giovedì 11 maggio 2023

Origini Sociali del CristianesimoIl cristianesimo a Roma

 (segue da qui)


II. — GLI INIZI DELLA CHIESA ROMANA

Il cristianesimo a Roma. 

Quando il cristianesimo fece la sua apparizione nella capitale? Nessuno può dirlo. I suoi primi rappresentanti, venuti dalla Palestina o dalla Siria, dovettero passare totalmente inosservati. Il giorno in cui sbarcarono davanti al Gianicolo, non avevano nulla che potesse distinguerli dai loro compatrioti. Erano come perduti nella massa di quei poveri bifolchi che dormivano sulla paglia vicino al porto. [9]

Quando cominciarono a distinguersi agli occhi dei Romani? Nessun indizio sicuro permette di affermarlo nel corso del I° secolo.

Si invoca a loro proposito un passo di Svetonio secondo il quale Claudio «cacciò da Roma i Giudei, che si abbandonavano  in tumulti continui sotto l'impulso di Chrestus». [10] Ma si tratta senza dubbio di un volgare agitatore, che non ha nulla in comune con il Cristo se non il nome, abbastanza frequente all'epoca, secondo le iscrizioni, in particolare tra gli israeliti. I tumulti in questione sono, secondo ogni apparenza, solo la continuazione di quelli che erano appena scoppiati tra gli adepti della Legge, verso la fine del regno precedente, quando Caligola volle farsi adorare fin nel Tempio di Gerusalemme. È infatti sin dalla sua ascesa, secondo la testimonianza di un altro storico, che Claudio adottò questo mezzo radicale per ristabilire la pace.

Si è parlato molto di un testo degli Annali di Tacito, [11] che riporta un episodio drammatico avvenuto sotto Nerone nell'anno 64. L'imperatore, accusato da voci pubbliche di aver lui stesso provocato un violento incendio che aveva appena devastato diversi quartieri di Roma, volle discolparsi scaricando la colpa sugli «sventurati aborriti per la loro infamia, che si chiamavano volgarmente Crestiani». Si arrestarono non solo quelli che confessarono, ma anche, sulla loro deposizione, «un'immensa moltitudine», il cui vero crimine era di odiare il genere umano. Questa povera gente fu sottomessa ad atroci supplizi. «Li si avvolgeva in pelli di animali per farli divorare dai cani, li si metteva in croce, oppure si spalmavano i loro corpi di resina e ce ne serviva, la notte, come torce per l'illuminazione». L'orribile scena si svolgeva nei giardini dell'Imperatore, vale a dire sulla collina del Vaticano.

Questo racconto si presenta solo in Tacito. Nulla di simile si legge né in Giuseppe, che la sorte deplorevole di una setta di provenienza ebraica avrebbe dovuto interessare, né in Svetonio, che non manca alcuna occasione per biasimare Nerone. Meglio ancora, gli stessi autori ecclesiastici hanno ignorato questi dettagli fino al XVI° secolo, quando apparve la prima edizione degli Annali. Ora quest'ultima fu fatta secondo un manoscritto unico, dal quale provengono tutti quelli che abbiamo, da Poggio (Poggio Bracciolini), uno studioso molto erudito ma senza scrupoli, la cui prima pubblicazione fu un falso letterario, e che si vanta in diverse lettere, dal tempo stesso in cui lavorava su Tacito, di avere al suo servizio una squadra di copisti capaci di imitare alla perfezione i più antichi manoscritti. Il ruolo attribuito dal suo testo a Nerone mal corrisponde a ciò che sappiamo di questo imperatore, che fu molto duro con i patrizi ma che cercava di conciliarsi la gente del popolo. Esso si accorda, al contrario, benissimo all'idea che si faceva di lui nel XV° secolo. Esso serve peraltro al papato, al servizio del quale era il Poggio e che, avendo abbandonato da poco il palazzo fatiscente del Laterano per trasferirsi in Vaticano, aveva interesse a veder presentare la sua nuova residenza come il primo dei luoghi sacri della Chiesa romana. L'idea, poco plausibile, di una «immensa moltitudine» di martiri viene da una falsa interpretazione di un passo dell'Apocalisse (7:9, 14), che, come abbiamo visto, ha un tutt'altro significato. Infine, l'orribile enumerazione dei supplizi è ispirata ad una invettiva di Seneca che ha un carattere puramente teorico. Tutto porta a considerare il racconto in questione come un falso audace. [12

Si è detto infine che il cristianesimo aveva acquisito, verso la fine del I° secolo, un tale prestigio che aveva penetrato, nella persona del console Flavio Clemente e di sua moglie Flavia Domitilla, persino l'entourage e i parenti di Domiziano, che prese contro di esso misure severe. La testimonianza più autorevole che abbiamo su questo argomento è quella dello storico Dione Cassio, conservata da un cronista dell'XI secolo, il monaco greco Xifilino. Ora egli dice che il consolo Flavio Clemente, cugino dell'imperatore e marito di Flavia Domitilla, sua parente, fu messo a morte, mentre lei stessa era esiliata su un'isola. Ma aggiunge: «Entrambi furono condannati per reato di empietà. Per questo motivo si condannarono un gran numero di altri che si erano fuorviati nei riti giudaici». [13] Il testo dà a pensare che i personaggi in questione fossero dei proseliti a cui si fece l'accusa di aver abbandonato il culto delle divinità nazionali. Ciò non vuol dire che non fossero cristiani. Ma se lo furono, il loro cristianesimo apparve agli occhi dei pagani come una semplice forma di giudaismo. 

Infatti, sotto il regno stesso di Traiano (97-117), i cristiani sembrano essere stati comunemente confusi con gli ebrei. Scomparvero dietro di loro tra gli autori del tempo. Né Marziale, né Giovenale, né Svetonio, né Tacito li menzionano, benché abbiano dovuto in più di una circostanza incontrarli attorno a loro. Tutti, al contrario, parlano spesso degli ebrei. È perché apparentemente tra gli uni e gli altri nessuna differenza apprezzabile si lasciava intravvedere per la gente di fuori, in altri termini perché i cristiani di Roma giudaizzavano con perseveranza. Questo semplice fatto doveva avere per il futuro di tutto il cristianesimo un'importanza eccezionale.


NOTE DEL CAPITOLO 9

[9] RENAN, Saint Paul, pag. 108. Si veda GIOVENALE, Satira 3:14 e 6:542. 

[10] SVETONIO, Claudio 25.

[11] TACITO, Annali 15:44. Si veda volume 2, pag. 108.

[12] Si veda P. HOCHART, Etudes au sujet de la persécution des chrétiens sous Néron, Parigi 1885, pag. 7-44, 221-236, 240 e seguenti. L'enumerazione dei supplizi è attribuita da Hochart a Sulpicio Severo e non a Seneca. Quest'ultimo interviene solo come lo pseudo-autore di una «lettera a san Paolo» che è un falso riconosciuto. (J.M.).

[13] DIONE CASSIO 67:14.

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