domenica 8 ottobre 2023

Il «Messaggio» e la «Dottrina della salvezza» di Paolo

 (segue da qui)

§ 92) Il «Messaggio» e la «Dottrina della salvezza» di Paolo. — La parola «Vangelo» (euaggelion), d'origine greca, ha per significato «la buona novella», o meglio il «messaggio». È da notare però che primo ad escogitare ed a rendere pubblica questa parola fu l'apostolo Paolo, riferendosi al «messaggio», che a lui sarebbe stato comunicato, durante le sue visioni, dal Gesù. Giacché alla pari dei profeti d'Israele, i quali avevano predicato la propria dottrina, affermandola comunicata ad essi dal Signore durante le loro visioni, anche Paolo ebbe ad affermare che il «messaggio» da lui annunziato (euaggelion) lo aveva egli ricevuto «per rivelazione» di Gesù Cristo (Galati I, 12 e altrove).

Va messo in evidenza adesso che il «messaggio» di Paolo rispondeva appunto al senso di aspettazione del mondo romano, più che del popolo giudeo. Esso indicava ai romani una via d'uscita dallo stato d'ansietà dell'epoca: una «via di salvezza» insomma, dallo stato d'avvilimento, nel quale la dittatura perpetua dei Cesari aveva precipitato il mondo mediterraneo. Giacché è noto che durante i terrori delle dittature, i popoli rifuggono le ansie della strada, per appartarsi in luoghi di preghiera. Senonché la religione dei gentili, dopo che il despota Augusto aveva voluto salire sugli altari per essere adorato quale dio, aveva perduto ogni credito. Doveva conseguire che una predicazione nuova, la quale avesse indicato una «via di salvezza» più accessibile al nuovo pensiero dei popoli oberati, riuscisse accetta non solo alle masse; ma anche ad una parte notevole del gentilesimo colto. Ed appunto come «DOTTRINA di salvezza» aveva impreso Paolo a predicare il suo messaggio, svolgendolo e commentandolo alle genti.

Il vocabolo «vangelo» dunque servì dapprincipio a Paolo per rendere accessibile il suo concetto di «messaggio» e di «commento» al messaggio: più precisamente gli servì per dare una denominazione popolare alla sua «dottrina della salvezza». Esulava infatti dapprincipio, dal «vangelo» di Paolo, ogni narrazione di episodi riguardanti la vita del Gesù. E per altro Paolo, che appunto attese a divulgare il «vangelo», non accennò mai ad episodi della vita del «Maestro», se non, ma molto vagamente, all'episodio della crocefissione (I Corinti, I, 23).

Dopo la morte di Paolo, ed in conseguenza della lunga predicazione di lui, la parola «vangelo» diventò d'uso comune nelle comunità cristiane (ecclesiae), sempre però nel significato di «DOTTRINA» (didakè). E poiché Paolo aveva affermato che il vangelo da lui predicato era stato a lui rivelato direttamente da Gesù, era naturale che la «dottrina della salvezza» di Paolo fosse considerata «dottrina della salvezza» di Gesù, e che la predicazione di Paolo fosse ritenuta, dalla tradizione allora in via di sviluppo, predicazione del Gesù.

Appunto a seguito della predicazione di Paolo, nelle molte ecclesiae dell'Oriente greco, accanto alla raccolta di biografie, narranti le gesta del Maestro, si cominciò a fare raccolte di «vangeli», ossia raccolte di «dottrina pura». Un esempio superstite di questi «vangeli» possiamo leggerlo, ancora adesso, nella Didakè, che è ritenuto il più antico degli opuscoli extra canonici pervenuto a noi. Più tardi però i biografi succedutisi hanno voluto fondere, in un unico opuscolo, la «biografia» del Maestro e la «dottrina» di lui, dando al tutto la denominazione di «vangelo». Da ciò la fortuna che questo vocabolo ebbe poi a conservare.

Senonché il «messaggio» che già il Maestro di Galilea aveva indirizzato al popolo giudaico (quale si ricava dal racconto di Giuseppe Flavio, in relazione con l'esposizione di Matteo), era stato il seguente: «Trasformatevi, perché il Regno del Messia sta per arrivare» (Matteo, IV, 17). Il «Regno del Messia» però, per il Maestro di Galilea, non era altro che il nuovo «Regno di Davide», come preannunziato dai profeti. Quel «messaggio» quindi integrava bensì una «buona novella», ma soltanto per il mondo giudeo. Per Paolo invece il «Regno del Messia» non era già il «Regno di Davide»; ma il «Regno di Dio». Pertanto il «messaggio» di Paolo diventava «buona novella» non soltanto per i giudei; ma per tutto il mondo degli aspettanti.

Dalla disparità genetica però dei «due messaggi», derivava, e doveva derivare, una disparità di dottrina. Giacché, interpretandosi il «messaggio» (come voleva Paolo) quale tendente all'attuazione di un «Regno di Dio», lo stesso appariva di contenuto trascendente. Per contro, il «messaggio» annunziato ai giudei dal Maestro di Galilea, avendo preannunziato la ricostruzione del Regno di Davide, era stato di contenuto immanente. Da ciò la contraddizione, che si nota nei «Vangeli», tra l'immanenza di alcuni concetti, risalenti al Maestro di Galilea, e la trascendenza di altri concetti, risalenti all'insegnamento di Paolo (§ 54).

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