sabato 13 agosto 2022

L'APOSTOLO DI FRONTE AGLI APOSTOLICONCLUSIONE

 (segue da qui)

CONCLUSIONE

I tempi neolitici. Migliaia e migliaia di anni fa. Le origini della vita sociale... Come penetrarne le nebbie?... Guardate però, dicono i maestri della sociologia, e con il dito indicano... lontanissimo, dall'altro lato della terra... guardate... attorno all'albero dove l'animale-dio è legato, questi selvaggi che ululano e danzano, tatuati con segni totemici e macchiati del sangue versato, presso la fontana, ai margini del deserto...

I tempi cananei. Un gran numero di secoli sono passati. L'età dei metalli è succeduta all'età della pietra levigata. Lontani ancora dalle civiltà che si sviluppano all'est e all'ovest, gli uomini delle tribù celebrano il loro culto. La cima del ghilgal; le dodici pietre del cromlech; un boschetto di terebinti. Ai piedi dell'alto luogo, il fiume va a perdersi nella solitudine desolata del mar Morto; a ovest, le montagne dell'altopiano dove sorge Jebus, il borgo che più tardi sarà Gerusalemme.

Sulla grande pietra dell'altare agrario, un uomo vestito di insegne regali e sacerdotali è stato appena immolato ritualmente e i presenti sono stati aspersi del suo sangue. Ora lo si lega al tronco di un albero. Tra poco, quando il sole si avvicinerà all'orizzonte, lo si slegherà e lo si seppellirà sotto un mucchio di pietre. Aspettando che risorga. Il nome dell'umile baal è quello che più tardi sarà tradotto dai greci Iêsous e, ancora più tardi, Gesù dai latini. E il rito si rinnova a scadenze regolari, perché è necessario che il dio muoia e che riviva, affinché la tribù passi con lui per l'eterno ricominciamento dei tre giorni rituali: morte, tomba e resurrezione.


Primavera dell'anno 27. L'epoca romana. L'imperatore Tiberio regna su pressappoco tutto ciò che si crede essere l'universo civilizzato. Ma esistono qui solo rovine; il deserto si è fatto attorno al vecchio ghilgal, e il culto che di nuovo andrà a celebrarsi turberà solo a rari intervalli il silenzio del cromlech abbandonato da dove non passa alcuna strada umana. Il dramma dei tre giorni andrà a svolgersi comunque lì, poiché è nel suo destino durare dall'inizio fino alla consumazione dei secoli: morte, tomba, resurrezione. I fedeli dell'oscura setta galilea, emigrati dalla terra dove vivevano i loro padri, sono venuti a celebrare, al riparo dalle inchieste dell'autorità gerosolimitana, il culto antico di cui si trasmettono di padre in figlio l'onere, come se avessero ricevuto il deposito del mistero sotto il quale fin da millenni conta l'umanità. Il ghilgal si chiama ora (è la stessa parola, appena modificata dal tempo) golgota. Del cromlech, nient'altro che poche pietre sparse. Tra gli arbusti stentati, alcuni terebinti il cui boschetto oscura la collina e nasconde il segreto. E una solitudine devastata tutt'attorno.

Nel mezzo dei canti, la processione sale. Il dio è vestito di porpora, corona sulla fronte, scettro in mano... Manichino o sostituto? Chi può saperlo? Le voci gridano: Osanna nelle altezze!

Ritualmente gli oltraggi si levano; il dio è schernito; così vuole il costume millenario, e così vuole il mistero degli impulsi irrazionali che salgono dalle viscere degli uomini.

Ora egli è spogliato delle sue vesti; e l'atto sacrificale comincia. Nelle epoche primitive, esponendo su una croce la vittima che era stata appena sgozzata, i fedeli esigevano che il suo sangue scorresse per la loro rigenerazione sul loro capo e sul capo dei loro figli. Dopo secoli trascorsi, la preghiera rituale continua a farso intendere. E poco importa (tanto i riti hanno un'esistenza tenace!) che i nemici del dio abbiano preso, nell'operazione, il posto dei suoi sacerdoti. [1]

È mezzogiorno (la nona ora). Il corpo è legato al legno della croce, la quale è eretta, di fronte al sole nel suo culmine.

Le donne in questo momento si lamentano.

Tuttavia, l'ora avanza; quando il sole tocca le cime dei monti della Giudea, il corpo è slegato e, come nei tempi antichi, lo si seppellisce sotto pietre accatastate: non è permesso che colui che è appeso al legno passi la notte sul legno, perché «colui che è appeso è maledizione di Dio». [2

Dalle alture di Moab la notte scende ora sulle rive del Giordano e, a poco a poco, raggiunge le alture della Giudea. La collina del Golgota, l'antico ghilgal, è ora in ombra, e gli umili uomini che hanno appena praticato il rito da cui volevano ottenere la loro rigenerazione, portano nel loro inconscio tutta la richiesta di una civiltà affamata essa stessa di rigenerazione.

Il secondo giorno, riposo, per gli uomini come per il dio.

La mattina del terzo celebrano la resurrezione; e, come erano riuniti nel pasto sacro, videro il risorto.


Oggi.

Diciannove secoli sono passati dai tempi  dell'imperatore Tiberio; più di tremila anni dall'epoca cananea; e quanti millenni dai tempi  neolitici! Il dramma non si svolge più sulla sommità di un alto luogo sperduto della Palestina; esso si svolge tutti i giorni nelle innumerevoli chiese della metà della terra abitata.

Perché l'atto che si era compiuto lì è lo stesso che si compie ora in tutte queste chiese, e se in un gran numero di esse si è a poco a poco meccanizzato e ha perso tutto il suo significato per la sonnolenza dei presenti, si compiva ancora in tutto il suo fervore con tutto il suo significato in quel monastero di Solesmes dove mi aveva convocato il poeta che viveva alla sua ombra.

Grandi organi, processioni, canti, tutte le fasi di una cerimonia regolata secondo la sua più profonda spiritualità; poi, dopo il Credo cantato, il sacrificio della messa, vale a dire, come novecento anni fa, come più di tremila anni fa, come alle epoche preistoriche, il sacrificio del dio. Ma la vittima, dopo essere stata il dio stesso, dopo essere stata il re-sacerdote, dopo essere stata il simulacro umano, si è ridotta alla specie di un piccolo rotondo pane azzimo, che per gli occhi del non credente è la rappresentazione del dio, ma che per gli occhi del credente è egli stesso il dio, come il sostituto lo era stato per gli occhi dei Galilei, come il re immolato lo era ai tempi  cananei. Perché sempre, da quando l'uomo è un uomo, vale a dire un animale capace di spiritualità, la fede sotto la realtà fisica riconosce la realtà spirituale. Ma da questi diciannove secoli l'antico pasto di comunione si è fuso con il sacrificio di cui è la perpetuazione.

Gli storici delle religioni e critici eruditi capiranno che nell'anima degli uomini dell'anno 27 lo stesso fatto sarebbe potuto accadere (da cui il cristianesimo sarebbe potuto nascere), se in questo fatto si fossero davvero espressi, novecento anni fa, i bisogni rivoluzionari della società? 

In ogni caso, lo stesso Dio, Gesù, Figlio di Dio, Figlio del Padre, Figlio d'Uomo, Unto, Santo e Salvatore; lo stesso dramma dei tre giorni; lo stesso sacrificio in vista della salvezza dei fedeli; la stessa messa in croce; la stessa sepoltura, la stessa resurrezione; e, con il sacrificio, lo stesso pasto di comunione. Solo si sono modificate le forme esteriori del dramma sacro, l'ambientazione, gli accessori, il linguaggio.

Qualcosa, però, si è aggiunto; una novità considerevole; e non è solo che il dio clanico, il dio tribale, il baal cananeo, il dio misterico palestinese è diventato il dio radioso della metà dell'umanità. Colui di cui non si sapeva quasi nulla se non che era un dio crocifisso, si è arricchito del più miracoloso rivestimento di leggenda umana che un essere spirituale abbia mai indossato; colui la cui crocifissione e resurrezione erano tutta la vita umana, è ora colui a cui la morte e la resurrezione portano il coronamento dell'esistenza, l'esistenza più suggestivamente bella che gli uomini abbiano mai offerto in dono ad un dio. 

Come si è modellata quella vita vissuta, questo periplo di leggenda, questo poema dello Spirito?

A dire il vero, un secolo è stato pressappoco sufficiente. In tre generazioni di uomini, il dio dalla leggenda ridotta dell'anno 27 è diventato il dio della leggenda evangelica, per un'evoluzione di cui questi studi hanno precisamente per obiettivo di ritrovare le tappe.

Ma conviene portare più lontano i nostri sguardi.

Lo spettacolo al quale assistiamo oggi di quella grande religione che lotta disperatamente contro l'ostilità, peggio ancora, contro l'indifferenza, senza che si intraveda quale altra potrà prendere il suo posto, non deve impedirci di comprendere che una religione, qualunque ne siano le forme e persino se non sembra essere e nega di essere una religione, è l'espressione di una società. Una religione che muore, una religione che nasce, è essenzialmente la figura sociologica di un mondo che muore e di un mondo che nasce, vale a dire, nel senso più profondo del termine, il volto di una rivoluzione.

Non servirà a nulla, crediamo, vedere come sono morte le religioni dell'antichità e come è nato il cristianesimo, se non si è compreso il significato rivoluzionario dell'evento. 

NOTE

[1] Su quest'ultimo punto in particolare si veda sopra, capitolo 2, pagina 19 e seguenti. Si veda anche Première génération chrétienne, pagina 3 e seguenti.

[2] Deuteronomio 21:22-32. Si veda Dieu Jésus, pagina 174.

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