mercoledì 31 maggio 2023

Origini Sociali del CristianesimoLa gnosi dei letterati

 (segue da qui)


La gnosi dei letterati.

Se la massa dei credenti si accomodava benissimo a questo cristianesimo ufficiale, restato così vicino al vecchio giudaismo e, come esso, così distante dalle elevate speculazioni, gli spiriti colti avevano grande difficoltà ad adattarvisi o almeno ad accontentarsene. Ripugnava loro accettare un Dio talmente simile agli uomini da sembrare modellato a loro immagine e somiglianza, uno Spirito creatore racchiuso in una delle sue creature al punto da diventare un tutt'uno con essa, un uomo di Galilea, un crocifisso assiso in carne e ossa alla destra dell'Altissimo, un bagno rituale capace di assicurare di per sé un diritto alla vita eterna, la resurrezione della carne eretta a dogma allo stesso titolo dell'immortalità dell'anima. 

Quella ripugnanza era tanto più vivamente sentita quanto più i seguaci della gnosi si sforzavano di mantenerla e di accrescerla. Questi cristiani di una cultura più raffinata appartenevano per definizione alle classi agiate, le uniche che ebbero normalmente il mezzo per darsi una istruzione solida. Potevano quindi viaggiare per diffondere le loro dottrine e confrontarle con le altre. Vantandosi di possedere un «sapere» superiore a quello della gente comune, dovevano fornirne la prova ed estenderne ad altri il prezioso beneficio. Roma esercitava su di loro un'attrazione eccezionale. Era il centro dell'Impero, il punto d'incontro dei popoli più diversi, il Tribunale supremo dove le dottrine nuove ricevevano la loro consacrazione ufficiale e da cui partivano le grandi direttive. 

Tutti i grandi capiscuola vi si recavano di volta in volta, o ebbero cura di inviarne rappresentanti qualificati. Cerdone e Marcione avevano dato l'esempio. All'inizio, è vero, entrambi si limitarono a fare la critica del giudaismo. Risparmiavano il credo comune. Ma dopo che le loro teorie anti-giudaiche li ebbero fatti escludere dalla Chiesa, l'obbligo che avevano di organizzare il loro proprio gruppo li costrinse a esprimere più liberamente le proprie opinioni. A partire da quel momento, si confusero più o meno con i professionisti della gnosi. È in loro compagnia che ci sono presentati da tutti coloro, tra gli ortodossi, che cercano di combatterli. Ma le loro dottrine trovarono a Roma molti echi. Un discepolo di Marcione, Apelle, le mise in forma logica in una grande opera intitolata Sillogismi. Fece di meglio, perché le presentò in un libro di Rivelazioni come oracoli divini che erano stati rivelati a una donna della setta chiamata Filomena. Più tardi, divenuto vecchio, li difese persino in mezzo alla città, nel corso di una conferenza pubblica e contraddittoria contro un certo Rodone, che pubblicò un racconto di quella disputa teologica, attribuendosi, come è ovvio, il ruolo migliore. [16]

Malgrado tutto, la gnosi di Marcione fu molto meno pronunciata di quella dei maestri egiziani. Costoro godevano di maggiore fama rispetto ai siriani o agli asiatici. Il loro paese intratteneva relazioni particolarmente strette con il Centro dell'Impero. Alessandria era come il grande emporio di Roma. Lo gnosticismo vi fu sempre più vivo e più attivo che in qualsiasi altro luogo della cristianità. È soprattutto da lì che si riversò nella capitale. 

Già le idee di Basilide dovettero avere una diffusione abbastanza larga nella Comunità romana, poiché sappiamo che penetrarono fin nelle valli del Rodano e della Garonna e attraverso la Spagna. [17] Siamo meglio informati su quelle di Carpocrate. Uno dei suoi seguaci, una certa Marcellina, venne, ci viene detto, sotto Aniceto (155-166) a Roma, e vi «causò la perdita di molti». [18] Ciò vuol dire, per lo storico, che condusse una propaganda attiva e che vi ottenne grande successo.  

Ma fu soprattutto Valentino che si fece l'ardente promotore dello gnosticismo. Venuto a Roma sotto Igino (138), vi fiorì sotto Pio (140-154) e vi rimase fin sotto Aniceto. Ciò rappresenta circa un quarto di secolo, dal 135 al 160. [19] Non sembra aver incontrato dapprima alcuna opposizione, sia perché non c'era all'inizio una ortodossia rigida, sia perché la sua dottrina non era allora così marcata come lo fu in seguito. Secondo la testimonianza di Tertulliano, aveva persino incontrato abbastanza credito da sperare nell'episcopato, «perché aveva molto talento ed eloquenza». È dopo essersi visto preferire un rivale, un martire, che avrebbe rotto con la Chiesa. [20] Spiegazione di un polemista abituato a denigrare gli avversari e ad attribuire loro i motivi più vili. Ricordiamo solo l'omaggio al suo talento, al prestigio delle sue parole, alla sua popolarità nella Chiesa. Un indizio curioso della sua influenza intellettuale ci è fornito dal Pastore di Erma. Si sa che il libro è diviso in cinque visioni, dieci precetti, dodici parabole o «similitudini». Se si esamina un po' da vicino la prima parte, si constata che contiene in realtà otto visioni femminili. [21] Così quella rivelazione divina contiene un'ogdoade, una decade, una dodecade, come quella del Pleroma di Valentino. È difficile vedervi solo una coincidenza fortuita; tutto si spiega benissimo se ammettiamo che Erma, che non ha potuto mancare di incontrare spesso il grande maestro della gnosi, sia stato sedotto dal suo simbolismo dei numeri. Si spiegano allora alcuni dettagli della sua opera. La «Chiesa» che gli appare sotto i tratti di una donna anziana, perché lei «è stata creata prima di tutte le cose e tutto è stato fatto per lei», rassomiglia singolarmente all'Eone dallo stesso nome, che nella teologia valentiniana rappresenta l'ultimo termine dell'ogdoade. [22] La visione stessa del «Pastore» che si legge più oltre e dalla quale dipendono le due parti successive aveva il suo modello in Valentino. Costui rivendicava l'apparizione di un bambino molto piccolo, che non era ancora abbastanza grande per parlare, e che, interrogato da lui, aveva risposto di essere il Logos. Su questa trama iniziale era ricamato un lungo racconto che esponeva i principi della gnosi. [23]

Ancora più vicine alla teologia valentiniana sono le astrazioni personificate che abbondano attraverso il secondo e il terzo libro del Pastore. Prendiamo, ad esempio, le dodici vergini la cui compagnia ha talmente deliziato il cuore di Erma. Esse si chiamano: Fede, Temperanza, Forza, Pazienza, Semplicità, Innocenza, Purezza, Allegria, Sincerità, Intelligenza, Concordia, Carità. Alcune si ritrovano tra gli Eoni femminili della dodecade; le altre sono loro visibilmente legate. I rapporti fraterni che Erma intrattiene con le sue amabili compagne sono ben nello spirito delle unioni mistiche concluse tra «fratello» e «sorella» in seno alla comunità valentiniana.

Un ultimo tratto è particolarmente significativo. Erma, che visse in un ambiente molto giudaizzante, tutto nutrito dall'Antico Testamento, non dice una parola sugli israeliti, né su Mosè stesso. Non cita un solo passo della Bibbia, non vi fa nemmeno la minima allusione. Un tale silenzio testimonia evidentemente un pregiudizio. Esso si spiega benissimo con la severa critica al giudaismo e alle sue Scritture che era prevalente nella scuola di Valentino come in quella di Marcione.

Queste concordanze non sono le sole che si potrebbero rilevare attraverso l'opera di Erma. Sono sufficienti a mostrare quanto ha subìto il fascino del maestro alessandrino. In che modo una mente del calibro di Valentino ha potuto esercitare una tale attrazione su un cervello così poco speculativo come quello di Erma? Come ha potuto ammaliare una comunità così resistente alle sue idee come quella di Roma, al punto da nutrire la speranza di vedersene affidata la direzione? Perché non solo aveva un grande «talento» e una grande «eloquenza», ma eccelleva anche nell'adattarsi agli ambienti più diversi, e nel prenderli così com'erano per renderli come lui voleva. Formati alla sua scuola, i suoi discepoli si comportavano allo stesso modo. «Quando i Valentiniani», dice Ireneo, «incontrano il popolo della grande Chiesa, lo attraggono parlando come noi parliamo; si lamentano del fatto che li trattiamo da scomunicati mentre da una parte e dall'altra, dicono, le dottrine sono le stesse; poi turbano a poco a poco la fede con le loro domande; di quelli che non resistono fanno i loro discepoli; li prendono da parte per esporre loro il mistero inenarrabile del loro Pleroma». [24]


NOTE DEL CAPITOLO 10

[16] Queste informazioni, per le quali il manoscritto non dà alcun riferimento, vengono da Tertulliano e da Eusebio. Una nota tratta da un foglio isolato, che figura nel fascicolo «Origini romane», è intitolata «Sopravvivenza del marcionismo» e concepita così: «Dapprima in Occidente, vigorosamente combattuta (si tratta della sopravvivenza) da Giustino, Ireneo, Tertulliano, Ippolito; poi più a lungo in Oriente: si sono trovati a cinque chilometri a sud di Damasco resti di una chiesa di marcioniti, con l'iscrizione sulla facciata: ΣΥΝΑΓΩΓΗ ΜΑΡΚΙΩΝΙΣΤΩΝ risalente all'anno 630 dei Seleucidi, il 318 della nostra era. A Cipro, la città di Salamina, secondo San Giovanni Crisostomo, era letteralmente invasa dai Marcioniti — soprattutto in paese siriaco: Sant'Efrem, Teodoreto, Eznik — ancora nel Khorassan nel X° secolo, secondo An Nadim. In Occidente, esso si è sfumato davanti al Manicheismo e si è fuso con esso».

[17] GIROLAMO, Ep. 75. In Isaia 44:4-5.

[18] IRENEO, 1:25-6.

[19] Id. in 3:4-3.

[20] TERTULLIANO, Adv. Valent., 4.

[21] ERMA, Visione 1:4; 1:2-2; 2:1-3; 2:4-2; 3:1-2; 3:1-6; 3:10-6; 

[22] ERMA, Visione 2:4-1. Si veda più sopra, Origini egiziane, pag. 208.

[23] IPPOLITO, Philosophoumena 6:43. 

[24] IRENEO, 3:15, 2.

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