martedì 11 aprile 2023

Origini Sociali del CristianesimoValentino

 (segue da qui)


Valentino.

La gnosi di Valentino, posteriore a quella di Carpocrate come a quella di Basilide, ci è ben più conosciuta. Essa testimonia una scienza più ampia, una riflessione più intima e un senso più profondo dei bisogni religiosi. Vi si trova una teogonia, una cosmogonia, un'antropologia, una morale e un'escatologia stranamente complesse. [16]

All'origine, dice, c'era l'Abisso o il Primo Padre, che viveva con Taciturno, o il Pensiero. Da loro nacque il Figlio unico o Intelletto, con la sua compagna la Verità. La seconda coppia diede nascita a una terza, il Verbo e la Vita, e questa a una quarta, l'Uomo e la Chiesa. La terza coppia, per mezzo di nuove congiunzioni, ne produsse altre cinque, ossia dieci nuovi Eoni, e la quarta ne produsse altre sei, ossia dodici Eoni; così fu costituita la pienezza o «pleroma» della divinità, al di fuori della quale c'era solo il vuoto, o Kenoma della materia.

L'ultimo o trentesimo di questi Eoni, la Sapienza, ebbe smania di vedere il Primo Padre, che poteva essere visto solo dal Figlio Unico. Si scontrò contro una barriera a forma di croce che la mantenne al suo posto. La sua smania sregolata fu eliminata fuori dal pleroma e gettata nel Vuoto, di cui fu il primo abitante. Era un aborto informe di nome Achamoth. Il Cristo era stato generato nel frattempo dalla seconda coppia, con il suo compagno, lo Spirito Santo, per rimediare al male. Ebbe pietà della sventurata e venne per un momento a stendersi contro la Croce per illuminarla, poi scomparve. Il povero Achamoth si slanciò verso di lui, poi ricadde, profondamente turbato, ridendo e piangendo di volta in volta. Dal suo turbamento procede la totalità della materia, dal suo slancio l'anima che la penetrò. Su sua richiesta, il Cristo le inviò un Salvatore, o Paraclito, che gli permise, iniziandola alla gnosi, di completare questi due elementi con l'aggiunta dello spirito. Così costituito, Achamoth generò a sua volta un Figlio unico. Costui, che non era stato iniziato come lei dal Paraclito, non conobbe né il pleroma divino né la sua propria madre. Si prese per un primo Principio. Fece sette cieli, alla sommità dei quali si insediò, e li popolò di demoni che dovevano adorarlo, e di cui i più inferiori, i Malvagi Angeli, obbedivano piuttosto a uno di loro, il Diavolo, divenuto il Principe di questo mondo.

È da questo Demiurgo che l'uomo è stato creato. Ricevette da lui un corpo e un'anima, che fu completata, grazie a un trucco di Achamoth, da uno spirito di vita. Collocato dapprima nel terzo cielo, fu in seguito respinto quaggiù perché si mostrava ribelle al suo autore e perché aspirava alla scienza. Più tardi, il salvatore venne quaggiù nella persona di Gesù per rivelargliela. Ma tutti gli uomini non si mostrano egualmente docili nei suoi confronti. Alcuni, i «Pneumatici», vivono dello spirito e fanno buona accoglienza alla gnosi. Altri, gli «Psichici», dall'animo incerto, credono senza comprendere ed esitano costantemente tra il bene e il male. Infine, gli «Ilici» non sanno elevarsi al di sopra della materia. [17]

La natura di ciascuno deciderà il suo destino. Gli uni, divenuti puri spiriti, entreranno, al tempo voluto da Dio, nel Pleroma, al seguito della loro Madre, che diventerà la sposa del Salvatore, mentre essi stessi contrarranno nozze mistiche con i buoni angeli. Gli Psichici andranno a raggiungere il loro Padre, il Demiurgo, che come loro ha creduto nel Salvatore senza arrivare però alla vera scienza, e occuperanno con lui la regione del mezzo lasciata vuota dalla partenza di Achamoth. Infine, i carnali, gli Ilici, che si attaccano alle cose inferiori, subiranno la sorte di questi ultimi e saranno consumati dal fuoco, con il Diavolo stesso, di cui sono gli agenti.

L'autore di questo poema teologico ci è pochissimo noto. Sappiamo solo che si formò ad Alessandria, [18] che propagò la sua dottrina nei luoghi di Atribi, di Prosopis, di Arsinoe, di Tebe, che la portò in seguito fino a Roma, dove fece un soggiorno abbastanza lungo, che passò anche per Cipro, infine che lasciò ai suoi discepoli vari scritti, in particolare Omelie, Lettere, Inni o Salmi liturgici. [19] In compenso conosciamo i nomi di un certo numero di suoi discepoli, che divennero a loro volta maestri rinomati, e di cui alcuni si resero suoi propagandisti in Oriente, come Marco in Asia Minore e Bardesane nella regione di Edessa. Altri operarono più in Occidente, come Eracleone, [20] Tolomeo, [21] Florino, di cui seguiamo le tracce intorno al 180 al centro della Gallia. La sua gnosi penetra di buon'ora fino in Etiopia, come attestano i manoscritti copti scoperti nel XIX° secolo, in particolare quello della «Pistis Sophia», composizione bizzarra che non è, come alcuni hanno creduto, opera di Valentino stesso, ma che si lega senza nessun dubbio alla sua tradizione. [22] Così la comunità valentiniana andava dalle sorgenti del Nilo a quelle dell'Eufrate e penetrava attraverso il Mediterraneo fino alle rive del Rodano. Il suo successo non proveniva solo dalla mitologia erudita che offriva alle anime tormentate dall'enigma del mondo, ma anche dalle ricette magiche che metteva al loro servizio per permettere loro di sfuggire alla morsa del male e di assicurarsi un futuro migliore. I Valentiniani avevano un rituale complesso, che combinava le antiche pratiche dei sacerdoti d'Egitto con quelle che i cristiani avevano ricevuto dal giudaismo. La «Pistis Sophia» ne dà esempi tipici. Descrive tre battesimi successivi, che si fanno tramite l'acqua, tramite il fuoco, tramite lo spirito, con un gran lusso di gesti, formule e ingredienti liturgici, e che passano per avere una virtù miracolosa. L'Eucarestia dava luogo ad una messa in scena analoga. È così che lo gnostico Marco stupiva la sua clientela mostrando una coppa colma di vino, sulla quale pronunciava un giuramento solenne e da cui il liquido si gonfiava e traboccava, assumendo una tinta sanguinolenta. (C. H. 1, 13, 2). [23] Egli operava alla maniera dell'officiante egiziano che in un papiro magico pronuncia quella formula sacramentale: «Tu sei vino, e non vino, ma le viscere di Osiride» (R. Rech. H.M.R., 2° edizione 244, 245).

NOTE DEL CAPITOLO 6

[16] Su Valentino: P. ALFARIC, les Ecritures manichéennes, volume 1, pag. 12-13.

[17] Dal greco πνεῦμα, soffio, spirito, ψυχή, anima, ὕλη, legno, da cui materia. 

[18] CLEMENTE D'ALESSANDRIA, Stromata 7:17, 180.

[19] Clemente di Alessandria parla di Lettere e di Omelie, Origene di Salmi. Si veda Harnack, Uberlief, pag. 183.

[20] Abbiamo di Eracleone più di quaranta frammenti di un Commentario a Giovanni. Cfr. IPPOLITO, Philosophoumena, 6:29-35.

[21] EPIFANIO ci ha conservato, di questo Tolomeo, una «Lettera a Flora» (Haer. 30:3-7).

[22] Sulla «Pistis Sophia», si veda Jean Doresse, opera citata, pag. 74 e seguenti.

[23] Non ho potuto identificare né quel riferimento né il successivo. La formula: «Tu sei vino e non vino...» è tratta dai papiri egiziani. Si troveranno in GUIGNEBERT, le Christ, pag. 373, i riferimenti agli editori tedeschi di questi papiri, in particolare REITZENSTEIN.

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