martedì 18 aprile 2023

Origini Sociali del CristianesimoGeografia

(segue da qui)


II. — LA SECONDA PATRIA DEL CRISTIANESIMO: L'ASIA MINORE

Geografia.

L'Asia Minore, o, come si diceva in passato, l'Anatolia, è costituita da un altopiano che si estende dall'Eufrate al mar Egeo e dal mar Nero al Mediterraneo. Una zona bassa e alluvionale forma ai suoi contorni, a sud, a ovest e a nord, una sorta di cintura stretta ma molto lunga il cui perimetro è ulteriormente accresciuto dalle pieghe numerose che offrono alcune coste, quelle soprattutto della costa egea. I porti naturali vi sono numerosi, spaziosi, ben riparati. Di buon'ora i Greci, i Dori dapprima, poi gli Ioni, vi si sono stabiliti. Da lì si sono espansi nelle regioni vicine e si sono diffusi più o meno nell'entroterra, lungo i corsi d'acqua e le vie naturali che si aprivano davanti a loro. Tutta quella regione costiera è stata così fondamentalmente ellenizzata. Città importanti vi si sono fondate e hanno costituito centri di alta cultura, di cui alcuni hanno rivaleggiato con quelli dell'Attica. Un letterato dell'inizio della nostra era, Strabone, di origine asiatica, ha dedicato loro, in diversi libri della sua «geografia», notizie sostanziali che ci fanno intravvedere la vita che vi si conduceva quando il cristianesimo apparve.

Il viaggiatore, innamorato delle tradizioni della Grecia antica, che partiva da Antiochia, con questa guida in mano, [5] per circumnavigare la grande penisola, si ritrovava a casa, fin dal primo scalo, a Tarso, metropoli di Cilicia, dove la filosofia e le scienze erano studiate più che a Roma stessa o ad Alessandria, e che fornì a queste città maestri numerosi e illustri. Più lontano venivano nella stessa regione Soli o Pompeiopoli, patria dello stoico Crisippo, del poeta comico Filemone, dell'astronomo Arato, e Seleucia, che aveva dato i natali a peripatetici prominenti, Ateneo e Senarco. In Panfilia, si ergeva su un'alta cima Perge, luogo sacro dove numerosi pellegrini venivano ogni anno a fare le loro preghiere al santuario di Artemide. In Licia, presso le rive dello Xanto, Petara, fondata dai Dori, aveva un tempio di Apollo i cui oracoli godevano di grande fama e che rivaleggiava con quello di Delfi. [6] In Caria, presso un'ansa della costa che sale in seguito verso nord, Cnido, antica colonia di Sparta, patria dello storico Ctesia e dell'erudito Eudosso, era anche un museo d'arte, che ha immortalato la famosa Venere di Prassitele. Un po' più su, Alicarnasso, patria di Erodoto, del poeta Eraclito, dello storico Dionigi, mostrava la famosa tomba del re Mausolo, considerata una delle sette meraviglie del mondo. All'ingresso di un'ampia baia dove si riversava il Meandro, Mileto, l'antica capitale degli Ioni, che fu a lungo il principale mercato dell'antico Oriente, e dove passarono di volta in volta i filosofi Talete, Anassimandro, Anassimene, lo storico Ecateo, l'oratore Eschine e molte altre celebrità, mostrava fieramente i resti del suo antico splendore. Efeso, il grande porto di Lidia, aveva preso il suo posto ed era diventato il principale centro commerciale dell'Asia occidentale. Patria del filosofo Eraclito, degli artisti Parrasio e Apelle, restava una città d'arte e di alte speculazioni. Ma filosofi e artisti vi cedevano il posto ai sacerdoti della grande Artemide, eunuchi sacri che avevano il titolo di re e il cui tempio, vicino al porto, attirava masse di devoti e faceva vivere una numerosa clientela. Smirne, la sua vicina, benché devastata sotto Tiberio da un terribile terremoto, aveva ancora un grandioso e bell'aspetto, con le sue strade ben rettilinee, i suoi portici quadrati, la sua biblioteca. Aveva il culto di Omero, che passava per essere nato tra le sue mura, e ospitava una scuola importante di medici, che seguivano il metodo di Erasistrato. [7] Più su, in Misia, quasi all'entrata dell'Ellesponto, il porto di Troas perpetuava il nome dell'antica Troia, il cui sito si trovava nelle vicinanze e il cui ricordo stimolava l'immaginazione. [8] All'altra estremità della Propontide, presso il Bosforo, Calcedonia, fondata dai Megari, di fronte a Bisanzio, restava fedele alla sua origine greca. Si può dire altrettanto delle due antiche colonie dei Milesi, che si affacciavano sulla costa meridionale del mar Nero, Eraclea di Bitinia, dove nacque il platonico Eraclide, e Sinope di Paflagonia, patria di Diogene il Cinico. Ancora, verso l'estremità della provincia del Ponto, la città di Trapezonte — la futura Trebisonda — è definita da Strabone «città greca». [9]

Da questo avamposto, vicino agli Sciti, a Smirne, Efeso, Mileto, come da queste città a Troas, in direzione di Antiochia, si verificava un enorme traffico. Numerose navi si dedicavano ad un via vai ininterrotto. Non trasportavano solo merci da ogni provenienza, ma gente di ogni paese. Le idee più nuove si facevano così la loro strada attraverso il vecchio mondo. Esse si esprimevano nella stessa lingua e trovavano dappertutto la stessa accoglienza, ampissima e benevola. I Greci di quell'altra «diaspora» mantenevano dalla loro origine comune un ideale comune, l'amore del sapere, il desiderio di istruirsi. Con gli occhi ostinatamente volti verso il mare, aspettavano sempre la venuta della nave misteriosa che avrebbe portato loro con viveri e tessuti le notizie ardentemente attese dell'aldilà. Nessun ambiente fu più aperto né più favorevole alla propaganda cristiana. 

L'altopiano d'Anatolia, che si ergeva ripido nella vicinanza della costa a un'altezza media di mille metri al di sopra del livello del mare, era di un accesso assai meno facile. Il viaggiatore che vi si avventurava vedeva ergersi davanti a sé ogni sorta di ostacoli. Il suolo si trovava come disseminato di coni vulcanici le cui eruzioni avevano squarciato. Il suo rilievo era così accidentato che le acque arrivavano difficilmente a farsi strada e si perdevano senza profitto in laghi o condotti sotterranei. Alcuni fiumi però riuscivano a emergere dalla terra dopo averne descritto innumerevoli contorni. Questi erano il Meandro, dalle sinuosità leggendarie, che passava davanti a Mileto, e l'Hermos, che sfociava nel Golfo di Smirne. Oltre a queste vie naturali, altre erano state aperte dallo Stato per i bisogni dell'amministrazione e del commercio. Una di esse, molto antica, partendo da Smirne andava in direzione dell'Eufrate. Essa era raggiunta nel mezzo da un'altra che veniva da Efeso.

Lungo queste strade e questi corsi d'acqua città importanti si erano fondate e avevano avuto destini brillanti. A nord, alla confluenza di due fiumi, Pergamo, antica capitale della dinastia degli Attali, dove le lettere erano sempre state in grande onore, restava una città di studi, famosa per le sue pergamene («pergamenta»), e avrebbe acquisito presto un nuovo lustro con uno dei suoi figli, il futuro medico Galeno, che doveva personificare a lungo la scienza medica. Era collegata alla grande arteria da Smirne all'Eufrate da una via importante, al centro della quale si trovava Tiatira, un'antica colonia dei Macedoni, rinomata come altre città della Lidia per le sue tinture di porpora. All'incrocio di queste due strade, presso il punto in cui il Pattolo si getta nell'Hermos, ai margini di una pianura piacevole e fertile che dominava il monte Tmolo, Sardi, antica capitale della Lidia, conservava così bene il ricordo del suo antico splendore che uno storico del tempo, Floro, non esita a chiamarla una seconda Roma. Un'altra via trasversale si apriva oltre Sardi, in direzione sud-est, e passava per Filadelfia, altra città lidia, costruita anch'essa ai piedi del monte Tmolo dal re di Pergamo, Attalo Filadelfo. Più oltre, costeggiava Gerapoli, città santa che  le sue acque calde, che cadevano in cascate fragorose e scavavano caverne bizzarre e sotterranei fantastici, circondarono di mistero. Passava in seguito presso la grande e bella città di Laodicea, stabilita su un affluente del Meandro, il Lico, all'incrocio della strada dall'Efeso all'Eufrate. Infine, ricongiungeva quella grande arteria all'antica città di Colossi.

Queste ultime tre città, che formavano tra loro una sorta di triangolo, appartenevano all'antica Frigia. Rappresentavano la parte più ricca, più popolata, più vivace di quella vasta regione. Ma erano state inglobate con tutta la parte occidentale del territorio frigio nella provincia d'Asia, che comprendeva l'ovest della penisola e la cui capitale si trovava a Efeso.

Oltre a questa venivano le province senatorie della Galazia e della Cappadocia, che occupavano rispettivamente il centro e l'est dell'Asia Minore, e una di cui aveva la sua capitale ad Ancira, su un affluente del Sangario, l'altra a Cesarea, non lontano dalle rive dell'Halys. L'una e l'altra erano molto estese. Solo che erano scarsamente popolate e contavano solo un piccolo numero di città. Le strade vi erano più rare e più difettose. Gli abitanti di queste regioni remote avevano poche comunicazioni con il mondo esterno. Vivevano come ripiegati su sé stessi. Cicerone, essendosi avventurato oltre il Tauro ai confini delle due province, aveva avuto l'impressione di trovarsi tra i selvaggi. Poche regioni dell'impero erano più arretrate, più chiuse alle influenze straniere.

Non è in un tale ambiente che il cristianesimo poteva fare le sue prime conquiste. Non aveva alcuna possibilità di penetrarvi se non dopo averne occupato il contorno. La sua propaganda iniziale doveva recarsi piuttosto verso l'ovest della penisola, in ciò che si chiamava la «provincia d'Asia», e verso le regioni affacciate sul Mediterraneo e sul mar Nero, che ne erano come un'estensione, a sud la Cilicia, la Panfilia, la Licia, a nord la Bitinia e il Ponto.

La fede nuova trovava lì un terreno particolarmente favorevole per la sua espansione. Tutti questi paesi avevano perso da tempo la loro antica individualità. Il potere imperiale si era speso con cura ingegnosa per farne scomparire le ultime vestigia. I vecchi Stati erano come annegati in seno alle nuove province, dove i confini fissati da loro erano sistematicamente ignorati. L'Asia proconsolare non coincideva con il regno degli Attali più di quanto la Galazia del I° secolo coincidesse con quello di Aminta, o la Cappadocia con quello di Mitridate. Ogni idea di patria era così scomparsa. Si era costituito sulle rovine dei vecchi nazionalismi uno stato d'animo internazionale che tendeva alla combinazione, o per meglio dire, all'assimilazione dei popoli un tempo divisi, e con ciò stesso alla fusione delle loro credenze. Dal grande mescolamento di clan e di tribù operato dai Romani risultava una mescolanza confusa delle tradizioni più diverse e più opposte. L'unità politica esigeva l'unità morale e religiosa. Si tendeva sempre più a respingere nell'ombra le vecchie differenze che separavano i gruppi per considerarne solo le rassomiglianze essenziali, che permettessero loro di intendersi. 


NOTE DEL CAPITOLO 6

[5] Tutto ciò che segue utilizza il capitolo 14 di Strabone.

[6] Qui, a margine, il termine Rhodes. P. Alfaric ha probabilmente voluto introdurre in questo punto un paragrafo su Rodi, ma non l'ha scritto (J.M.). 

[7] Strabone 14:10, 37; 12:8, 20.

[8] Id. 13:1, 26, 27.

[9] Id. 7:6, 2; 12:3, 11 e 3, 17.

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