venerdì 26 maggio 2023

Origini Sociali del CristianesimoIl correttore anonimo: Clemente di Roma

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Il correttore anonimo: Clemente di Roma.

Secondo la testimonianza di Origene, una tradizione già antica ai suoi tempi attribuiva l'Epistola agli Ebrei a Clemente di Roma. Eusebio di Cesarea, che riporta quell'opinione, si mostra disposto ad adottarla. Egli si basa sulle rassomiglianze che questo testo presenta con quello della Lettera ai Corinzi: «Da una parte», scrive, «l'Epistola di Clemente e l'Epistola agli Ebrei conservano lo stesso stile. D'altra parte, i pensieri, nei due scritti, hanno una parentela che non è lontana». [82]

Il parallelo sarebbe impreciso se si volesse applicarlo a tutto il nostro testo. È di una precisione notevole se lo si limita alle parti che provengono dal secondo scrittore. Queste sono ben nello stile di Clemente. Stesso stile di omelia, morbido e prolisso, pieno di epiteti e di superlativi, dove le reminiscenze bibliche si intrecciano. Stessi richiami alla storia sacra, [83] dove sfilano i grandi protagonisti: Abele, Enoc e Noè, Abramo, Isacco e Giacobbe, Giuseppe, Mosè, «servo fedele in tutta la casa di Dio», Gesù figlio di Nun, o Giosuè, con la sua aiutante occasionale, la cortigiana Raab, Davide, i profeti, di cui alcuni «sono andati qua e là vestiti di pelli di pecora e di pelli di capra». Stessa idea di Dio, [84] che «penetra i sentimenti e i pensieri del cuore», che è fedele nelle sue promesse, che castiga coloro che ama. Stessa esortazione a mantenere la concordia e l'amore fraterno, a obbedire ai capi preposti alla custodia delle anime.

Si spiegano comunemente queste concordanze con una dipendenza di Clemente nei confronti dell'Epistola agli Ebrei. La spiegazione è fondata per i passi di quella epistola che provengono dalla prima stesura. [85] Non lo è per gli altri, perché questi sono più vaghi nel complesso rispetto ai passi corrispondenti della Lettera ai Corinzi. Si illuminano per mezzo di essa più che servire a illuminarla. Ciò che è detto, ad esempio, dei profeti che «sono andati qua e là, vestiti di pelli di pecora e di pelli di capra» assume un significato preciso solo se lo si confronta al testo parallelo della lettera in questione, dove i personaggi così vestiti sono chiamati col loro nome: «Elia-Eliseo-Ezechiele». In fondo le due epistole si accordano e si completano a vicenda senza che si possa dire che l'una si sia regolata sull'altra. Si armonizzano così bene solo perché hanno una stessa origine. 

Se la seconda edizione dell'Epistola agli Ebrei è l'opera di Clemente, è naturale pensare che anche le integrazioni apportate all'Apostolikon vengano da lui. Vi si constatano in effetti le stesse caratteristiche di stile, lo stesso metodo di argomentazione scritturale, la stessa predominanza di un piccolo numero di temi essenziali.

Così l'Epistola ai Romani parla (4:12-16) come la Lettera ai Corinzi di «Abramo nostro padre». [86] Il passo famoso della prima, che dice, basandosi sulla Genesi, che questo patriarca fu giustificato dalla sua fede, si ritrova nella seconda, nel corso di un'esposizione che si spiega benissimo senza alcuna influenza della raccolta paolina. Un altro paragrafo raccomanda ai Romani «che ogni persona sia sottomessa alle autorità superiori, perché non c'è autorità che non venga da Dio». Il testo appartiene all'ultima edizione, perché non si leggeva nell'Apostolikon e si inserisce in un discorso sull'amore del prossimo, di cui rompe la sequenza naturale. Ma esso non fa che riprendere un tema fondamentale della Lettera ai Corinzi. [87] Altro dettaglio rivelatore. In parecchi degli ultimi supplementi dell'Epistola ai Romani, l'esposizione si trova interpolata da una lode a Dio, che si chiude con la parola ebraica «Amen». Tali dossologie non si leggono né nella prima edizione né nella seconda. Ma se ne trovano fino a sette attraverso la Lettera ai Corinzi. [88] Visibilmente abbiamo a che fare, qui e lì, con lo stesso autore. 

È da lui che devono provenire anche i due libri «a Teofilo», perché presentano, da un capo all'altro, le stesse caratteristiche di pensiero e di stile. Alcuni indizi sono particolarmente suggestivi.

Nel Vangelo secondo Luca, in particolare, i cantici dell'esordio sono puri centoni di testi biblici, la cui trama assomiglia strettamente a quella di una lunga invocazione che termina la Lettera ai Corinzi. Meglio ancora, in entrambi i casi sono sfruttati temi identici. Molte formule del Magnificat, ad esempio, coincidono con quelle della preghiera clementina. [89] Qui e lì, Dio è il «Signore», il «Salvatore», il «Santo». Il suo nome è «Onnipotente», il suo braccio «Fortissimo». Confonde i superbi. Esalta gli umili e umilia i grandi. Arricchisce e impoverisce. Sazia coloro che hanno fame. È misericordioso e benevolo con i suoi «servi» e le sue «serve», come lo è stato con i «nostri padri», «di età in età», «in tutte le generazioni». Queste formule bibliche si accompagnano nella preghiera clementina da un gran numero di altre, che non si leggono affatto nel Magnificat. Non è quindi da esso che provengono. È piuttosto esso che ha potuto ispirarsi a questo primo modello. 

In un altro passo della seconda edizione, l'evangelista fa dire da Gesù: «Che i morti risorgano è ciò che Mosè ha fatto conoscere quando, nel luogo del roveto, chiamò il Signore il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe». [90] Il testo invocato si legge in un passo dell'Esodo in cui è raccontato che Dio si rivelò in mezzo a un roveto che ardeva senza consumarsi. La formula del riferimento «al luogo del roveto» è singolare. Ma la ritroviamo senza accompagnamento del testo invocato per la resurrezione, in un passo della Lettera ai Corinzi dove si parla dell'«oracolo del roveto». È chiaro che la Lettera non dipende qui dal Vangelo. L'accordo tra i due, in questo minor dettaglio, si spiega ben più naturalmente con l'identità dell'autore. 

Nel libro degli Atti, l'apostolo Pietro presenta ai suoi ascoltatori ebrei una breve esposizione della nuova fede, che è come un riassunto del Vangelo secondo Luca: «Gesù di Nazaret, quest'uomo a cui Dio ha reso testimonianza davanti a voi con i miracoli, i prodigi e i segni che ha operato per mezzo di lui in mezzo a voi, quest'uomo voi l'avete crocifisso. Dio lo ha resuscitato... e lo ha costituito Signore e Cristo». Più oltre, aggiunge nello stesso senso: «Il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù». [91] Quella presentazione traduce bene il pensiero dominante del secondo editore, che, per combattere il marcionismo, ha messo talmente in rilievo l'umanità del Cristo, il suo concepimento, la sua nascita, la sua infanzia, la sua genealogia. Ma si accorda anche esattamente con la dottrina della Lettera ai Corinzi, che dichiara che Gesù è «nato da Giacobbe secondo la carne» [92] e che, per tre volte, lo proclama, in ricordo dei testi celebri di Isaia, il «servo di Dio».

D'altra parte, il parallelismo stabilito tra Pietro e Paolo attraverso tutto il libro degli Atti si trova già nella stessa lettera come allo stato di bozza. Vi leggiamo, infatti, a proposito delle devastazioni che la gelosia ha causato nel mondo prima di imperversare nella Chiesa di Corinto: «Guardiamo agli apostoli eccellenti. Fu a causa di un'ingiusta gelosia che Pietro ha sofferto non una o due, ma numerose sofferenze, dopodiché, avendo reso così la sua testimonianza, raggiunse il posto di gloria che gli era dovuto. È a causa della gelosia che Paolo ha mostrato come si vince il premio della pazienza. Per sette volte portando catene, esiliato, lapidato, fattosi araldo in Oriente e in Occidente, ha ricevuto per la sua fede una gloria luminosa. Dopo aver insegnato la giustizia al mondo intero, esser giunto al confine dell'Occidente e aver reso testimonianza davanti a coloro che governano, ha lasciato il mondo e si è recato nel luogo santo, modello di pazienza». [93] Non solo il libro degli Atti è interamente dedicato a descrivere i due apostolati in questione, ma vi si rilevano anche alcuni dettagli e persino formule tipiche di quella breve bozza. Vi leggiamo che gli apostoli sono chiamati a essere i «testimoni» del Cristo «fino all'estremità della terra», che uno di loro, il traditore, «è andato al suo posto», che Paolo ha appreso dal Cristo stesso che doveva portare il suo nome «davanti ai re» e sopportare per lui grandi sofferenze. [94]

Più si confrontano questi testi, più si constata che hanno come un'aria di famiglia. È senza dubbio perché provengono da uno stesso autore, che fa prova in tutto ciò che scrive di una personalità ben definita. È anche e soprattutto perché riflettono per lui lo spirito che anima la comunità romana al seguito della crisi antigiudaica.  


NOTE DEL CAPITOLO 9 

[82] EUSEBIO, Storia ecclesiastica 3:28, 1-3.

[83] ABELE: Ebrei 11:4; Clemente ai Corinzi 4:1, 6. ENOC e NOÉ: Ebrei 11:5, 7; Clemente 9:3-4. ABRAMO: Ebrei 11:8-19; Clemente 10:1-7. ISACCO e GIACOBBE: Ebrei 11:20-21; Clemente 30:3-4. GIUSEPPE: Ebrei 11:22; Clemente 4:9. MOSÈ: Ebrei 11:23-29; Clemente 4:10-12; Ebrei 3:2; Clemente 17:5 e 43:1. RAAB: Ebrei 11:30-31; Clemente 12:1-8. DAVIDE: Ebrei 11:32; Clemente 4:13 e 18:1. I PROFETI: Ebrei 11:33-37; Clemente 17:1.

[84] Ebrei 4:12; Clemente 21:9; Ebrei 10:23; 11:11; Clemente 27:1; Ebrei 12:7-11; Clemente 56:2-16; Ebrei 12:14; 13:1; Clemente 14:1; 15:1; 19:1-2; Ebrei 13:17; Clemente 34:1-4; 46; 47. 

[85] Per esempio: Ebrei 1:3-14 e Clemente 36:2-5.

[86] Romani 4:12-16; Clemente 31:2; Romani 4:3; Clemente 10:6. 

[87] Romani 13:1-7; Clemente 21:6; 37:1-5; 61:1-2. 

[88] Romani 1:25; 9:5; 11:36; Clemente 20:12; 32:4; 38:4; 43:6; 45:7; 50:7; 61.

[89] Luca 1:46; Clemente 61:2 e 59:3; Luca 1:49; Clemente 59:3; Luca 1:49; Clemente 60:4; Luca 1:51; Clemente 60:3; Luca 1:51; Clemente 59:3; Luca 1:52; Clemente 59:3; Luca 1:53; Clemente 59:3; Luca 1:53; Clemente 59:4; Luca 1:50; Clemente 60; Luca 1:55; Clemente 60:4; Luca 1:50; Clemente 61:3; Luca 1:48; Clemente 60:1.

[90] Luca 20:37; Esodo 3:6; Clemente 17:5.

[91] Atti 2:22-36; 3:13.

[92] Epistola di Clemente ai Corinzi 22:2 e 59:2-3-4.

[93] Id., 5:3-7.

[94] Atti 1:8; 1:25; 9:15-16. 

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