. In 21:14 si apprende che le stesse mura hanno dodici basi e che su ciascuna delle basi è scritto il nome di uno dei dodici apostoli dell'Agnello. Che dodici porte si aprono nelle mura di una città, non vi è nulla di più naturale; e che su ciascuna delle porte un nome sia scritto, non vi è nulla di più verosimile: quindi 21:12 non solleva alcuna difficoltà. D'altra parte, essendo date dodici basi (o dodici fondamenta) non è sorprendente che si dia un nome a ciascuna delle basi (o a ciascuna delle fondamenta), ciò che non si capisce è che le mura di una città abbiano dodici basi o dodici fondamenta. Le pietre che servono da fondamenta per una semplice casa sono in numero indeterminato; a maggior ragione deve essere così per delle mura che hanno cinquecento leghe di perimetro, forse anche da ogni lato. Si obietterà che queste basi o fondamenta siano pietre angolari? Si capirebbe che queste pietre angolari fossero in numero di dodici, se le mura della città formassero un dodecagono. Ma noi sappiamo dal Veggente stesso che esse formavano un quadrato. Dovevano quindi avere solo quattro pietre angolari. In ogni ipotesi le nostre dodici fondamenta non si spiegano né con le esigenze e neppure con le convenienze delle regole architettoniche. Concludiamo che non hanno ragion d'essere qui. Ne hanno una; ma ispirata da preoccupazioni estranee all'architettura e, per dirla tutta, artificiale. 

Queste dodici fondamenta sono lì per iscrivervi i nomi dei dodici apostoli. È unicamente a ciò che servono, è la loro unica ragion d'essere. Il versetto 21:14 è un'interpolazione cristiana intesa a neutralizzare i nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele inscritti sulle porte della Gerusalemme celeste. Quella interpolazione prosegue in 19b e 20 dove sono enumerate le dodici varietà di pietre preziose che adornano le fondamenta. Il testo primitivo diceva semplicemente: «Le fondamenta della muraglia della città erano adorne di pietre preziose di ogni sorta». L'interpolatore che aveva immaginato le dodici fondamenta ha creduto di dover assegnare a ciascuna fondamenta una specie di pietra preziosa. Egli mette nelle fondamenta dodici varietà. Ma le varietà che conosciamo, e che gli antichi stessi conoscevano,  raggiungono la cifra di diciannove. Egli tradisce quindi, senza sospettarlo, il testo primitivo che metteva nelle fondamenta pietre preziose «di ogni sorta»

Il testo 21:14 è di origine cristiana. Ma esso menziona «l'agnello» il quale è, come si è visto, una creazione dell'editore ebreo e indica, nell'edizione ebraica, il messia del 132. L'editore cristiano ha quindi preso al suo servizio l'agnello dell'edizione ebraica, lo ha identificato con Gesù. Ha fatto quella operazione almeno in 21:14. Vediamo se l'ha fatta altrove e leggiamo la descrizione dell'interno della nuova Gerusalemme (21:22-22:5): 

22. Io non vidi affatto un tempio in essa, perché il Signore Dio Onnipotente è il suo tempio e l'agnello. 23. La città non ha bisogno del sole e della luna per illuminarla; perché la gloria di Dio la illumina e L'agnello è la sua torcia... 22:1. Ed egli mi mostrò un fiume d'acqua della vita, splendente come il cristallo, che usciva dal trono di Dio e dall'agnello... 3. Il trono di Dio e dell'agnello è nella città. E i servi di lui (autou), adoreranno lui (autô). 4. Vedranno il volto di lui e il nome di lui è sulla loro fronte. 5. Non vi è più notte e non hanno bisogno della Luce di una torcia e della luce del sole perché il Signore Dio li illumina.

Se scartiamo le parole in corsivo la raffigurazione non soffre di quella scomparsa. Dio è il tempio della città; egli la illumina; egli ha in mezzo ad essa il suo trono da cui sgorga un fiume. I suoi servi lo vedono, lo adorano, hanno il suo nome iscritto sulla sulla fronte. La città non ha bisogno né di sole né di fiaccola perché Dio la illumina. Il testo si svolge senza soluzione di continuità. 

E ora facciamo entrare in gioco le parole in corsivo. Immediatamente varie domande sorgono. E innanzitutto perché l'agnello condivide con Dio l'onore di servire da tempio alla città, perché l'autore non ha scritto: «Il Signore Dio onnipotente e l'agnello sono il suo tempio?» A cosa corrisponde questa espressione: «Dio è il suo tempio e l'agnello?» Una tale goffaggine è strana in uno scrittore che, d'altronde, è un maestro nell'arte della scrittura. In secondo luogo, poiché Dio vuole illuminare lui stesso egli deve tenere in onore di diffondere su di essa una luce almeno eguale a quella del sole che sostituisce. Da allora in poi ogni torcia diventa inutile; perché nessuno ha l'idea di rinforzare la luce del sole con quella di una torcia. Questo è del resto quanto intende il Veggente che, in 22, ci informa che gli abitanti della città non hanno bisogno di una torcia. Cosa viene dunque a fare la fiaccola dell'agnello di cui parla 21:23? Si vede bene che è destinata a magnificare l'agnello, si vede anche che raggiunge questo scopo a spese della logica. In terzo luogo, come dobbiamo rappresentarci «il trono di Dio e dell'agnello» di cui si parla due volte? L'agnello ha un proprio trono distinto dal trono di Dio? Se egli è sul trono di Dio è accanto a Dio o sulle ginocchia di Dio? Come mai l'autore, che moltiplica a profusione i dettagli senza importanza, non ha pensato di descrivere il posto dell'agnello sul trono di Dio o accanto a questo trono? In quarto luogo, poiché l'agnello è, con Dio, il tempio degli abitanti di Gerusalemme, poiché è la loro fiaccola, poiché è accanto al trono di Dio o condivide persino il trono di Dio, egli merita proprio di essere adorato dai servi di Dio; e gli abitanti di Gerusalemme che ci tengono a vedere Dio, a portare il suo nome scritto sulla loro fronte, devono anche essere felici di vedere l'agnello e di avere il nome dell'agnello scritto sulla loro fronte. Da dove consegue dunque che in ogni caso, Dio solo è nominato e che non si parla più dell'agnello come se non esistesse?  

In due parole «l'agnello» pone i testi di 21:22-22, 5 alle prese con le proteste della sintassi, della logica e del buon senso. Se lo si scarta, la sua scomparsa non introduce nei testi alcuna soluzione di continuità. Cosa equivale a dire questo se non che l'agnello è un intruso? Lo scrittore ebreo parlava solo di Dio. L'agnello è stato inserito nel testo primitivo dall'editore cristiano che lo ha associato a Dio dovunque ha potuto. Esso non indica il messia ebreo, esso indica Gesù. 

Non si obietti che l'agnello ha potuto essere messo in aggiunta dallo stesso autore ebreo, quando egli ha proceduto alla seconda versione del suo libro. L'osservazione sarebbe giusta se la descrizione della nuova Gerusalemme appartenesse alla prima versione. Essa cade dinanzi a questo fatto, che la nuova Gerusalemme appartiene alla seconda versione. Solo l'autore cristiano ha potuto introdurre l'agnello nella seconda versione precedentemente costituita. 

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