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XXXIII. — LETTERATURA APOCRIFA
§ 108) Le «Apocalissi» escluse dal canone giudaico. — Allo scopo adesso di meglio lumeggiare la facilità di assimilazione, nelle comunità galilee, delle dottrine zoroastriana e mitraica (della quale ultima dovremo appresso parlare), è utile accennare all'influenza preparatoria che, fin dal periodo babilonese, aveva esercitato nelle menti giudaiche la letteratura persiana di contenuto zoroastriano.
Nei profeti del periodo babilonese, come in Ezechiele ad esempio e nel Deutero e Trito-Isaia, noi riscontriamo tracce evidenti di influenze mitraiche e specialmente zoroastriane. Tali tracce ebbero a manifestarsi insistenti più tardi, colla letteratura cosiddetta apocrifa — in prevalenza apocalittica — che nel periodo post-babilonese, e specialmente nel periodo messianico, è stata abbondante in Giudea, ed i cui caratteri salienti erano: la visione o rivelazione, come contenuto formale (apocalissi) e la demonologia e angiologia come contenuto sostanziale. [1]
Al proposito va chiarito che il giudaismo ufficiale aveva sempre combattuto la credenza in una vita futura. Con ciò, se non aveva potuto impedire la formazione dell'idea farisaica, aveva potuto mantenere integra la tradizione scritta (alla quale si tenevano fedeli i sacerdoti saddochiti), mantenendo i libri sacri immuni da influenze di quel genere. Ma poiché di vita futura, nonché di angeli e di demoni noi sentiamo parlare nei primordi del cristianesimo, è naturale che per ricercare le fonti di tali idee noi si debba indagare negli antichi componimenti, che tali idee avevano importato, e che, come detto, appartenevano alla letteratura cosiddetta apocrifa.
Circa l'origine della parola «apocrifo», ricordiamo che, dopo la riforma di Esdra — il quale non solo aveva dato al suo popolo i libri della Legge, ma aveva istituito nel tempio di Gerusalemme un collegio di Scribi incaricati della tenuta dei libri stessi — tutte le opere che venivano scritte in Giudea, venivano sottoposte, da parte degli scribi, ad una speciale censura. [2] A seguito di tale censura, quei libri che erano ritenuti ispirati da Dio, venivano inclusi nel canone (e cioè nella raccolta ufficiale dei libri sacri), mentre gli altri più numerosi, che non erano ritenuti ispirati (o meglio che non erano rispondenti allo spirito mosaico, che la classe sacerdotale dominante riteneva d'impersonare), venivano «esclusi» dal canone stesso e cioè «non pubblicati». Da ciò seguiva che tali componimenti al gran pubblico restavano «nascosti», dato che difficilmente poteva esso venirne a conoscenza. Ed è appunto colla voce «nascosti», corrispondente alla voce greca «apocrifi», che tali componimenti vennero in seguito designati; mentre, per analogia con gli usi giudaici anche i cristiani denominarono «apocrifi» gli scritti neo-testamentari, che sono stati dalla Chiesa ufficiale esclusi dal canone.
Moltissimi furono i componimenti «nascosti», e quasi tutti facenti parte di quella letteratura apocalittica, dalla quale doveva nascere più tardi il Cristianesimo. E poiché, in un luogo dove non esistevano biblioteche, difficile era conservare manoscritti vietati dai sacerdoti, tanto più che pochissimi allora leggevano oltre ai sacerdoti stessi, è naturale che la quasi totalità di tali codici sia andata perduta. Solo per caso ci è rimasto qualche «apocrifo»; e da esso possiamo formarci un'idea sommaria del criterio informatore di tale letteratura.
Il più antico tra gli «apocrifi» superstiti è il Libro di Enoc, conservatoci in una tradizione etiopica, perché incluso nel canone della Chiesa copta. [3] Si tratta di diversi scritti apocalittici cuciti insieme (come per tutte pressoché le opere elaborate dalla fantasia popolare), ed esponenti un succedersi di visioni, simili, sotto certi aspetti, alle «visioni» del Medio Evo (delle quali la «Commedia» dantesca resta la più alta espressione). Naturalmente gli angeli e i demoni hanno in quel libro una parte preponderante, mentre protagonista di esso appare Enoc, personaggio biblico, che secondo Genesi [4] a suo tempo era stato chiamato con sé da Dio, senza che si fosse poi saputo nulla circa la sua fine. Un angelo fa da guida ad Enoc attraverso il Paradiso e attraverso l'Inferno, facendogli conoscere le gioie degli eletti e i tormenti dei dannati.
Questo libro è di evidente contenuto zoroastriano. Purtroppo però, l'occupazione della Persia da parte degli arabi prima (a. 651), e da parte dei mongoli dopo (a. 1258), provocando la distruzione del zoroastrismo e della civiltà zoroastriana (perché sempre gli invasori — si chiamino sarmati, arabi o spagnuoli — distruggono le civiltà), provocò la perdita di tutta la letteratura mazdea, ad eccezione di una piccola parte dell'Avesta, che i pochi Parsi rifugiatisi in India poterono salvare. Solo un opuscolo fu possibile rinvenire di contenuto apocalittico. In esso si racconta di un Arda, figlio di Virag, sacerdote di Zoroastro, che si sarebbe addormentato dopo aver preso un soporifero, e, durante il sonno, dal Dio Fuoco (Agni) sarebbe stato guidato attraverso il Paradiso e attraverso l'Inferno, giungendo da ultimo al cospetto di Ahura Mazda. Si tratta verosimilmente di uno dei tanti esemplari di «apocalisse» che correvano per le mani dei fedeli fin dai tempi di Ciro. E non è improbabile che molti di tali opuscoli siano penetrati in Giudea, portativi dagli ebrei rimpatriati, o dai funzionari zoroastriani durante il periodo di dominazione persiana.
Altro componimento giudaico, della stessa natura del libro di Enoc, ma più tardo, è l'Apocalisse di Baruch, conservatoci in una traduzione siriaca. Il libro risale al periodo immediatamente posteriore alla distruzione di Gerusalemme, e risente della tristezza che aveva lasciato quell'evento in tutta Israele. In esso l'autore pone in bocca a Baruch parole di scoraggiamento per le tristi condizioni del popolo giudeo, ed insieme manifestazioni di una lontana speranza di salvezza. Con che è sempre l'idea messianica che caratterizza l'opuscolo.
Di altri componimenti non sono pervenuti a noi che frammenti, raccolti da scrittori cristiani a scopo apologetico, mentre altro «apocrifo» che dobbiamo ricordare, per quanto non appartenente al genere persiano, è il libro denominato «Testamento dei dodici apostoli». [5] In esso si immagina che i dodici figli di Giacobbe, prima di morire, rivolgano discorsi agli eredi e discepoli di ciascuno, esortandoli a fuggire il vizio ed a vivere nella virtù.
Da questi brevi cenni, appare che una corrente di pensiero a sfondo zoroastriano si era andata formando in Palestina, fin dai tempi della cattività babilonese, per influsso dei Magi zoroastriani giunti al seguito di Ciro, e della letteratura persiana. Questa corrente si andò in seguito ampliando — come si manifesta dal moltiplicarsi della letteratura apocalittica — ed ebbe molta influenza nella formazione del pensiero farisaico e zelota, in mezzo al cui elemento il galileismo di Giuda ebbe a formarsi. In questo modo si era venuta preparando una affinità spirituale tra l'idea galilea e l'idea zoroastriana, affine a sua volta all'idea mitraica, per cui, quando più tardi taluni elementi galilei, perseguitati in Palestina dopo la reazione dell'anno 7 E.V. e perseguitati nel mondo romano dopo l'editto di Claudio, ottennero asilo presso le comunità mitraiche della diaspora, doveva riuscire piuttosto agevole la fusione loro colle stesse, e, in conseguenza, agevole doveva riuscire — da tale fusione — la nascita della nuova concezione cristiana.
NOTE
[1] Nei libri biblici si parla talvolta di «angeli», e si parla dei «santi» costituenti il corteggio di Jahvè (Deuteronomio, XXXIII, 3); l'idea però è tutt'altro che chiara, e talvolta la parola «Angelo del Signore» (Giudici, XIII, 3), è adoperata nel senso di «Spirito del Signore» o anche «messaggero del Signore». Comunque, va rilevato che nel concetto giudaico l'angelo è sempre simile all'uomo, ed è sprovvisto di ali, mentre fu del mitraismo e dello zoroastrismo l'idea di dare le ali agli angeli.
[2] Un avanzo di questo antichissimo istituto è il «diritto di censura» di cui usufruisce la Chiesa Cattolica, e il conseguente «Indice» dei libri proibiti.
[3] La Chiesa Cattolica ha mantenuto il concetto della «ispirazione» come criterio generale per accogliere nel canone neo-testamentario i vari componimenti; ma le varie confessioni cristiane non ebbero unicità di vedute circa tale ispirazione.
[4] Genesi, V, 22-24.
[5] Correlativo a questo opuscolo, ed ispirato al medesimo concetto, è quello contenuto nella letteratura apocrifa cristiana e intitolato «Testamentum Domini», pervenutoci in lingua siriaca, e nel quale vengono riportate le istruzioni che Gesù rivolge agli apostoli, comparendo dopo la sua resurrezione.
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