lunedì 17 luglio 2023

La cronologia di Dionigi

 (segue da qui)

IV. — LA QUESTIONE DELLA CRONOLOGIA

§ 9) La cronologia di Dionigi.La tradizione scritta non solo raccolse e tramandò inesatto il nome, ma raccolse e tramandò inesatta anche la cronologia del Redentore Cristiano. Né sarebbe stato possibile individuare nel personaggio tramandato dalla tradizione con riferimento ad una data epoca, il personaggio che le fonti storiche avevano pure registrato, ma con riferimento ad un'epoca diversa. Perché se la cronologia pervenutaci a mezzo della tradizione era — come abbiamo rilevato in base ad Heineccius — falsa e suppositizia, era naturale che qualunque ricerca condotta nei limiti di quella cronologia portasse a risultati falsi e suppositizii.

Ed invero, la cronologia attuale fu calcolata da Dionigi il Piccolo verso l'anno 1285 di Roma, corrispondente al 532 dell'attuale Era Volgare. Al quale proposito è noto che Dionigi, nativo della Scizia, ma vissuto a Roma, e già compagno di studi di Cassiodoro, volendo introdurre in Occidente la tavola dei cicli pasquali di Cirillo d'Alessandria, il quale li aveva calcolati dall'anno 203 di Diocleziano (487 E. V.) al 247 (531 E. V.), iniziò e portò a termine una tavola propria, per proseguire appunto tali cicli pasquali oltre l'epoca cui era giunto Cirillo. Ma Cirillo aveva calcolato i suoi cicli, come detto, dall'impero di Diocleziano («Era di Diocleziano», che i cristiani chiamavano invece «Era die Martiri», e che è tuttora usata nel calendario copto); Dionigi invece, non volendo che nei cieli pasquali ricorresse la memoria di Diocleziano (memoriam impii et persecutoris), in onore di Cristo, volle per primo applicare a tali cicli la cronologia cristiana.

A questo punto è necessario che il lettore, per poter dare ai fatti ed alle persone il loro giusto valore, si trasferisca col pensiero nell'epoca e nell'ambiente nel quale i fatti stessi ebbero a verificarsi. Giacché, essendo i fatti  non altro che pensiero pensato ed attuato, per conoscerne la natura, occorre conoscere il pensiero pensante, che a tali fatti ebbe a dare attuazione.

Dionigi si proponeva di essere, e fu di fatto, il continuatore di Cirillo. Ma Cirillo, patriarca di Alessandria dal 412 al 444 E. V., era stato uno di quegli uomini, che non esitano di fronte a nessun mezzo, pur di conseguire il fine. Egli infatti, per far prevalere, in Alessandria, il potere sacerdotale da lui rappresentato, sul potere laico rappresentato dal prefetto Oreste, non aveva esitato ad aizzare le masse dei suoi fanatici contro la dottoressa Ipazia, la più celebre matematica dell'epoca, la quale si era pronunziata per la preminenza del potere laico. Né ignora alcuno come la povera Ipazia sia stata trascinata, dai fanatici di Cirillo, in una chiesa, ed ivi sbranata, venendone poi i tronchi bruciati nella chiesa stessa. Ancora è noto che essendo stato a quell'epoca indetto un concilio, per discutere la tesi religiosa del vescovo Nestorio, rivale di Cirillo, quest'ultimo fece accorrere alla sede del concilio i propri aderenti, chiudendo poi le porte, e dando inizio alla disputa, senza più lasciare entrare i vescovi della Siria, seguaci di Nestorio, ch'erano molto numerosi. 

Infatti Cirillo visse durante quella fase dell'opinione nuova, nella quale — ottenutosi il trionfo dell'idea — subentra la lotta di preminenza tra gli uomini: lotta che viene condotta senza esclusione di colpi. Giacché la stessa violenza usata da Cirillo nella lotta contro Nestorio, la usò poco dopo Cirillo stesso per far condannare Dioscoro, succeduto a Nestorio nella gara per il patriarcato dell'Oriente. Del resto è noto che i gerarchi di una «opinione», in tutte le estrinsecazioni del proprio pensiero, non cercano la «verità obbiettiva» (episteme), bensì il trionfo della «propria verità» (doxa). Da ciò la spietata lotta di uomini che caratterizza la fase di assestamento di ogni «opinione» nuova. [1

Analoga alla forma mentale di Cirillo — anche se più limitata — era la forma mentale di Dionigi. Ed era naturale che costui, nell'applicare ai propri calcoli la cronologia cristiana, non si proponesse di compiere un accertamento scientifico; ma solo di compiere un atto apologetico.

Dobbiamo adesso ricordare che nei primi secoli del cristianesimo non esisteva nell'Impero romano una cronologia unica; ma venivato usate diverse cronologie. Così, oltre alla cronologia detta «varroniana», partente dalla fondazione di Roma, ma usata quasi esclusivamente a scopi letterari, prevaleva nell'Oriente la cronologia seleucida, partente dal 441 di Roma (312 av. E. V.), mentre in Occidente prevaleva la cronologia hispanica, partente dal 716 di Roma (39 av. E. V.). In Roma invece prevaleva l'era di Azio (31 av. E. V.), ed altre cronologie di minor conto.

Fino all'anno 1037 di Roma (284 E. V.) i cristiani — ancora in prevalenza ebrei — avevano adoperato la cronologia seleucida, usata appunto dagli ebrei. Dal 1037, essendosi iniziata l'era di Diocleziano, imposta a tutto l'impero, i cristiani l'avevano adottata. Essi però l'avevano poco dopo chiamata «era dei màrtiri cristiani», con allusione alle persecuzioni ordinate da Diocleziano stesso. E con tale rettifica avevano ottenuto una propria cronologia, che ancora oggi i cristiani copti conservano ed usano. Di un'era decorrente dalla nascita di Cristo non si era mai sentito il bisogno, nè mai si era parlato.

Peraltro, la data di nascita del Cristo era rimasta sempre oscura nei primi secoli. Giacchè, secondo le molteplici correnti della tradizione, erano state varie le «date» presuntive di tale nascita ricavate tutte da «profezie»: da quella più remota ricavabile dalla profezia di Genesi (XLIX, 10), e richiamante la data di rassodamento sul trono di Giudea da parte di Erode (a. 725 circa di Roma — 28 av. E. V.), a quella più recente ricavabile dalla profezia di Michea (V, 1), e contrassegnante la data del censimento di Quirino (a. 759 di Roma, 6 E. V.). Ora, una data di nascita che si segna indifferentemente tanto all'anno 725 di Roma, quanto all'anno 759 di Roma, entro un lasso di tempo cioè di 34 anni, non possiede alcuna parvenza di serietà. Ed appunto senza serietà Dionigi fissò all'anno 753 di Roma tale data. Pertanto con ragione Heineccius scrisse di essa (op. cit., 5): «Nemo non videt illa falsa ac suppositicia esse»

Comunque, nessun contemporaneo di Dionigi, e nessuno in seguito, per circa quattro secoli dopo Dionigi, considerò cosa seria la cronologia di quello. Giacchè mentre la Corte Carolingia l'ignorò fino all'anno 876, la Corte Pontificia l'ignorò fio al 968. La cronologia di Dionigi infatti si affermò soltanto verso l'anno mille, quasi si volesse allora ingraziarsi la divinità, in attesa della fine del mondo preannunziata dall'Apocalisse di Giovanni (XX, 5). Ed è naturale che in tanto triste epoca, mentre torme di flagellanti si aggiravano salmodiando, in una immensa e degradante miseria morale, nessuno si preoccupasse di indagare se quella nuova cronologia potesse considerarsi storicamente esatta.

Più tardi, coll'avvento dell'Umanesimo in Italia e della Riforma in Germania, il risveglio spirituale sopravvenuto affrontò il problema cronologico, e, fra i più attivi studiosi, fu — come detto — il teologo e giurista Heineccius. Senonché la Chiesa — che aveva ormai fatta propria, sia pure dopo mille anni dall'evento, la cronologia di Dionigi — ritenne che ormai uno studio critico in argomento, anche se condotto con scopi esclusivamente scientifici, potesse condurre a «deviazioni» dannose per il suo prestigio. Pertanto, mentre da una parte scoraggiò qualsiasi esegesi biblica indipendente (ragion per cui l'esempio di Heineccius rimase isolato), dall'altra parte, desiderando che nulla fosse rimosso dal proprio edificio, e che la cronologia di Dionigi fosse confermata, cercò e fece ricercare nelle fonti bibliche altri dati, a conferma di quella cronologia. Ed appunto tali dati confermatori si dissero poi «rinvenuti» nella famosa profezia di Daniele. 

NOTE

[1] Le «guerre civili» e gli «odi di parte» nei primi secoli cristiani. — Per comodità del lettore riportiamo qui un passo delle Storie di Ammiano Marcellino (l. XXVII, 3): «Damaso ed Ursino, ambedue desiderando smodatamente di occupare la sede del vescovado di Roma, aspramente se la contendevano, ed i fautori di ciascuno erano già venuti alla guerra, per cui c'erano stati morti e feriti. Il pretore Juvenzio, non avendo forze sufficienti nè per impedire nè per frenare tali guerre civili, fu costretto, per non essere sopraffatto, di ritirarsi nei sobborghi della città. La guerra civile pertanto tra i fautori di Damaso e i fautori di Ursino proseguì, ed in essa rimase da ultimo vincitrice la fazione del vescovo Damaso, per il maggior fanatismo professato dai propri partigiani. E consta che nella sola Basilica di Sicinio (oggi S. Maria Maggiore), dove i cristiani usano riunirsi per esercitare il proprio culto, si contarono in un solo giorno 37 cadaveri. E non fu poca fatica poi, per il pretore Juvenzio, il dovere ammansire tutta la plebe inferocita, che aveva parteggiato per l'uno o per l'altro. Né io nego — commenta a chiusura del passo lo storico Marcellino — che, in virtù dei considerevoli vantaggi che offre l'Urbe, coloro che sentano desiderio di conquistarne il Vescovado, non debbano sforzarsi per conseguirlo. Giacché quando l'abbiano conseguito essi sono sicuri di arricchire in breve tempo, per le molte elargizioni delle matrone, ed andranno per la città in cocchi superbi, splendidamente vestiti, attendendo a mangiare così riccamente, che i banchetti dei re non possono competere con le loro mense. Tuttavia tali uomini sarebbero più felici qualora, disprezzando le ricchezze della città, colle quali essi riescono a nascondere i propri difetti, imitassero alcuni vescovi delle campagne, i quali sono ben raccomandati a Dio ed ai sinceri suoi coltivatori come puri e verecondi, dalla grande parsimonia che osservano nel mangiare e nel bere».

Nessun commento al testo di Marcellino. Giacché il lettore può immaginare da solo il numero dei cadaveri accertatosi in tutte le basiliche di Roma, se in una sola di esse tali cadaveri erano stati 37. Rileviamo soltanto che anche la mistica cristiana — come tutte le mistiche in genere, le quali alla loro base hanno l'ideologia pauperista — sorse quale democrazia (perché la «guerra dei partiti», cui Marcellino allude, era sostanzialmente una battaglia elettorale), per trasformarsi poi lentamente in autocrazia.  

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