venerdì 14 aprile 2023

Origini Sociali del CristianesimoCultura

 (segue da qui)


Cultura.

Tutte le grandi rotte commerciali erano sfruttate o controllate da loro. Eredi degli antichi Fenici, navigavano con le loro navi attraverso il mare interno e inviavano carovane in Mesopotamia, nell'Alto Nilo, sulle grandi strade dell'Impero. Tutto il traffico tra l'Asia, l'Africa e l'Europa passava tra le loro mani. Molti di loro realizzavano così fortune considerevoli alle quali partecipava una numerosa clientela. Il commercio vasto e complesso al quale si dedicavano procurava loro conoscenze precise e molto variegate. Le relazioni attive che intrattenevano con le terre più lontane e i gruppi più diversi esigevano da loro una curiosità prudente, una ricchezza di conoscenze e un'ampiezza di vedute che non si trovava allo stesso grado in alcun altro popolo. L'agiatezza di cui godevano assicurava loro i passatempi necessari ai lavori intellettuali e i mezzi per far dare ai loro figli un'istruzione solida. Così si erano create e si perpetuavano scuole brillanti, gelose delle loro tradizioni, desiderose di progresso, tra le quali si affermava una emulazione feconda e continua. Tutte le scienze vi esistevano in embrione. Al di sopra dei saperi frammentari si ergeva la filosofia che tendeva a coordinarli e che era ben superiore a tutti. «I Greci», constata il Deutero-Paolo, «ricercano la sapienza». [1] Vari gruppi pretendevano di averne il segreto. Platonici, aristotelici, epicurei, stoici, pitagorici, cinici, si impegnavano a insegnarla ad ogni venuto, dietro onesto compenso. Ognuno di loro eccelleva nel fare le critiche dei concorrenti. Ma una migliore comprensione dei problemi posti e anche dei loro stessi interessi li aveva a poco a poco avvicinati. Ciascuno si era sforzato di prendere dagli altri ciò che vi trovava di meglio. L'eclettismo era diventato alla moda. Le dottrine più antiche e, sembrava, le più rigide si trovavano ringiovanite fino a diventare talvolta irriconoscibili. Quelle di Pitagora, di Platone, di Zenone avevano così portato ad un neopitagorismo, un neoplatonismo, un neostoicismo che i loro primi autori non avrebbero riconosciuto. 

Nel primo secolo la popolazione greca che viveva su queste terre era, nel complesso, intelligente e colta. La formazione intellettuale era molto più avanzata di quella degli ebrei palestinesi o dei siriani. La filosofia vi era in grande onore. Il cristianesimo, penetrando in questo nuovo ambiente, doveva, per farsi accettare, adottarne il tono e presentarsi come una sapienza superiore. Il bagaglio di gnosi che portava con sé fin dall'origine, e che lo distingueva dal giudaismo tradizionale, non poteva che svilupparsi ulteriormente. Il pensiero cristiano si ellenizzò.

D'altra parte, i Greci, essendo molto sparsi e su terre discontinue, talvolta sprovviste di comunicazioni, si trovavano, per una sorta di necessità geografica, molto divisi tra loro. Queste differenze naturali si trovavano rafforzate dalla loro cultura stessa. Abituati a ragionare senza fine, a criticare tutti i sistemi, passavano facilmente da una dottrina all'altra e si mostravano nel complesso molto individualisti. Quelli che vivevano nell'entroterra avevano peraltro una mentalità meno flessibile di quelli della costa. Infine, al di là dei limiti fluttuanti della Magna Grecia, in Frigia, in Galazia, in Bitinia, nel Ponto, nella Cappadocia, nella Cilicia, vivevano popolazioni molto frustrate che restavano pressappoco insensibili alla civiltà ellenica e che, pensando pochissimo per sé stesse, erano tanto più ostinatamente attaccate alle loro tradizioni ancestrali.

Le antiche scuole si erano spesso mostrate sfavorevoli o persino francamente ostili ai culti popolari, che giudicavano pochissimo conformi alla ragione. Ma la situazione si modificò dopo la conquista romana. Tutte le organizzazioni nazionali erano state distrutte. Gli individui isolati si ritrovavano senza difesa di fronte a un potere lontano e assoluto. Sentivano pesare su di loro un gravoso destino irto di minacce. Cercarono la loro consolazione e il loro sostegno nell'aldilà. Ci fu una rinascita della fede e della pietà. Gli antichi dèi, quelli soprattutto che avevano una reputazione speciale di benevolenza, assunsero forma di salvatori. Intorno a loro si formarono o si svilupparono gruppi di devoti che tormentava una stessa inquietudine e che confortava una stessa speranza. Si videro sorgere dappertutto religioni misteriche, come quelle di Attis, di Adone, di Osiride, di Mitra, che offrivano ai loro adepti un rifugio accogliente, una sorta di patria spirituale. Le scuole filosofiche seguirono il movimento. Si impregnarono di misticismo. Alcune costituirono autentiche Chiese che offrivano agli spiriti colti il mezzo per conoscere il mondo superiore e per comunicare con esso. Neopitagorismo, neoplatonismo e neostoicismo si presentavano all'inizio della nostra era come pie sette dove gli iniziati erano sicuri di trovare, dopo un'abbastanza lunga iniziazione, le ricette di vita eterna e la felicità perfetta. La loro popolarità ne fu notevolmente accresciuta. L'élite sociale ci teneva a farsi ammettere e ad assicurarsi una buona posizione.

Se la filosofia poteva ormai conservare il suo prestigio tra le persone colte solo impregnandosi di religione, la religione a sua volta non aveva possibilità di imporsi a loro se non impregnandosi di filosofia. I vecchi credi e i vecchi riti, presi nella loro forma tradizionale, apparivano quanto mai assurdi e irragionevoli alle menti riflessive. Potevano catturare le loro simpatie solo grazie ad un'interpretazione benevola che scoprisse sotto le loro apparenze meschine e puerili un'alta sapienza degna dei più nobili pensatori. Un'esegesi sottile, ispirata da un'ammirazione tanto fervida quanto ingenua, operò in questo senso. Essa segnalò dappertutto, persino attraverso i dettagli più insignificanti o i più assurdi, mirabili simboli di verità sublimi. Vi trovò il sistema intero dei Pitagorici, dei Platonici o degli Stoici della nuova scuola. A quella condizione i pensatori più rinomati, i maestri più pedanti poterono professare la fede della massa, pur giudicandosi ben superiori ad essa.


NOTE DEL CAPITOLO 7

[1] 1 Corinzi 1:22. 

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