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§ 85) Dal galileismo di Giacomo al cristianesimo di Paolo. — Se di poca entità può considerarsi il passaggio dallo zelotismo di Mattatia al galileismo di Giuda, stante l'affinità delle due concezioni, non così può dirsi per il passaggio dal Galileismo di Giacomo al Cristianesimo di Paolo, implicando questo una radicale trasformazione del concetto originario. Ed infatti, la «scuola» galilea di Palestina aveva seguito, dopo la morte del «Maestro», le sorti della più vasta comunità zelota, colla quale era stata spesso confusa, coltivando cioè, quasi esclusivamente, la parte «attuale» della dottrina messianica di Giuda. Non così fecero le piccole comunità galilee, stabilitesi nei territori della diaspora greca dopo la reazione seguita alla morte del Maestro. Nelle comunità della diaspora la coltivazione e l'elaborazione dell'idea primigenia era stata proseguita principalmente nella sua parte «trascendente». E proprio coltivando l'idealismo del Maestro, e trascurandosene l'attualismo, fu possibile, nei territori della diaspora, pervenire alfine ad un «Messianismo» (Kristianismòs), del tutto diverso dal «Messianismo» di Giudea.
Giacché proprio sul «tronco» ideale della dottrina predicata dal Maestro volle costruire Paolo, dopo la sua scissione dalla comunità di Giacomo (Galati II, 11-12); e su quel «tronco» volle innestare la propria «dottrina della salvezza». Ed affinché i «galilei idealisti» di Paolo (per i quali l'evento messianico vaticinato aveva avuto luogo) potessero distinguersi dai «galilei attualisti» di Giacomo (che attendevano ancora una seconda parusia), in Antiochia vollero quei mistici chiamarsi «Messianici» (in greco Kristiànoi), cessando da quell'epoca di chiamarsi «Galilei». Aveva così origine, proprio in Antiochia (a. 47 E.V.), il «Messianismo di Paolo».
Il «Cristianesimo» dunque, quale noi oggi lo conosciamo, nacque in Antiochia, e si sviluppò nei territori della diaspora greca, dal ramo idealista della predicazione di Giuda Galileo, e per l'innesto, operato su quel ramo, della «dottrina della salvezza» predicata da Paolo. Non nacque il Cristianesimo dal Galileismo palestinese (attualismo delle opere), che rimase invece sterile, e, colla caduta di Gerusalemme, terminò di esistere; ma nacque dal Galileismo profugo (idealismo della fede), rassodatosi e trasformatosi nell'Oriente greco. [1]
E che il cristianesimo sia nato non già in Giudea, ma nell'Oriente greco, subendo pertanto tutti gli influssi greci, è comprovato sia dal più recente canone evangelico, che fin dall'origine fu scritto esclusivamente in greco, sia dal più antico canone biblico, che per i cristiani fu il canone greco. Al quale proposito va ricordato che ai tempi di Filone Alessandrino (30 av. E.V. — 45 E.V.) erano due i canoni biblici in uso presso gli ebrei, e precisamente il canone ebraico vero e proprio o canone chiuso, ufficiale del sacerdozio gerosolimitano e scritto in lingua ebraica, ed il canone cosiddetto alessandrino o canone aperto, scritto in lingua greca, e adottato ufficialmente dai giudei della diaspora.
Per altro è risaputo che, successivamente ad Esdra, si era andata radicando nel sacerdozio gerosilimitano la convinzione che essendo ormai venuto meno negli uomini il carisma profetico, nessun altro libro potesse annoverarsi tra gli ispirati ed accettarsi nel canone. In conseguenza il canone stesso doveva rimaner chiuso. Tutti i libri quindi, del genere biblico, pubblicati successivamente, anche se scritti in ebraico come l'Ecclesiastico, dovevano escludersi dal canone, che pertanto restò fissato, in Giudea, nei 24 libri seguenti: Thorah cinque (Genesi, Esodo, Numeri, Levitico, Deuteronomio); Profeti otto (Giosuè, Giudici, Samuele, Re, Isaia, Ezechiele, Geremia, e i dodici minori); e Scritti vari undici (Salmi, Giobbe, Proverbi, Cantico dei Cantici, Ruth, Lamentazioni, Ecclesiaste, Ester, Daniele, Esdra-Neemia, Cronache). Presso gli Ebrei della diaspora invece i suddetti criteri restrittivi non erano stati seguiti. In conseguenza gli ebrei della diaspora, il cui centro maggiore di irradiazione era allora Alessandria, continuarono ad accogliere nel loro canone (che dopo la versione dei Settanta si era mantenuto in lingua greca) molti libri posteriori, e, quello che più conta, anche alcuni libri pensati e scritti fin dall'origine in lingua greca, come la Sapienza. Infatti il canone Alessandrino, oltre ai 24 libri del canone ebraico sopra citati, ritenne ispirati ed accolse anche i seguenti altri libri posteriori: quattro libri narrativi (Tobia, Giuditta, e due Maccabei); due didattici (Sapienza detta di Salomone e Sapienza detta di Gesù di Sirah o Ecclesiastico); e due profetici (Baruch e Lettere di Geremia). Ora, la Chiesa Cristiana ha sempre riconosciuto come proprio, fin dal suo nascere, il canone alessandrino, e, seguendo l'uso ormai instaurato da quel canone, continuò ad usare esclusivamente la lingua greca quale lingua biblica ufficiale. Nessuna prova migliore dunque, per argomentare che il cristianesimo è una creazione della diaspora greca e non del galileismo palestinese.
A questo punto è opportuno analizzare il lungo processo trasformativo, per cui dal Galileismo di Giacomo, attraverso lo zelotismo profugo, si addivenne al Cristianesimo di Paolo.
NOTE
[1] Furono maggiormente gli Zeloti profughi: i seguaci cioè della corrente politica lasciata dal Maestro, che fuggendo alle reazioni periodiche di Palestina hanno affollato le comunità galilee della diaspora, permettendo alle stesse di acquistare, specie dopo la distruzione di Gerusalemme, una certa preponderanza in mezzo al vecchio elemento giudeo, e ad assurgere più tardi a comunità autonome.
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