mercoledì 25 gennaio 2023

Origini Sociali del CristianesimoDottrine religiose

 (segue da qui)

Dottrine religiose.

Gli Zeloti formavano, infatti, un partito essenzialmente religioso, una Santa Lega. Il primo principio della loro dottrina, posto sin dall'origine da Giuda il Galileo, consisteva nel dire che «Dio è il solo Capo e il solo Padrone», che non si poteva ammettere un altro senza fargli torto. Per il resto, essi concordavano in modo generale, dichiara Giuseppe, con la dottrina dei Farisei. [33] Vale a dire che ammettono perlomeno i dogmi essenziali del gruppo, ossia il carattere intoccabile della Legge, come l'hanno compresa gli antichi e la interpretano i dottori, la necessità delle sanzioni d'oltretomba, di una felicità senza fine per i giusti risorti, di un castigo eterno per le anime dei peccatori, infine il concorso della predestinazione divina e della volontà umana nella determinazione della nostra sorte finale.

Eppure lo stesso testimone ha già notato che quella setta non ha «nulla in comune con le altre». Quale è dunque il segno essenziale che la distingue in modo così essenziale dalle precedenti? 

Il principio iniziale: «Dio è il solo Padrone» basta a spiegare un altro passo di Giuseppe, a questo proposito, rivelatore. Parlando della folle avventura nella quale i partigiani della lotta ad oltranza contro Roma si sono impegnati, egli fa quell'osservazione: «Ciò che li aveva soprattutto eccitati alla guerra era un'ambigua profezia, trovata nelle Sacre Scritture e che annunciava che in quel tempo un uomo uscito dal loro paese sarebbe diventato il padrone dell'Universo». [34]

L'oracolo in questione potrebbe ben essere quello che si legge nella famosa benedizione di Giacobbe morente:

Lo scettro non si allontanerà da Giuda,

Né il bastone di comando tra i suoi piedi,

Finché viene Schilo,

E i popoli gli obbediscono. [35]

I cristiani hanno visto di buon'ora in questo testo un annuncio del Cristo che non poteva mancare di apparire a partire dal momento in cui l'autonomia giudaica ha preso fine. [36] Gli Zeloti avranno ragionato allo stesso modo.

Qualunque fosse la profezia invocata da loro, essi erano convinti che nel loro tempo doveva apparire un uomo della loro razza che sarebbe stato il padrone, vale dire il re dell'universo. Per gli ebrei la regalità si conferiva mediante un'unzione con olio santo, consacrato a questo scopo. Ogni sovrano era un «Unto», vale a dire in ebraico un Massiah o Messia, in greco un Christos o Cristo, perché i tre termini sono sinonimi. Colui che doveva regnare sull'universo intero era quindi il Messia o il Cristo per eccellenza.

Siccome gli Zeloti non ammettevano altro Padrone che Dio, questo Re del mondo non poteva essere, ai loro occhi, che un rappresentante dell'Altissimo, delegato da lui a mettere quaggiù tutte le cose in ordine. Per questi cavalieri della spada, egli doveva imporsi solo grazie alla forza soprannaturale di cui sarebbe stato investito e alle imprese miracolose che lo avrebbero testimoniato. Molti passi della Bibbia, specialmente dei Profeti e dei Salmi, erano senza dubbio sfruttati in questo senso.

Si può andare più oltre e intravvedere che questo Cristo degli Zeloti era concepito da loro come un nuovo Giosuè, che avrebbe fatto una nuova conquista della Palestina sui pagani. Così si spiega la forma che presero alcune insurrezioni, visibilmente ispirate al loro programma, che ci sono riportate da Giuseppe.

Ecco, ad esempio, un episodio segnalato sotto Claudio, nell'anno 45 o 46: «Mentre Fado era procuratore di Giudea, un mago di nome Teuda persuase una grande folla di gente a seguirlo, portando con sé i propri beni, fino al Giordano. Egli pretendeva di essere profeta e poter, al suo comando, dividere le acque del fiume, per assicurare a tutti un passaggio facile. Così dicendo, egli sedusse molta gente». [37] Senza dubbio il movimento partì dalla Transgiordania e si diresse verso il Giordano in direzione della Giudea. Teuda, dal nome predestinato, perché significa «dono di Dio», si mise alla testa del popolo nella situazione di Giosuè che avanzava verso la terra di Canaan, e promise alle sue truppe di far loro attraversare pure lui il Giordano all'asciutto con un nuovo miracolo.

Tentativi simili ebbero luogo sotto Nerone. Al tempo del procuratore Felice, ci è detto, «individui vagabondi e furbi, che cercavano solo cambiamenti e rivoluzioni, sotto la maschera dell'ispirazione divina, spinsero la moltitudine ad un delirio furioso e la condussero nel deserto, dove Dio, dicevano, avrebbe mostrato loro i segni della libertà imminente».

Questi movimenti collettivi, quantunque duramente repressi, furono seguiti da un altro, che Giuseppe giudica ancora più funesto, quello dell'«Egiziano»: «Apparve sotto questo nome nel paese un ciarlatano, che si attribuiva l'autorità di un profeta e che seppe radunare attorno a sé 30000 creduloni. Li portò dal deserto, per un'escursione, fino al monte detto degli Ulivi. Lì era capace di marciare su Gerusalemme e di impadronirsene con la forza, dopo aver vinto la guarnigione romana, per poi regnarvi da padrone sul popolo, con l'appoggio dei seguaci che l'accompagnavano nella sua invasione»

La vicenda si risolse male per il pretendente messianico, che dovette fuggire precipitosamente davanti ai fanti e ai cavalieri romani. Essa riprese, eppure, poco dopo, sotto il procuratore Festo: «Un impostore aveva promesso al popolo la salvezza e la fine dei suoi mali, se volessero seguirlo nel deserto». Fu necessario inviare contro di lui nuove truppe per averne ragione. [38]

Osserviamo l'insistenza con la quale questi Messia in erba vollero partire dal «deserto» per compiere l'opera di liberazione. Non si creda che è per semplice cura di meglio addestrarvi le loro truppe. Era, al contrario, ben più difficile portarli lì senza attirare l'attenzione, rifornirli ed equipaggiarli lontano da ogni centro urbano. In sostanza, i leader messianici, che si appellavano all'«ispirazione divina» e che spingevano la folla a un «delirio furioso», si preoccupavano pochissimo di questioni di strategia o di gestione. Se condussero la gente nel deserto, era per farla assistere ai miracoli mediante i quali Dio «avrebbe dovuto mostrare loro i segni della libertà imminente». Senza dubbio pensavano che una nuova manna sarebbe venuta loro dal cielo e che un'acqua miracolosa sarebbe sgorgata dalla roccia. Da questi segni provvidenziali ciascuno avrebbe visto che si stava per assistere ad una riconquista della Palestina. È nel deserto che il successore di Mosè si era formato per il suo futuro ruolo. [39] È di lì che era partito con il suo popolo per piombare sugli idolatri che possedevano la terra di Canaan. È dunque dal deserto che doveva venire il profeta atteso, che avrebbe ricominciato la sua opera. La missione che gli era affidata esigeva che regolasse la sua condotta sul suo primo modello. Così senza dubbio non è affatto per un semplice caso che uno dei pretendenti al ruolo messianico, il cui successo è stato particolarmente forte, sia presentato come un «Egiziano». L'antica epopea della guerra liberatrice era cominciata in Egitto, per continuare attraverso il deserto e concludersi in Canaan. Quella dei tempi nuovi doveva avere lo stesso inizio e seguire la stessa via per arrivare allo stesso risultato. La Provvidenza Divina, nella sua alta sapienza, segue un piano uniforme.

Insomma, il Messia degli Zeloti sembra essere stato concepito da loro come un nuovo Giosuè. Ora quest'ultimo nome, che è solo una contrazione dell'ebraico Iehosehua, è sempre sostituito, nella Bibbia greca dei Settanta, da quello di Iesous, o Gesù, che ne è solo una forma ellenizzata. I due non fanno che uno. Il Salvatore atteso dagli Zeloti aveva quindi lo stesso nome di quello di cui i cristiani annunciavano la venuta. 

NOTE DEL CAPITOLO 3

[33] Antichità giudaiche 18:1, 6.

[34] Guerra Giudaica 6:5, 4; si veda Tacito, Storie 5:13. Svetonio, Vespasiano, 4.

[35] Genesi 49:10.

[36] GIUSTINO, 1 Apologia 32:1-4. Dialogo 52:4; 120:3-5. IRENEO, Haer. 4:20, 2. Cfr. Prosper ALFARIC, il Gesù di Paolo, Revue d'histoire des religions, volume 95 (1927), pag. 12-13.

[37] Antichità giudaiche 20:5, 1. Guerra Giudaica 2:13, 4 e 5.

[38] Antichità giudaiche 20:8, 10.

[39] Esodo 11:9; 24:13; 32:17, ecc. 

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