sabato 4 marzo 2023

Origini Sociali del CristianesimoGli Dèi salvatori

 (segue da qui)

Gli Dèi salvatori.

D'altra parte, la loro dottrina era ancora meglio adattata di quella dei rabbini alla mentalità delle masse che avevano da guadagnare. L'idea di un Figlio dell'Altissimo che venne tra gli uomini per mostrare loro, con i suo atti come con le sue parole, la via da seguire per salire al cielo e assicurarsi una beatitudine senza fine, si confaceva a piacere a questi umili siriani privi di tutto, persino di speranza, la cui esistenza fragile e miserabile era così improvvisamente illuminata. Le umiliazioni e le sofferenze di un uomo-Dio non avevano per loro nulla di scioccante. Rientravano, al contrario, nel quadro abituale delle loro visioni mistiche. 

Ogni anno, da Biblo ad Antiochia, si commemorava in grande solennità, al ritorno della primavera, la morte tragica di Adone raffigurata con quella delle piante effimere che si erano fatte germogliare in suo onore in giardini portatili, o piante fragili. La gente si lamentava in comune. Le donne facevano intendere inni striduli, si digiunava come per un grande lutto. Poi il lutto si mutava in gioia, i lamenti in canti di letizia. Ciascuno festeggiava, sparso di acqua lustrale e coronato di fiori, la rinascita del Dio. 

Altrove, nella parte meridionale del litorale, cerimonie analoghe avevano luogo in ricordo del grande benefattore dell'Egitto, Osiride, ingiustamente tradito da Trifone, sottratto da lui in circostanze drammatiche all'affetto dei suoi fedeli e introdotto nella compagnia degli dèi mediante le ricette sacre della pia Iside. Sacerdoti tonsurati, vestiti con paramenti di lino, e sacerdotesse, adornate con lini rituali, eseguivano questi antichi misteri, al suono stridente del sistro magico, e purificavano i presenti con un'aspersione d'acqua del Nilo, pegno di vita eterna. 

Sulle coste settentrionali, si celebrava lo stesso in una settimana santa particolarmente cara alla pietà delle masse Attis, il giovane pastore vittima cruenta di un dramma terribile, che rendeva l'anima tra le braccia di Cibele, per rinascere presto in un mondo migliore. Il 22 marzo, si vedeva il suo corpo martoriato entrare nel tempio sotto la forma di un pino tagliato, avvolto in bende e coperto di violette. Il 23 si digiunava in suo onore e si piangeva sulla sua morte. Il 24, al suono eccitante di una musica pulsante, i suoi adoratori urlanti si percuotevano, si ferivano, si mutilavano talvolta orribilmente a vicenda. Poi, il 25, in seguito ad una veglia funebre, un sacerdote annunciava il suo ritorno alla vita, una gioia delirante scoppiava subito e si propagava in lungo e in largo nel calore comunicativo di cortei frenetici, di folli mascherate e di abbondanti bevute. 

Nell'interno del paese, ovunque stazionassero alcune truppe, i misti rievocavano anche la memoria di Mitra, figlio del Sole, che, dopo aver condotto tra gli uomini una vita di combattimenti per la causa del bene, aveva bruscamente terminato la sua dura carriera, poi era risalito verso suo Padre celeste, lasciando ai suoi adepti l'esempio di una vita retta, che permettesse loro di seguirlo nel suo glorioso destino. Anche in questo caso, cerimonie sacre facevano rivivere queste grandi scene in numerosi simboli. Ma si svolgevano sottoterra, all'ombra di una cripta, alla luce tremolante di torce rituali. [3]

Tutte queste pratiche colpivano vivamente le immaginazioni. Gli dèi così evocati a intervalli periodici erano molto popolari. Avevano tutti una stessa aria di famiglia. Le loro leggende si rassomigliavano e spesso si intrecciavano. Arrivavano a confondersi più o meno nella mente dei loro adoratori. Ora era come loro immagine composita che offriva il nuovo Dio di Israele, questo Figlio dell'Altissimo che era venuto quaggiù sotto una forma umana per partecipare alle nostre miserie e che aveva versato il suo sangue per aprirci la strada del cielo. La sua figura appariva tanto più attraente in quanto i tratti non erano ancora ben definiti e ognuno poteva completarla a sua discrezione adattandola al proprio ideale. Essa beneficiava d'altronde di un vantaggio notevole su tutte quelle che avevano catturato fino ad allora a loro profitto la pietà popolare. Mentre tutte loro emergevano a malapena da un passato lontano e misterioso, essa sorgeva improvvisamente come un'apparizione recente sopraggiunta in «quella fine dei giorni». Questo Cristo dai tratti ancora indecisi, dalla parola mal consolidata, si presentava da contemporaneo, come un figlio del secolo. All'attrazione della giovinezza e della novità, aggiungeva quella di una lunga tradizione. Si richiamava alla totalità dei patriarchi, dei profeti, dei veggenti del tempo passato, di cui si inorgogliva Israele. Tutto ciò che c'era di meglio nella fede e nella vita morale del giudaismo parlava a suo favore ed i possenti mezzi di propaganda di cui disponeva la vecchia religione operavano a suo vantaggio. Ogni sinagoga poteva servire la sua causa.

NOTE DEL CAPITOLO 5

[3] Si veda Salomon REINACH, Orpheus, pag. 44, 60, 101, 154.

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