domenica 5 giugno 2022

LA PRIMA GENERAZIONE CRISTIANALA CONVERSIONE

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LA CONVERSIONE

Due fatti, tra molti altri, presiedono alla storia del cristianesimo primitivo, che non devono mai essere dimenticati, il primo ammesso universalmente, il secondo ugualmente stabilito ma che non ha ancora preso il suo posto nel subconscio degli studiosi.

Primo fatto. Il giudaismo è una religione nazionale, analoga, mutatis mutandis, alle altre religioni nazionali dell'antichità.

Secondo fatto. Il cristianesimo è nel primo secolo una religione misterica accanto ad altre religioni misteriche, evidentemente superiore, ma della stessa famiglia.

Ora, nel primo secolo, le antiche religioni nazionali, per quanto potere abbiano conservato, non rispondono più ai bisogni dell'umanità. Dove vanno le aspirazioni religiose dell'umanità, diciamo della parte dell'umanità che non è sprofondata nella bassa superstizione? Gli studiosi sono su questo unanimi: verso le religioni misteriche; e se le più note di queste religioni non danno ciò che il mondo attende da loro, il mondo andrà infine al nuovo venuto che saprà soddisfarlo; in ogni caso, il loro principio essenziale è la sola stella nel cielo verso cui gli uomini possono tendere le loro mani. Ma se le antiche religioni nazionali non rispondono più ai bisogni nuovi dell'umanità, sappiamo che esse non hanno perduto il loro prestigio; il ricordo della loro antica grandezza basterebbe a mantenerlo loro; esse restano, a Gerusalemme come a Roma, i simboli di un passato infinitamente venerato. Così, un pagano come Plutarco condividerà il suo cuore tra le vecchie religioni greco-romane e le religioni nuove.

Non ci può essere questione di confrontare San Paolo e Plutarco; è nondimeno vero che, da un punto di vista schematico, ciò che si celerà (un quarto di secolo più tardi) nel cuore del pagano Plutarco, rispetto innato per la religione della sua infanzia e attrazione per le religioni di iniziati, si era celato nel cuore dell'ebreo Saulo. Soltanto, quando si tratta di un ebreo di razza, il rispetto per l'antica religione degli antenati si esaspera di tutto ciò che il giudaismo comportava di passione nazionale.

Ebreo di razza, abbiamo appena visto che San Paolo lo era eminentemente e apprendiamo da lui stesso [1] come prima della sua conversione «superava i suoi correligionari nel giudaismo ed era più zelante di tutti loro per le tradizioni dei suoi padri». Razza, educazione, temperamento personale hanno fatto la loro opera. Vi è tra San Paolo e Israele un legame di sangue che nulla può spezzare. 

Questa è la prima metà di quella grande anima. La seconda metà è l'aspirazione verso le immense novità che reclama allora l'umanità. Come i compagni galilei, come i compagni di Antiochia, San Paolo è rappresentativo dei bisogni del suo tempo.

A questi bisogni le religioni misteriche tentarono di rispondere, e fiorirono a Tarso come in tutto l'Impero. Ma l'ebreo appassionato che è il giovane Saulo le ha in orrore. Perché non vi vede che un abominevole paganesimo; perché alcun compromesso è possibile tra i loro dèi e il dio di Israele; perché ci sono in loro troppe cose che ripugnano al suo cuore. Altrimenti facile sarà a Plutarco associare nel suo cuore le divinità dell'Oriente a quelle dell'Occidente! Ma se San Paolo esecra, quanto i loro idoli, i mezzi che le religioni misteriche propongono per soddisfare i bisogni nuovi dell'umanità, da questi bisogni egli ne è posseduto. 

Per impiegare il nostro linguaggio moderno, le religioni misteriche che fioriscono a Tarso sono per lui «false» religioni misteriche; quella alla quale aderirà sarà la «vera». Infatti, gli altri dei misterici saranno sempre per lui dei falsi Signori, vale a dire dei demoni; il Signore Gesù sarà il vero Signore. Questo sarà detto formalmente nella prima epistola ai Corinti 8:5-6.

Ci sono molti dèi e molti signori, ma per noi c'è un solo Dio, il Padre, e un solo Signore, Gesù.

Questo dio padre, il giovane Saul lo conosceva, ed era il vecchio dio ebraico; questo Signore misterico, quanto tempo lo aveva cercato prima di trovarlo!

Plutarco con la sua bonomia da borghese letterato, l'altro con la foga del suo genio tumultuoso; l'uno, calmo fiume popolato da figure mitologiche, l'altro, oceano devastato da tempeste, sono entrambi cuori divisi. Ma nell'inoffensivo cittadino di Cheronea, mai la metà del suo cuore si sforzerà di opprimere l'altra; nell'uomo di Tarso, al contrario, la guerra sarà di quelle che nessuna vittoria termina. 


Tentiamo di rappresentarci ciò che si chiama la conversione di San Paolo.

In un'epoca che noi ignoriamo, ma che sembra essere quella in cui Santo Stefano fu messo a morte, San Paolo sente parlare (ignoriamo dove e come) di correligionari che praticano, nello stesso tempo del culto del dio d'Israele, quello di un altro Signore appena diverso da quei Signori che non sono e non saranno mai per lui che orribili demoni. Al primo momento, tutto ciò che vi è in lui di intensamente ebraico sussulta di indignazione. Questa gente che ha la fortuna e l'onore di essere ebrea, che pretende di osservare la Legge, che dice di adorare il dio unico, si abbandona ad abomini pagani! Questi abomini, che accostava tutti i giorni nelle strade di Tarso, era ben obbligato a sopportarne la vicinanza; ma ritrovarli tra i Giudei non lo acconsente e si solleva contro il sacrilegio. In realtà, è contro la tentazione profonda delle sue viscere che si solleva. 

Così va a «devastare la chiesa di Dio», perché la coscienza comincia sempre coll'opporsi all'inconscio, fino al giorno in cui quest'ultimo si porta via tutto; a volte la cosa si fa a poco a poco, a volte di soprassalto, per una sorta di colpo di fulmine; ma il colpo di fulmine è solo il risultato di un lungo lavoro preparatorio. 

In cosa sono consistite queste «devastazioni» nella chiesa di Dio? I dettagli dati dal libro degli Atti (commissione del sommo sacerdote ebreo, ecc.) sono storicamente inammissibili, e San Paolo nell'epistola ai Galati non precisa nulla. Si può supporre che, evocando queste «devastazioni» un quarto di secolo dopo l'evento, egli abbia inconsciamente romanzato le cose nello stesso senso di contrizione che appare più volte nelle epistole accanto a esplosioni di orgoglio, e che non sono una delle minime e delle più naturali contraddizioni che si riscontrano tra i grandi mistici.

Un bel giorno, come si recava a Damasco ed era in vista delle porte della città, scatta la rivelazione, vale a dire che il suo inconscio trionfa sulla sua coscienza con uno scatto fragoroso. E questo è ciò che il libro degli Atti mette in scena in una pagina che riprende per due volte; [2] sfortunatamente, questo triplice racconto ha tutti i caratteri dell'agiografia e può essere considerato solo come l'illustrazione leggendaria di un evento di cui conosciamo storicamente solo due cose: innanzitutto, che ha avuto luogo, il che è attestato a più riprese nelle epistole e in particolare dalle poche righe dell'epistola ai Galati (1:15-16) in cui San Paolo lo ricorda con una infelice brevità; in seguito, che sia avvenuto sotto le specie di un'apparizione, il che risulta anche da diversi passi delle epistole. 

Ma nel diventare ciò che noi chiamiamo «cristiano», vale a dire aderendo al culto di Gesù, San Paolo non resta meno fondamentalmente ebreo.

Il fatto si spiega con tutto ciò che abbiamo appena detto della sua natura, razza, educazione, temperamento; e la spiegazione si completa dal fatto che in nessun momento della sua vita ha pensato di aver cessato di essere ebreo.

La «conversione» di San Paolo è una formula consacrata dall'uso; come tutti gli altri, abbiamo detto che San Paolo si era «convertito» al cristianesimo; ma sarebbe il più grossolano degli errori rappresentarsi quella «conversione» nel modo in cui intendiamo oggi l'espressione, quando raccontiamo che un tale o talaltro ha abbandonato la religione dei suoi padri per abbracciarne un'altra. Sarebbe in ogni caso più esatto immaginare un cattolico del sedicesimo secolo che passa al protestantesimo. Il cristianesimo non è, nel primo secolo, che una setta del giudaismo; la religione di Gesù si sovrappone, per i primi cristiani, a quella di Jahvé; in nessun momento della sua vita San Paolo si è considerato uscito da Israele; abbiamo scritto poc'anzi che aveva tradito il giudaismo; in realtà, lo ha tradito senza credere che lo tradisse. 

Non possediamo abbastanza informazioni sui Galilei per stabilire, in modo classico, vite parallele di San Paolo e di San Pietro. Abbastanza tratti però sono acquisiti per tentare di precisare quale fosse effettivamente nei confronti del giudaismo la posizione dell'uomo che è per noi il Contemplatore e di cui abbiamo fatto il «Pellegrino dello Spirito», e quale fosse, accanto a lui, la posizione di colui di cui faremo il «Messaggero dello Spirito». Avverto i lettori non specialisti che mi troverò, ancora una volta, in completa opposizione alle tesi così comunemente ammesse dagli studiosi razionalisti che costoro non si sognano nemmeno di verificarle.

San Paolo e San Pietro si rassomigliano in quanto, disinteressandosi similmente delle speranze messianiche, trovano similmente nel culto del dio morto e risorto la risposta alle loro segrete aspirazioni, alle segrete aspirazioni dell'umanità, della quale sono egualmente ed eminentemente rappresentanti. 

Si differenziano in quanto i Galilei, per il fatto stesso che sono i discendenti di pagani convertiti a forza al giudaismo, perché sono stati allevati in una setta eretica, perché il loro conformismo è imposto loro dalle autorità stabilite oltre che dalla loro educazione, praticano il giudaismo ma non hanno anime ebraiche. Al contrario, San Paolo, nato ebreo da genitori ebrei, allevato nello spirito farisaico, può distaccarsi dall'ortodossia ebraica; egli ha e custodirà un'anima ebraica. Per i Galilei la religione di Gesù è quella della loro tradizione; per San Paolo è un'acquisizione, e il giorno in cui si è imposta, la vittoria del dio nuovo lo ha gettato ansimante, faccia a terra.

San Paolo parla greco, e i Galilei parlano il loro dialetto aramaico; in ogni cosa San Paolo è infinitamente più ellenizzato; ma in fondo è e resterà più ebreo di loro. Nelle lettere di questo rinnegato dal giudaismo si vedranno solo citazioni dalle Scritture ebraiche e, se dei nomi si presenteranno alla sua memoria, saranno sempre solo quelli di personaggi biblici; il materiale giudaico costituirà la metà delle epistole.

San Paolo, abbiamo appena detto, non si è mai considerato uscito da Israele. Piegando il ginocchio davanti al Figlio, non ha creduto di offendere il Padre; tutt'al contrario, si è cullato nell'illusione di scoprirne i misteriosi disegni! I testi in cui quell'idea è formulata sono innumerevoli. Ma il suo inconscio sentiva che apriva la via che doveva un giorno portare ad un rinnegamento. Diciamo ancora che aveva tradito il giudaismo senza volerlo tradire; ma il suo inconscio non sentiva nondimeno che in realtà lo stava tradendo. Nessuna angoscia di questo genere assillerà i Galilei? 

Allo stesso modo in cui nell'anima dei Galilei non ci sono potenze rivali che si combattono, possiamo presumere la serenità in San Pietro (la contemplazione), in San Giovanni (l'amore), in San Giacomo (la regola); ma possono esserci nel cuore di San Paolo solo lotte intestine, contraddizioni e terribili strazi. L'interesse affascinante del caso di San Paolo sta nel dibattito che non si placherà mai nel suo cuore tra le due tendenze contraddittorie, oserei dire tra i due demoni che fino alla sua morte continueranno a lacerare la sua anima. Non vorrei affermare nulla di ciò che fu dei Galilei, delle Tre Colonne, di San Pietro; ma sembra probabile che nel loro cuore il dio morto e risorto non abbia mai subìto divisione. Sono uomini, loro, di un solo amore.

San Paolo fu l'uomo di due amori. Ma se ci è stato permesso di formarci della pagana Lidia un'immagine amabile oltre che nobile, comprendiamo ora perché fu così terribile quella che aveva assunto nei suoi incubi il fantasma dell'ebrea. 

NOTE

[1] Galati 1:14; si veda anche Filippesi 3:5-6. 

[2] Atti 9:3-5; 22:6-11 e 26:12-18.

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