lunedì 13 maggio 2024

L'APOCALISSE — ISPIRATO DALLA RIVOLTA DEL 132

 (segue da qui)

IV. ISPIRATO DALLA RIVOLTA DEL 132 

L'Apocalisse, fatta eccezione di alcuni supplementi che restano da determinare, è un libro ebraico che ha per origine un sollevamento ebraico schiacciato dagli eserciti romani. Gli ebrei si sono rivoltati tre volte. La prima rivolta ha portato alla guerra di Vespasiano e di Tito. La seconda ha dato luogo alla guerra di Traiano. La terza ha provocato la guerra di Adriano. Quale di queste guerre è stata l'occasione dell'Apocalisse? 

Scartiamo dapprima la guerra di Traiano del 115-117. Essa ebbe per teatro la Mesopotamia, la Cirenaica e l'Egitto, ma non si propagò nella Palestina. Ma l'Apocalisse ci mostra (11:2) la città santa, vale a dire Gerusalemme calpestata dalle nazioni per quarantadue mesi. Essa non ha potuto essere scritta nel 117. Noi disponiamo per essa solo due date, quella del 70 e quella del 132. Per quale delle due dobbiamo pronunciarci? La leggenda del ritorno di Nerone ha da dire la sua qui. L'Apocalisse annuncia che Nerone ritornerà prossimamente per distruggere Roma, che ritornerà a capo delle truppe il cui paese è situato al di là dell'Eufrate. L'Apocalisse conosce la leggenda del ritorno di Nerone pervenuta alla sua seconda fase, vale a dire sotto la forma che la credenza popolare prese a partire dall'88. L'Apocalisse è stata scritta dopo l'88. E poiché, in quella data, disponiamo solo della guerra di Adriano, dobbiamo concludere che la guerra che ha ispirato l'Apocalisse è quella di Adriano. 

Questo risultato importante è fortemente motivato. Nondimeno, siccome un'illusione è sempre possibile, prima di accettarla francamente e senza esitazione, si vorrebbe vederlo confermato. Ci siamo arrivati ​​prendendo per guida la leggenda del ritorno di Nerone. Vediamo se non esiste un'altra via per condurvi. 

Nel capitolo 11:2-7, il Veggente predice che la città santa sarà calpestata delle nazioni per quarantadue mesi. Allora Dio invierà i suoi «due testimoni». Questi personaggi avranno il potere di profetizzare. Del fuoco uscirà dalla loro bocca e divorerà tutti coloro che vorranno far loro del male. Il che non impedirà lo stesso alla Bestia venuta dall'abisso di far loro la guerra, di vincerli e di ucciderli. Chi sono questi due testimoni che profetizzeranno mentre la città santa, vale a dire Gerusalemme, sarà calpestata dalle nazioni, la cui bocca vomiterà fuoco, che stermineranno i loro nemici e che la Bestia finirà nondimeno per mettere a morte? I commentatori ortodossi danno, qui come ovunque, spiegazioni fantasiose ma che, almeno, sono chiare e ben dedotte. Si capisce senza difficoltà ciò che dicono e si constata che sono logici poiché i loro principi li costringono ad ammettere che il Veggente, illuminato dall'alto, descriva eventi situati nel futuro. Tra i commentatori indipendenti lo sgomento è totale. Secondo alcuni, il Veggente usa un artificio letterario e, col pretesto di profetizzare, descrive in realtà eventi compiuti. Secondo altri egli profetizza realmente, descrive eventi futuri che gli mostra la sua immaginazione esaltata. Molti adottano contemporaneamente le due soluzioni e credono che, nel nostro testo, la descrizione del passato sia mescolata alla predizione del futuro. Ci si rifugia nella profezia, perché non si riesce a trovare nella Storia due profeti che, dopo aver lanciato il fuoco dalla bocca e annientato i loro nemici, siano stati uccisi a Gerusalemme dal potere romano. Ma si ritorna malgrado tutto alla Storia, perché ci si rende conto che il genere profetico è incapace di dare precisazioni come quelle nel nostro testo. Si va da una soluzione all'altra perché nessuna dà soddisfazione. Il testo dei due testimoni è stato finora per i commentatori come una rete nella quale essi sono restati invischiati.

Per noi che abbiamo assegnato all'Apocalisse la data del 132-135, vediamo cosa era la Giudea in quell'epoca. Le legioni romane vi erano entrate nel 132 per domare una nuova rivolta degli ebrei. Due dei loro generali si logorarono in quel compito difficoltoso. Infine, dopo duri e sanguinosi combattimenti, soffocarono nel sangue la rivolta. Si dice che quasi 600.000 ebrei furono uccisi, per non parlare di coloro che morirono di malattia o di fame. Chi aveva alzato lo stendardo della ribellione? Due uomini: Bar-Kochba e Rabbì Achivà. Il primo si presentava come il Messia annunciato dai profeti e prometteva agli ebrei di restaurare il regno d'Israele. Il secondo garantiva il Messia col suo patrocinio che era potente; perché «era da anni la prima autorità degli ebrei; lo si paragonava ad Esdra e persino a Mosè» (Renan, L'Eglise chrétienne, pag. 199). Senza il Rabbì Achivà l'impresa del nuovo Messia sarebbe fallita. Essa riuscì perché il grande erudito persuase i suoi correligionari che Bar-Kochba era «la stella di Giacobbe» annunciata da Mosè nel libro dei Numeri, 24:17. Bar-Kochba e Rabbì Achivà furono quindi gli istigatori della rivolta del 132. Si può anche dire che essi restaurarono il regno d'Israele perché scacciarono i Romani da Gerusalemme e coniarono monete recanti l'effigie del tempio sormontato da una stella. [1] Sull'esempio di Dio suo padrone, i cui salmi (18:9) dicono che la sua bocca lancia il fuoco, il messia Bar-Kochba lanciava anche lui il fuoco dalla sua bocca. San Girolamo, da cui teniamo queste informazioni, spiega [2] che questo ciarlatano si metteva in bocca una stoppa fiammeggiante. Ma gli ebrei, che avevano nel loro messia una fede assoluta, non dubitarono del prodigio. 

Il regno istituito nel 132 scomparve nel giro di tre anni e mezzo. I suoi due fondatori furono uccisi. Poi i posteri custodirono il ricordo del messia, persero di vista il suo patrono. Rabbì Achivà cadde nell'oblio. Già persino al suo tempo, all'estero, lo si lasciava nell'oscurità. Giustino menziona solo Bar-Kochba (1 Apologia 31:6); e il Quarto Vangelo (5:43) dà luogo alla stessa osservazione. [3Ma nella Giudea le cose dovettero svolgersi diversamente. Il Messia e il suo protettore, che vivevano assieme, che lavoravano assieme, condividevano necessariamente la stessa gloria; i miracoli compiuti dall'uno erano legittimati dall'altro e valorizzavano il suo prestigio. Entrambi furono comunemente chiamati i testimoni di Dio; entrambi furono ritenuti capaci di vomitare il fuoco dalla bocca e di annientare i loro nemici; entrambi passarono per invincibili fino al giorno in cui entrambi caddero sotto la spada dei soldati romani.

Ho parlato del regno ebraico del 132 e dei suoi fondatori nei termini di cui si serve l'oracolo dei due testimoni. Come avrei potuto fare altrimenti? L'oracolo dei due testimoni, che diventa comprensibile quando lo si inquadra nella rivolta del 132-135, è sprovvista di senso non appena lo si colloca altrove. Solo gli avvenimenti del 132-135 lo chiariscono.

 Perché se non perché sono loro che l'hanno ispirato? Diciamo quindi senza esitare che la profezia dei due testimoni attinge i suoi elementi dalla rivolta del 132, ed esaminiamo ora i dettagli della redazione.

Il testo ci dice (6) che i due testimoni hanno il potere di chiudere il cielo durante i giorni della loro profezia; che hanno anche il potere di cambiare le acque in sangue e di colpire la terra con ogni piaga immaginabile. Leggiamo che i tre anni 132-135 furono segnati da una grande siccità, che vi furono anche in quell'epoca diversi flagelli come la carestia e la pestilenza; ed infine che l'acqua dei torrenti e delle cisterne fu arrossata dal sangue delle vittime della guerra. L'autore si occupa dei fenomeni naturali e di quelli che sono il seguito inevitabile dei massacri, e li volge alla gloria dei due fondatori del regno. È per lo stesso motivo che applica (4) a questi due personaggi gli oracoli di Zaccaria, 4, 3, 12 dove si parla di due ulivi e due candelabri che stanno davanti al Signore. Non si vede minimamente come questi oracoli sarebbero stati applicati ad apostoli cristiani. Al contrario, si capisce senza difficoltà la loro applicazione ai difensori delle istituzioni ebraiche. 

Ora due parole di Storia. A partire dal 70, Gerusalemme fu occupata da un accampamento romano. Attorno ad esso si radunarono gli ebrei, il cui numero andava aumentando. Alcuni di loro erano cristiani. Essi formarono una chiesa giudeo-cristiana che continuò la sua esistenza fino al giorno in cui fu annientata dal messia Bar-Kochba (132) e di cui Eusebio ci ha conservato (Historia ecclesiastica 4, 5, 3) la lista episcopale. Ma la maggior parte della colonia raggruppata attorno all'accampamento romano si componeva di ebrei rimasti fedeli alla religione dei loro padri. La grande preoccupazione di questi discepoli di Mosè fu naturalmente di ricostruire, non appena poterono, il tempio  (si veda Schürer, I, 687). Lo ricostruirono, non con il suo splendore di una volta, ma come le loro modeste risorse glielo permettevano. È quella ricostruzione che è descritta in stile oracolare nel testo 11:1-2 dell'Apocalisse. Il Veggente riceve l'ordine di misurare il tempio di Dio, l'altare e il numero degli adoratori; ma di lasciare da parte il cortile esterno del tempio, perché la città santa sarà calpestata per quarantadue mesi dai pagani. I «pagani» indicano qui l'esercito romano che resterà accampato a Gerusalemme per «quarantadue mesi» vale a dire per un tempo relativamente breve (l'espressione è attinta da Daniele; questo è, secondo le parole di Bossuet, «un numero misterioso» che non va preso alla lettera). Il tempio con l'altare sarà ricostruito tenendo conto del numero limitato degli adoratori. Quanto al cortile esterno e a tutto ciò che è accessorio vi si rinuncerà a causa della sventura dei tempi. 

L'oracolo dei due testimoni ha un senso quando lo si inquadra nella rivolta di Bar-Kochba. Lo ha solo lì. Ora che questo punto è acquisito, esaminiamo la visione della donna celeste e del drago (12). Essa si riassume così (scarto 5b e 6 sui quali ritornerò più oltre): Una donna appare nel cielo. Lei è avvolta dal sole; ha la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle; lei soffre i dolori del parto. Un grande drago appare, a sua volta, nel cielo. Esso ha sette teste, dieci corna, sette diademi. La sua coda trascina un terzo delle stelle del cielo e le scaglia sulla terra. Si appresta a divorare il figlio della donna. Ma ecco che un grande combattimento ha luogo. Michele scortato dai suoi angeli entra in lotta con il drago che, a sua volta, ha degli angeli ai suoi fianchi. Il drago vinto è precipitato sulla terra coi suoi angeli. La sua caduta è celebrata da un canto di gioia nel cielo dove lo si esecrava perché era l'accusatore dei suoi fratelli presso Dio. Quando esso è sulla terra si mette a perseguitare la donna e la sua discendenza. 

Questa è la visione. Va spiegata. Trasportiamoci col pensiero nella Palestina. Dal 70 ci sono a Gerusalemme ebrei cristiani, di cui conosciamo da Eusebio la lista episcopale. Accanto a loro ma in numero molto più considerevole ci sono ebrei non cristiani. È così nel resto della Palestina. Tutti questi ebrei cristiani e non cristiani sono fratelli; ma mai si sono visti fratelli nemici più acerrimi gli uni contro gli altri. Gli ebrei non cristiani fanno tutto il male possibile ai giudeocristiani (Giustino: Apologia 31:5; Dialogo 16:4; 133:6 dove tuttavia rimprovera loro di perseguitare tutti i cristiani indifferentemente).  Vedono in loro dei rinnegati che li accusano presso Dio di avere messo a morte Gesù di Nazaret, che sono, di conseguenza, «accusatori dei loro fratelli presso Dio». Il loro odio contro i giudeocristiani si estende 33 d'altronde al cristianesimo. Questo, con le sue comunità disseminate nella Palestina, fa loro l'effetto di un'idra, d'un drago dalle molteplici teste. Poiché esso accusa gli ebrei davanti a Dio, interpreta il ruolo del Satana di Giobbe, merita il nome di Satana. È anche il «diavolo», vale a dire «il nemico» per eccellenza. Infine, per la seduzione che esercita, esso ricorda il serpente che ingannò Eva (9). Gli ebrei constatano con dolore che il drago trascina nelle pieghe della sua coda molti di loro. E, attingendo il linguaggio di Daniele che (8:10) paragona i figli di Abramo alle stelle del cielo, dicono che la coda del drago fa cadere un terzo delle stelle del cielo. 

Ma nel 132 la situazione cambia. In quell'epoca, infatti, appare il messia Bar-Kochba. La madre del Messia è la nazione ebraica. Essa reca, 12:1, una corona di dodici stelle che sono le dodici tribù. È per lei che il sole e la luna sono state create (notare il sogno di Giuseppe. Genesi 37:9); ed ecco perché che il sole la circonda e la luna è sotto i suoi piedi. Il Messia chiama tutti gli ebrei a seguirlo per scacciare i Romani e fondare il regno di Israele. Tutti gli ebrei lo seguono come un solo uomo. Tutti... tranne i giudeocristiani. Anche loro contano di assistere imminentemente alla distruzione dell'impero romano e all'inaugurazione del regno d'Israele; ma è solo da Gesù che aspettano questi felici risultati. È Gesù il loro re; è in lui che hanno riposto la loro speranza. Si rifiutano quindi di seguire il messia del 132, di prendere parte alla guerra alla quale questo messia li esorta. Si comportano come se fossero gli amici di Roma, sembrano sostenerla. E abbiamo qui la spiegazione di 13:2 e 4 che ci mostrano il drago che presta la sua autorità alla Bestia.

Bar-Kochba si vendica massacrando tutti quei giudeocristiani che non hanno il tempo di sfuggire (Giustino 1 Apologia 31:6). È allora che ha luogo il combattimento tra Michele e il drago. Michele è il messia del 132. Il drago è il cristianesimo giudeocristiano. Il combattimento ha luogo nel cielo, vale a dire nella Palestina che è, secondo il linguaggio di Daniele  8:10, il soggiorno dell'armata dei santi. Michele è vittorioso; il drago è precipitato sulla terra, vale a dire che quei giudeocristiani che non sono massacrati fuggono oltre i confini della Palestina. Gli abitanti del cielo — gli ebrei — si felicitano di essersi sbarazzati del diavolo, di Satana, vale a dire del nemico che li accusava presso Dio. Ma compatiscono nello stesso tempo la terra a causa del personaggio nefasto che si insedia ora in essa. Lui però non ha rinunciato alla sua opera. Non potendo più perseguitare la nazione ebraica nel cielo della Palestina dove aveva generato suo figlio il messia, la perseguita sulla terra. Come mai è sulla terra, lei che, all'inizio della visione, abitava nel cielo? Lei non ha smesso di essere nel cielo della Palestina; lei vi è persino più gloriosa che mai poiché suo figlio vi regna. Ma lei è anche sulla terra. Lei vi è poiché molti suoi figli sono dispersi nel mezzo delle nazioni. Persino quando era nel cielo, il drago aveva cominciato a «sedurre tutta la terra» (12:9) «la discendenza» (17) della donna. Ora che non è più nel cielo, lui si accanisce con più ardore che mai contro di lei, contro tutti coloro «che osservano i comandamenti di Dio» (17). Ma agisce solo per seduzione e, se tenta di «trascinare la donna» (15), lo fa «lanciando come un fiume d'acqua dietro di lei (ib.)», vale a dire facendo del proselitismo presso gli ebrei. 

Ho spiegato la visione della donna e del drago. Ne ho dato un'interpretazione i cui elementi sono legati assieme. Interroghiamo ora i commentatori e domandiamo loro come intendono quella visione. Fino a questi ultimi tempi, la donna era, secondo loro, o la Chiesa cristiana, o la Chiesa giudeocristiana; il figlio nato dalla donna era Gesù; il drago era l'impero romano. Ma come mai il drago trascinava le stelle? Come mai seduceva la terra? Come mai era precipitato dal cielo sulla terra? Come mai, durante il suo soggiorno in cielo, era l'accusatore dei suoi fratelli? E quali fratelli questo drago poteva avere? A tutte queste domande o non si rispondeva affatto, oppure si portavano risposte assurde e soprattutto che non hanno tra loro alcuna coesione. 

Da un quarto di secolo ci si è ripiegati sui miti, se ne ha fatto un consumo prodigioso. Si è chiamato in soccorso il mito di Latona e del serpente Pitone, il mito di Iside e di Tifone, il mito di Marduc e di Tiamat, il mito di Ormazd e di Ahriman. Si è utilizzato il libro famoso di Dupuis sull'Origine des tous les cultes e le elucubrazioni astrali di questo autore sono state riportate in auge. La Donna dell'Apocalisse è diventata la costellazione della Vergine; il Drago è diventato la costellazione dallo stesso nome, e le dodici stelle che circondano come una corona il capo della Donna sono diventate i dodici segni dello zodiaco. Ma quando si pongono ai nostri moderni mitologi, orientalisti e astronomi, le domande che abbiamo posto agli antichi esegeti, quando si domanda loro in cosa consiste la seduzione compiuta dal drago, in cosa consiste l'accusa che questo stesso personaggio reca davanti a Dio contro i suoi fratelli e quali potevano essere i suoi fratelli; quando li si invita a decifrare questi geroglifici e altri ancora, loro che conoscono a fondo i testi cuneiformi e il mappamondo celeste, sono ridotti a ripubblicare le soluzioni degli antichi, vale a dire a darci risposte tanto incoerenti quanto fantasiose. Nella decadenza d'erudizione alla quale si sono abbandonati, hanno pensato a tutto tranne al fatto che occorreva spiegare. 

NOTE

[1] Si veda Schürer, Geschichte des Iüdischen Volkes im Zeitalter Jesu Christi, I, 679-701 che corregge gli errori di Renan, L'Eglise chrétienne, pag. 193-213 e 541­553.

[2] Apologia adversus Rufinum, 3:31.

[3] Delafosse, Le Quatrième Evangile, pag. 41

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