(segue da qui)
CAPO OTTAVO
ULTERIORI ELEMENTI
E FATTORI DEL CRISTIANESIMO
XXXI. — ESCATOLOGIA GIUDAICA E CRISTIANA
§ 103) I primi israeliti non credevano all'immortalità dell'anima. — Principale idea religiosa predicata dal «Maestro» era stata la resurrezione dei corpi, per la necessaria ricompensa ai buoni, e la necessaria punizione ai rei. Una tale idea però ci porta a dover considerare l'aspetto escatologico della religione cristiana. E poiché un tale esame non può esulare dalle convinzioni escatologiche del popolo giudaico, è necessario accennare preliminarmente a quest'altro aspetto del problema. Né sarà inutile fare richiamo addirittura alle idee escatologiche del popolo egiziano, dai cui luoghi gli israeliti di Mosè erano pervenuti.
Nell'epoca più antica del periodo storico, il destino comune a tutto il popolo dopo la morte — secondo la credenza vigente in Egitto — era il nulla. L'uomo, dopo morto, andava nel nulla, o meglio, andava sotto terra, espressione questa che gli Ebrei tradurranno con la parola Sheòl, e che i Latini tradurranno colla parola inferum. A tale destino in Egitto sfuggiva solo il Faraone, il quale, essendo ritenuto, in base al primordiale concetto di «unto», una diretta filiazione di «Rîe» — il dio ipostatizzato — usufruiva dell'immortalità riservata agli Dei, e pertanto, dopo morto, veniva assunto in Cielo.
Successivamente, in conformità collo sviluppo ulteriore dell'idea religiosa, essendo sopravvenuto il concetto di un dio redentore, anche in Egitto sorsero le scuole o comunità misteriosofiche. I «Misteri» di Osiride infatti — figlio di Rîe ed uno dei più noti redentori dell'umanità — vennero ad aumentare il numero dei privilegiati, aspiranti ad una vita post mortem.
Al proposito si immaginò (almeno così ritennero i non iniziati) che alle soglie dell'inferum stesse Osiride in persona, il quale — per grazia speciale concessagli dal Dio Padre, stante il suo sacrificio redentore — avrebbe potuto permettere o rifiutare al defunto il passaggio verso la residenza celeste, a seconda che, colle sue risposte egli avesse dato prova di essere stato, o di non essere stato, un fervente iniziato nei misteri del Dio. [1] Sorsero così i «Misteri» di Osiride, sorta di associazioni segrete, nelle quali, spiegando i sacerdoti agli «iniziati» i miti del Dio, e celebrandone i riti, insegnavano loro la teologia del Dio stesso, e le formule che avrebbero dovuto essi tener presenti al momento della comparizione davanti a lui, per uscire vittoriosi dalla prova suprema.
La parte maggiore però della popolazione egiziana, anzi la stragrande maggioranza, essendo esclusa dai riti misteriosofici, era esclusa anche dalla prova suprema, e per essa dopo la morte esisteva solo il nulla, come per qualsiasi altro vivente di specie inferiore. Per essere più precisi diremo che per i «non-iniziati» esisteva l'inferum, concetto conseguente al rito d'inumazione. [2] A quest'ultima parte della popolazione avendo appartenuto la colonia israelitica primigenia, è naturale che nessuna traccia di anima immortale si riscontri nella concezione mosaica più antica. Ciò è confermato dallo stesso Giuseppe Flavio, il quale, enunciando la dottrina professata dai pontefici sadducei (Antichità, XVIII, II, 2), e che implicava l'interpretazione autentica della «Legge», così scrive: «La scuola dei sadducei ritiene che le anime, al morire dei corpi, muoiano anch'esse» (difatti, com'è noto, solo dopo il 70 E.V. la concezione farisea dell'anima immortale prevalse, e la concezione sadducea fu considerata eretica).
NOTE
[1] Sull'argomento cfr. Pettazzoni, Confessione dei peccati, Bologna, 1929, c. VII e la bibliografia ivi citata.
[2] L'incinerazione è stata più in uso presso i popoli a civiltà naturista, come i primi vedici, che meno avevano risentito dei terrori diluviali. Essa peraltro rappresentava un mezzo di purificazione più spiccio a salvaguardia dei vivi, affrettando il processo di decomposizione del morto, il cui corpo, originatosi dalla terra, ritornava alla terra («pulvis es, et in pulverem reverteris»).
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