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§ 3) Impostazione del quesito. — Il Couchoud, argomentatore sottile, escluse la storicità del Cristo, in base a considerazioni la cui sintesi così potrebbe prospettarsi: «Un personaggio, quale la tradizione afferma essere stato Gesù, non poteva essere vissuto in una capitale come Gerusalemme, senza aver lasciato forti tracce di sé, e senza quindi che gli storici dell'epoca ne avessero parlato. Sta di fatto però che nessuno di tali storici — e nemmeno Giuseppe Flavio, che delle cose di Palestina era stato minuto espositore — ne aveva fatto menzione. E se nessuno degli storici ne aveva parlato; se nemmeno Giuseppe Flavio, che tuttavia aveva registrato, nella sua storia monumentale, i nomi di tutti i Messia e falsi Messia d'Israele, aveva fatto cenno ad un Messia-Gesù, doveva senz'altro escludersi che Gesù fosse vissuto».
Un simile ragionamento appariva formalmente impeccabile. Giacché i Vangeli presentano la figura di un uomo attivo e combattivo, il quale per giunta (e proprio questo interessa la storiografia), aveva avuto grande seguito. Di un simile uomo — se esistito — non potevano gli storici dell'epoca non parlare. Gli storici però — rilevava Couchoud — non ne avevano parlato; dunque il personaggio non era esistito. Senonché tale ragionamento — anche se logico — non potrà persuaderci: troppo univoci, precisi e circostanziati essendo i dati forniti dalla tradizione. Ma se il ragionamento del Couchoud è logico, e se tuttavia noi non ci sentiamo di accettarne le conclusioni, come spiegare la pretesa «lacuna» riscontrata negli storici, e specialmente in Giuseppe Flavio?
A chi abbia letto Antichità Giudaiche, e, meglio ancora, La Guerra Giudaica, è nota la minuziosità di Giuseppe relativamente ai fatti accaduti in Giudea. Specialmente la precisione di Giuseppe si rivela nella presentazione dei moti messianici ricorrenti, che ebbero inizio dopo la morte di Erode, rinnovandosi periodicamente fino alla distruzione di Gerusalemme. È risaputo infatti che la guerra detta «Giudaica», intrapresa dagli Ebrei per liberarsi dalla tutela di Roma, e terminata colla distruzione della Città Santa, fu appunto una guerra messianica. Ma proprio durante il periodo messianico (e chiariremo appresso come e perché la voce ebraica «messianico» equivalga alla voce greca «cristiano») ebbe luogo la predicazione del Gesù, ed insieme il moto, rivelatosi sotto il suo nome. Perché mai dunque di tale «predicazione», e conseguente «movimento», Giuseppe Flavio avrebbe taciuto?
Una lunga meditazione su questa domanda ha indotto chi scrive a riproporsi per proprio conto, e sotto forma diversa, il quesito già da Couchoud superficialmente affrontato e negativamente risolto. Ed ecco i nuovi interrogativi: Deve proprio darsi per ammesso che Giuseppe Flavio non abbia parlato del Gesù e del suo movimento? O non piuttosto deve presumersi che Giuseppe ne abbia regolarmente parlato, ma avendo contrassegnato il personaggio con un nome e con dati anagrafici diversi dal nome e dai dati anagrafici coi quali il personaggio medesimo è stato tramandato nella tradizione pervenutaci, ne avesse reso impossibile l'identificazione dagli studiosi posteriori?
Se Giuseppe ha registrato nelle sue Storie — come deve presumersi — tutti i movimenti messianici e tutti i «messia» di Giudea, deve aver registrato anche il movimento facente capo al «Messia» Gesù. Ma Giuseppe, parlando del movimento facente capo al «Salvatore» cristiano, doveva aver registrato quest'ultimo col suo nome natale, non già cogli attributi coi quali lo avevano tramandato i suoi fedeli (perché proprio attributi debbono ritenersi le voci «Gesù» e «Cristo»). Inoltre Giuseppe doveva aver registrato le gesta del personaggio, con riferimento alla sua vera cronologia; mentre la cronologia ricavabile dai vangeli era da ritenere «falsa e suppositizia» (come scrisse Heineccius). Ciò stante, come sarebbe stato possibile, specie ad un esame superficiale, rilevare l'identità tra il personaggio umano registrato da Giuseppe Flavio, ed il personaggio trascendente descritto nei vangeli?
Affrettata quindi doveva ritenersi la conclusione cui era pervenuto Couchoud. Studi più profondi, e ricerche più vaste erano invece necessarie, sia per accertare il vero nome, sia per accertare la vera cronologia del «Maestro». Giacché solo dopo tali accertamenti, e qualora la forza d'intuizione avesse soccorso, sarebbe stato possibile chiarire quello che Couchoud aveva chiamato «il mistero di Gesù».
Per altro, le gesta dei fondatori di religione erano state sempre tramandate con riferimento ad attributi divini: attributi ch'erano bensì inerenti alla veste messianica, riconosciuta a quelli dai fedeli rispettivi, ma erano cosa diversa dai nomi natali di ciascuno. E poiché gli attributi divini erano diventati talvolta assorbenti dei nomi natali, avevano finito col far dimenticare i nomi stessi. Difatti, chi tra le masse zoroastriane conosce oggi Spitama? Chi tra i taoisti conosce Li-Erl? Chi tra i mussulmani conosce Ab'ul Quasem? Nessuno forse. Perché le masse dei fedeli adorano lo Splendente, ossia Zarathustra; celebrano il Vecchio Maestro, ossia Lao-Tze; venerano il Lodato, ossia Maometto. E non poteva essersi verificato lo stesso fenomeno anche nei riguardi del Messia-Gesù, registrato dalla tradizione evangelica con tali due attributi, ch'erano cosa del tutto diversa dal nome profano, sotto il quale lo aveva invece registrato Giuseppe Flavio? Appariva manifesto dunque che il problema cristologico, per poter essere risolto, andava affrontato sotto due distinti aspetti: quale problema del «nome» cioè, e quale problema della «cronologia».
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