martedì 7 marzo 2023

Origini Sociali del CristianesimoIl cristianesimo e la legge mosaica

 (segue da qui)

II. — DAL GIUDAISMO AL CRISTIANESIMO

Il cristianesimo e la legge mosaica.

Un grave problema si levò tra gli apostoli di Gerusalemme e quelli di Antiochia: quali condizioni bisognava imporre ai Gentili prima di ammetterli in seno alla comunità? La stessa questione era già stata sollevata nei circoli ebraici: cosa si doveva esigere dai Goyim prima di aprire loro le porte della sinagoga? 

Molti spiriti illuminati della diaspora ritenevano che l'essenziale fosse fosse credere nel vero Dio e condurre una vita onesta. Estranei alle pratiche del culto tradizionale, che potevano aver luogo solo nel Tempio di Gerusalemme, erano venuti a concepire il vero ebraismo come una religione tutta spirituale, in cui i riti svolgevano solo un ruolo secondario. Li mantenevano solo in ragione del loro simbolismo e non potevano quindi sognarsi di imporne l'osservanza effettiva alla gente di fuori. Dal punto di vista religioso, la circoncisione in sé aveva per loro solo un interesse limitato. Quella concezione aperta si afferma  in un'opera curiosa che ha dovuto essere scritta intorno alla metà del I° secolo. Questo è un poema morale attribuito indebitamente  all'antico Focilide. [13] Costituisce una sorta di introduzione alla vita ebraica ad uso dei gentili. Ora l'autore si limita alle credenze e alle pratiche usuali che, agli occhi di un ebreo illuminato, fanno l'uomo onesto.

I cristiani di Siria, abituati a vivere a contatto dei Goyim, mostrarono con loro la stessa indipendenza nei confronti della Legge. Al di fuori della fede nel Dio unico e nel suo Figlio, il Cristo Gesù, non domandarono loro nulla di più di una moralità media alla portata di tutti. Ecco, a titolo di esempio ben tipico, le raccomandazioni dell'apostolo Paolo alla Chiesa di Roma, che non ha ancora visitato. Siccome esse non si ispirano ad alcuna contingenza di luogo né di tempo, rappresentano una sorta di sommario delle prescrizioni correnti: [14]

«Aborrite il male, aderite al bene. Amatevi fraternamente. Superatevi l'un l'altro nella considerazione reciproca. Siate rapidi nello zelo, ferventi di spirito, sottomessi all'occasione, gioiosi nella speranza, pazienti nella tribolazione, assidui nella preghiera, obbedienti ai santi, premurosi nell'ospitalità». 

«Benedite i vostri persecutori e non maledite affatto. Rallegratevi con coloro che gioiscono, piangete con coloro che piangono. Abbiate gli stessi sentimenti tra voi. Non mirate alle grandi cose, ma siate inclini agli umili». «Non siate saggi ai vostri occhi» (Proverbi 3:7).

«Non rendete a nessuno il male per il male» (Proverbi 3:7). «Provvedete al bene di tutti gli uomini» (Proverbi 3:4). «Se è possibile, per quanto dipenda da voi, siate in pace con tutti. Non vendicatevi voi stessi, beneamati. Ma lasciate agire l'ira di Dio, perché è scritto: «A me la vendetta, sono io che retribuirò, dice il Signore» (Deuteronomio 32:35). «Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere; così facendo ammasserai carboni ardenti sul suo capo» (Proverbi 25:21, 22).

«Non abbiate debiti verso nessuno se non amore reciproco, perché chi ama il prossimo compie la Legge. Infatti, questi comandamenti: «Non commetterai adulterio, non ucciderai affatto, non ruberai affatto, non desidererai affatto» (Esodo 20:13, 17; Deuteronomio 5:17), e quelli che possono ancora esserci, si riassumono in quelle parole: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Levitico 19:18). «L'amore non fa del male al prossimo; l'amore è quindi il compimento della Legge».

Quella morale ebraica, tinta di essenismo, ma ampiamente umana, doveva esercitare un'attrazione intima e duratura su anime rette in cerca di un ideale. Essa si trovava rafforzata e come divinizzata dalla credenza in un Dio fatto uomo che l'aveva praticata per suo conto e aveva mostrato nella sua persona un esempio perfetto di tutte le virtù. Ma i conservatori trovarono che faceva troppo poco prezzo della tradizione. 

Già gli ebrei legati alla vecchia ortodossia protestavano contro ogni abbandono delle prescrizioni legalistiche. Un aneddoto a questo riguardo molto suggestivo ci è raccontato da Giuseppe nelle sue Antichità Giudaiche, [15] a proposito del regno di Adiabene, nel nord della Mesopotamia. Il re Izate era stato guadagnato al giudaismo, dopo le donne del suo seguito e grazie alla loro mediazione, da un mercante ebreo di nome Anania. Quest'ultimo non gli domandò affatto di farsi circoncidere. Tutt'al contrario, lo dissuase, spiegandogli che un tale rito non era necessario e poteva diventare, in questo caso, molto compromettente. Sopraggiunse, qualche tempo dopo, un altro ebreo di nome Eleazaro, molto versato sulla legge dei suoi padri, che gli rimostrò che la circoncisione era oggetto di una legge esplicita, la cui violazione costituiva una colpa molto grave. Il re, preoccupato, si affrettò a mettersi in regola. Prese la strada più sicura. Eleazaro rappresentava presso di lui la stretta ortodossia, mentre Anania il giudaismo liberale.

Noi ritroviamo la stessa opposizione in seno alla Chiesa nascente. Qui è Paolo, il portavoce dei Siriani, a rappresentare la larga via, e sono i partigiani di Cefa e degli altri notabili di Gerusalemme a difendere contro di lui il sentiero stretto della tradizione ebraica. Lui stesso si esprime con amarezza, in una corrispondenza con i Corinzi, a proposito di questi «Superapostoli», che predicano un altro Gesù rispetto al suo, che portano ai credenti un altro Spirito, che fanno loro abbracciare un altro Vangelo: «Questi uomini», dice, «sono falsi apostoli, operai fraudolenti travestiti da apostoli di Cristo. Ciò non fa meraviglia: Satana stesso si traveste da Angelo di Luce. Non è quindi strano che anche i suoi agenti si travestano da agenti della giustizia. La loro fine sarà secondo le loro opere... Poiché molti si vantano secondo la carne, anch'io mi vanterò... Sono Ebrei? Lo sono anch'io! Sono Israeliti? Anch'io! Sono della discendenza di Abramo? Anch'io. Sono agenti del Cristo? Io non sono stato inferiore in nulla ai superapostoli». [16]

Era veramente un altro Gesù che predicavano questi ebrei? È un altro Spirito che portavano con loro? È un altro Vangelo che proponevano ai loro adepti? Si può dubitarne, secondo la stessa testimonianza di Paolo. Egli stesso, in effetti, raccomanda ai Corinzi di partecipare ampiamente ad una colletta che organizza per quella stessa Chiesa di Gerusalemme da cui vengono e nel nome della quale parlano i suoi avversari. Lo fa nel tono più urgente, da uomo molto ansioso di riuscire. «Ogni primo giorno della settimana», dice, «ognuno di voi metta da parte in casa ciò che potrà risparmiare, affinché non si attenda il mio arrivo per raccogliere i doni. Quando io sarò venuto, invierò con delle lettere a portare la vostra offerta a Gerusalemme coloro che avrete designato. Se ciò merita che vada anch'io, essi verranno con me». [17]

Ritorna su questo con una singolare insistenza e si distingue per la sua abilità operativa in questo tipo di apostolato, dove avrà, nel corso dei secoli, molti imitatori: «Conosco la vostra buona volontà, di cui mi vanto per voi presso i Macedoni, dichiarando che l'Acaia è pronta dall'anno scorso, e questo zelo da parte vostra ha stimolato il maggior numero. Invio i fratelli, affinché la lode che abbiamo fatto di voi non sia ridotta a niente... Ve lo dico: Chi semina poco raccoglierà poco e chi semina abbondantemente raccoglierà abbondantemente. Ognuno dia come ha deciso nel suo cuore, non con rammarico o per costrizione, perché Dio ama colui che dà con gioia (Proverbi 9:7). E Dio può far affluire a voi ogni grazia, in modo che, possedendo sempre, in ogni cosa, di cosa soddisfare tutti i vostri bisogni, siate ampiamente provvisti per ogni buona opera...». [18]

Un appello così caloroso a favore di quella Chiesa Madre che suscitava a Paolo tanto imbarazzo e di cui attaccava così fortemente i capi attesta chiaramente che l'accordo sussisteva in fondo, che non si aveva solo lo stesso Dio, ma lo stesso Cristo, lo stesso Spirito, lo stesso Vangelo. Si era in disputa solo sull'irritante questione delle pratiche legalistiche. Ancora si cercava di intendersi. Lo zelo mostrato per la colletta tendeva visibilmente a preparare un terreno di incontro. L'anno stesso in cui Paolo attaccò così aspramente i «Superapostoli», quattordici anni dopo la grande «rivelazione» che aveva fatto di lui il loro emulo, [19] andò direttamente a discutere con loro e finì per giungere ad un compromesso:

«Io salii», dice, «a Gerusalemme con Barnaba, avendo preso anche Tito con me. Fu dopo una rivelazione che vi salii. Esposi loro il Vangelo che predico tra i Gentili, e ciò in particolare ai notabili, al fine di non correre o aver corso invano. Ora Tito stesso, che era con me, non fu costretto, benché gentile, a farsi circoncidere. Ciò a causa dei falsi fratelli intrusi, che si erano infiltrati per spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, al fine di asservirci. Non cedemmo loro nemmeno un istante, affinché la verità del Vangelo fosse mantenuta tra voi. Quanto a quelli che passavano per notabili — ciò che potevano essere non mi importa, Dio non guarda il volto della gente — i notabili, dunque, non mi imposero nulla. Al contrario, ... Giacomo, Cefa e Giovanni, quelli che si consideravano come colonne, ... ci diedero la mano, a me e a Barnaba. Noi ai Gentili, loro alla circoncisione. Che solo ci ricordassimo dei Poveri, cosa che ho ben avuto cura di fare». [20]

Paolo presenta i fatti alla sua maniera, che è visibilmente molto tendenziosa. Il suo ruolo vi si trova smisuratamente ingrandito. Si ha qualche difficoltà a concepire che il monopolio dell'evangelizzazione dei Gentili gli sia stato così ufficialmente riconosciuto da questi superapostoli i cui emissari conducevano contro di lui una campagna così accanita e che l'obbligo delle osservanze legalistiche, tanto affermato da loro, sia apparso loro d'improvviso così trascurabile. La realtà ha dovuto essere meno semplice e meno soddisfacente.

Infatti, di suo stesso avviso, il conflitto non tardò a riaccendersi. Questi giudaizzanti, che ha appena mostrato così flessibili su un argomento così serio come quello della circoncisione, ruppero con lui e provocarono un grande scandalo per una questione di una minore importanza, quella del pasto con i Goyim: «Allorché Cefa venne ad Antiochia», dice, «gli resistetti in faccia, perché era reprensibile. Infatti, prima che alcuni fossero venuti da parte di Giacomo, egli mangiava con i Gentili. Ma quando furono venuti, si ritirò e si separò, temendo quelli della circoncisione. Con lui gli altri Giudei si misero a simulare, tanto che Barnaba stesso fu trascinato nella loro ipocrisia. Vedendo che non camminavano rettamente secondo la verità del Vangelo, dissi a Cefa davanti a tutti: «Se tu che sei Giudeo vivi da Gentile, perché costringi i Gentili a giudaizzare?». [21]

Dai fatti riportati da Paolo risulta chiaramente che Antioco rappresentava, di fronte a Gerusalemme, intorno alla metà del I° secolo, come un altro polo del cristianesimo, il polo della gentilità, contrapposto a quello dei giudaizzanti. Le divergenze segnalate erano limitate ad un certo numero di punti controversi. Ma non potevano mancare di ripercuotersi su altri piani. Se la pratica integrale della Legge non era necessaria per la salvezza quando si trattava dei Goyim, perché continuava a imporsi ai circoncisi e a loro soli? Se ci si poteva dispensarsi da un precetto talmente preciso e imperativo come quello della circoncisione, perché non lo si poteva in altre materie, per esempio a proposito dei digiuni prescritti o persino del sabato? Questo era il grave problema dell'autonomia del cristianesimo, che emergeva già sotto una forma timida e indiretta. Andava ormai a porsi con un rigore crescente e ad avviarsi progressivamente verso una soluzione liberale. 

NOTE DEL CAPITOLO 5

[13] Questo «poema morale», attribuito al vecchio poeta contemporaneo di Pitagora è citato o menzionato da Suida, Ateneo, Stobeo. 

[14] Romani 12:9, 20; 13:8, 10. Va da sé che i riferimenti numerati ai Proverbi, a Deuteronomio, ecc., non sono nell'Epistola ai Romani: Prosper Alfaric li ha ricercati e aggiunti (J.M).

[15] GIUSEPPE, Antichità giudaiche 20:2.

[16] 2 Corinzi 11:4-5, 13-14, 22-23 e 12:11.

[17] 1 Corinzi 16:1-4.

[18] 2 Corinzi 9:2, 8.

[19] 2 Corinzi 12:2; Galati 2:1.

[20] Galati 2:1-10.

[21] Id., 11, 14.

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