venerdì 10 marzo 2023

Origini Sociali del CristianesimoIl Deutero-Paolo

 (segue da qui)


Il Deutero-Paolo.

Quella innovazione doveva comportarne altre.

Ne abbiamo la traccia in certe parti della raccolta delle Epistole di Paolo, che per il loro stile e la loro dottrina stanno in netto contrasto con le pagine autenticamente paoline e si rivelano come interpolazioni tardive e tendenziose. L'autore di solito non dice più «io» ma «noi». Non ha personalità. Così non ritrova il tono vivace, attento, familiare, combattivo del vero Paolo, che prendeva di petto i suoi avversari, li maltrattava, li rimproverava, li inveiva. Vede gli uomini solo da lontano, attraverso una nebbia di idee mistiche. Vive nell'astrazione. Pertanto non sono lettere che scrive ma dissertazioni. Anche i temi sui quali disserta differiscono singolarmente da quelli per i quali Paolo si era appassionato. Non è più il giudaismo liberale a fornirne la sostanza. È piuttosto un antigiudaismo radicale, basato sull'opposizione dei due «Testamenti». Tutto ciò non può spiegarsi con una semplice evoluzione sopraggiunta nel pensiero dell'apostolo e con correzioni più o meno importanti che avrebbe apportate alla sua opera. Siamo qui in un altro ambiente che si è fatta un'altra concezione del mondo e della vita. Se quella mentalità nuova è stata attribuita all'ex missionario che tenne testa a Cefa, è perché si manteneva un ricordo vivo e riconoscente dell'indipendenza di cui aveva fatto prova nei confronti della Legge. Dinanzi al disordine morale causato dalla guerra giudaica nei circoli cristiani, l'idea si presentò ad un gruppo di ammiratori di pubblicare una raccolta delle sue lettere adattata ai bisogni del tempo. Gli editori non intendevano fare opera di archivisti ma di propagandisti. Erano abbastanza poco preoccupati di riprodurre il testo esatto delle sue missive. Le disposero a loro piacimento, le completarono e ne aggiunsero anche altre. La loro intenzione era di fargli dire, con tutti gli sviluppi necessari, ciò che avrebbe detto, a loro avviso, se fosse vissuto alla loro epoca. Così fu costituita un'opera in gran parte originale, che comprendeva dieci Epistole: una ai Galati, due ai Corinzi, una ai Romani, due ai Tessalonicesi, una ai Laodiceni (detta più tardi agli Efesini), una ai Colossesi, una ai Filippesi e una a un semplice privato, Filemone.

Le aggiunte che si trovano in questa nuova raccolta non sono tutte della stessa mano. Vi si constatano differenze di stile e di metodo. Non sono nemmeno dello stesso tempo. Alcune rappresentano in rapporto ad altre uno stadio successivo dell'evoluzione del cristianesimo. Ma tutte procedono da uno stesso spirito e si orientano nello stesso senso. Sono opera di uno stesso gruppo di cristiani, che parla e agisce nel nome di Paolo, è diventato in qualche modo la sua ragione sociale, e che possiamo chiamare, per comodità, il nuovo Paolo, o il Deutero-Paolo.

Quella seconda edizione ha dovuto formarsi ad Antiochia, perché è da lì che la vediamo portata più tardi verso l'Occidente, ed è lì che si spiegano meglio le tendenze che vi si manifestano. Senza dubbio ci ha messo un tempo abbastanza lungo a costituirsi. Il confronto di alcuni passi permette in effetti di rilevarvi cambiamenti profondi, sia dogmatici che cultuali, che non hanno potuto farsi in qualche giorno né in qualche anno, e che coprono forse un mezzo-secolo, dal trionfo di Tito agli inizi del regno di raiano.

Il fatto principale è quello dell'atteggiamento nettamente dissidente adottato ormai nei confronti di Israele. La rovina di Gerusalemme è considerata come un giusto castigo di Dio, finalmente esasperato dalla condotta refrattaria del suo popolo nei confronti dell'Impero e soprattutto dei cristiani: «Voi, fratelli», scrive lo Pseudo-Paolo ai Tessalonicesi, «voi siete diventati gli imitatori delle Chiese di Dio che sono in Giudea, in Gesù Cristo, perché anche voi avete sofferto per mano dei Giudei, che hanno ucciso il Signore Gesù e i Profeti, che ci hanno perseguitato, che non piacciono affatto a Dio, che sono nemici di tutti gli uomini, impedendoci di parlare ai Gentili per la loro salvezza, per colmare così la misura dei loro peccati. Ma già su di loro è venuta l'ira per sempre». [25] La menzione delle prove subite dalle Chiese di Giudea è senza dubbio fittizia, come quella che si legge in un passo parallelo dell'Epistola ai Galati. Segna l'inizio di una leggenda che si forma in Siria sulle origini del cristianesimo palestinese, di cui non si vuole affatto riconoscere il carattere giudaizzante. Ma serve solo con ciò a mettere in rilievo la tendenza antigiudaica del nuovo cristianesimo che si è formato sulle rive dell'Oronte.

La comunità di Antiochia non rifiuta per questo le antiche Scritture. Ma vi si dichiara che gli ebrei non le comprendono. Essi prendono il testo sacro alla lettera, mentre va interpretato in spirito, vale a dire in maniera allegorica, perché «la lettera uccide, ma lo spirito vivifica». L'antica Alleanza, a cui si richiamano gli israeliti, è così diventata per loro «il ministero della morte», «il ministero della condanna». La loro incomprensione fatale si trova raffigurata nel racconto dell'Esodo. Vi si legge [26] che quando Mosè discese dal monte Sinai, portando le tavole della Legge, il suo volto risplendeva a tal punto che dovette velarlo per parlare al suo popolo e lo rivelò solo quando tornò da Dio. I figli di Israele non potevano sopportare la luminosità della rivelazione che fu loro accordata: «Le loro menti», spiega il Deutero-Paolo, «furono accecate, fino a questo giorno, in effetti, lo stesso velo rimane quando fanno la lettura dell'Antico Testamento, e non si toglie, perché è in Cristo che scompare. Fino a questo giorno, quando si legge Mosè, un velo è gettato sui cuori, e appena ci si volge al Signore il velo è tolto». [27]

Il cristianesimo da cui proviene questo testo non ripudiava quindi le profezie messianiche. Ne faceva al contrario un uso tanto più ampio in quanto sosteneva di essere il solo a comprenderle. Diversi passi del Deutero-Paolo invocano parole o precetti del «Signore». [28] Nulla mostra che l'autore abbia in mente un Vangelo. Non si è nemmeno giustificati a pensare che si riferisca a una raccolta di apoftegmi di Gesù, simili a quelli che esistevano per i saggi della Grecia e più tardi per i grandi rabbini. Testi di questo tipo, se fossero stati conosciuti da lui, sarebbero stati utilizzati da lui molto più diffusamente e avrebbero occupato nella sua opera un posto eminente. Si tratta semplicemente dei passi della Bibbia ebraica che erano ritenuti riferirsi al Cristo e alla Chiesa o, più precisamente, della raccolta di «Oracoli del Signore» che si è formata tra i cristiani di Palestina e che avrebbe avuto diffusione di buon'ora in Siria.  
 

NOTE DEL CAPITOLO 5
[25] 1 Tessalonicesi 2:14, 16. 1 Galati 22, 24.
[26] Esodo 34:28, 35.
[27] 2 Corinzi 3:14-16.
[28] 1 Corinzi 7:10, 12, 25. 1 Tessalonicesi 4:15, ecc.

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