domenica 5 febbraio 2023

Origini Sociali del CristianesimoIl secondo Isaia

 (segue da qui)

Il secondo Isaia.

Più eccitanti ancora per i pii messianisti erano alcune pagine del grande anonimo della fine dell'esilio che si indica sotto il nome di Secondo Isaia e il cui testo era unito a quello del profeta.

L'attenzione era fortemente attirata già dall'inizio.
Consolate, consolate il mio popolo,
dice il vostro Dio.
Parlate al cuore di Gerusalemme
e gridategli
Che la sua schiavitù è finita
Che la sua iniquità è espiata.
Una voce grida:
Spianate nel deserto la via di Jahvé.
Sali su un'alta montagna,
tu che porti a Sion la buona novella,
Eleva la foce con forza,
tu che porti a Gerusalemme la buona novella...
Dite alle città di Giuda:
Ecco il vostro Dio.
Ecco, il Signore viene con potenza...
Come un pastore, farà pascere il suo gregge... [11]
Nel pensiero dell'autore, si tratta del ritorno trionfale degli ebrei esiliati in Babilonia e liberati da Ciro. Ma per la gente che non aveva alcun'idea chiara di quella vecchia storia, e che pensava ben più alle sue propria miserie che a quelle degli ex deportati, questo testo poteva significare solo la venuta del Cristo Salvatore. Era la «buona novella» che portava alle anime in difficoltà. Da lì giustamente è venuto il nome di «Vangelo», e l'inizio di quel grande annuncio è stato messo in testa al più antico dei nostri racconti evangelici, che ne descrive la realizzazione. [12

Un altro passo del Secondo Isaia era di natura tale da colpire gli immaginari e orientarli verso la fede cristiana. Dio stesso vi introduce un misterioso personaggio incaricato di rappresentarlo sulla terra: 
Ecco il mio servo che io sostengo,
il mio eletto, nel quale la mia anima si compiace
Ho messo il mio Spirito su di lui,
Egli annuncerà la giustizia alle nazioni.
Non griderà affatto, non alzerà affatto la voce
non la farà affatto sentire nelle strade.
non spezzerà affatto la canna incrinata,
non spegnerà affatto il lucignolo fumante.
Egli annuncerà la giustizia in verità,
non si stancherà affatto e non si rilasserà affatto,
finché non avrà stabilito la giustizia sulla terra, 
e le isole spereranno nella sua legge. [13]
Secondo altri passi della stessa opera, questo Servo di Dio non è altro che Israele, che è stato scelto da Jahvé, iniziato alla sua Legge e trasportato, umile e sottomesso, in mezzo ai Goyim con la missione di diffondervi e farvi trionfare la vera fede. Ma una tale interpretazione presuppone una certa approssimazione dei testi e una certa dose di spirito critico, di cui il lettore medio non si disturba minimamente. Per i pii israeliti, che leggevano la sacra Bibbia con una fede ingenua e con il semplice scopo di edificazione, il Servo di Dio non poteva essere che una personalità superiore, chiamata a rigenerare gli uomini con il suo esempio oltre che con la sua parola. I cristiani hanno visto in lui una figura anticipata del Cristo.

Di tutti i testi di Isaia, il più suggestivo, quello che ha più influito sulla formazione della nuova fede, è senza alcun dubbio proprio il seguente, che apporta sullo stesso tema dettagli nuovi, di un rilievo sorprendente:
Ecco, il mio Servo prospererà,
Crescerà, sarà esaltato, sovranamente esaltato.
Come è stato per molti un motivo di stupore,
così sarà per molti motivo di gioia...
Si è elevato davanti (a Dio) come un fragile alberello,
Come un germoglio che spunta da una terra arida.
Non aveva né bellezza né apparenza per attirare le attenzioni 
e il suo aspetto non aveva nulla che ci piacesse. 
Disprezzato e abbandonato dagli uomini;
uomo del dolore e abituato alla sofferenza,
Simile a colui da cui si distoglie il volto
dal disprezzo, di cui noi non facciamo alcun caso
Eppure portava le nostre malattie,
si è caricato dei nostri dolori...
È stato ferito per i nostri peccati,
spezzato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà la pace è caduto su di lui,
e per le sue piaghe noi siamo guariti.
... Jahvé lo ha colpito per l'iniquità di noi tutti.
È stato maltrattato e oppresso;
e non ha affatto aperto la bocca,
Simile ad un agnello che si conduce al macello,
ad una pecora muta davanti a coloro che la tosano...
È stato bandito dalla terra dei vivi,
e colpito per i peccati del mio popolo,
Si è messo li suo sepolcro tra i malvagi,
la sua tomba tra gli orgogliosi,
Quantunque non avesse affatto commesso violenza, 
e non ci fosse affatto inganno nella sua bocca...
Dopo aver dato la sua vita in sacrificio per il peccato 
vedrà una posterità e prolungherà i suoi giorni...
Per la sua sapienza il giusto, mio Servo,
giustificherà molti uomini... [14]
Anche qui, ciò che l'autore ha in vista è il destino provvidenziale di Israele, vittima innocente dei Goyim, che soffre per colpa loro, che è maltrattato da loro, disprezzato, ferito, immolato, ma che, per le sue sofferenze, reca loro salvezza, perché fa loro conoscere il vero Dio, e che si vede, di conseguenza, chiamato a una vita nuova e glorificato, nella misura stessa delle sue umiliazioni. Ma anche qui la fede ingenua dei lettori ha dato al testo un tutt'altro significato. L'ha inteso a proposito di un sant'uomo, che è stato sottoposto, malgrado la sua innocenza, a ogni sorta di oppressioni e di tormenti, che si è visto infine messo a morte, come vile scellerato, ma è stato in seguito richiamato in vita, esaltato da Dio e promosso alla dignità di Salvatore, perché è per le sue sofferenze che i peccatori ottengono la salvezza. Così compresa, l'immagine è come un ritratto anticipato del Cristo. È proprio così che è stata intesa dai primi cristiani.  

Quella interpretazione è parsa loro tanto più naturale in quanto il testo non è stato conosciuto dalla maggior parte di loro nella sua lingua nativa ma nella traduzione greca dei Settanta. Ora quest'ultima ha reso l'ebraico ebed, «servo», con il greco «païs», che vuol dire anche «bambino» o «figlio». Il «servo» di Jahvé si trovava così mutato in un essere divino, che si è fatto uomo e ha preso su di sé tutte le miserie della nostra condizione, le nostre peggiori sofferenze, persino le nostre colpe, e che, per la sua morte meritoria, ci ha riportati alla vita. Egli rinnovava, a distanza di numerosi secoli, il gesto tragico e salutare di Osiride, di Attis, di Adone.

NOTE DEL CAPITOLO 4
[11] Isaia 40:1, 3 e 9, 11.
[12] Marco 1:1, 3.
[13] Isaia 42:1, 4.
[14] Isaia 52:13 e 53:1, 10. 

Nessun commento: