giovedì 5 maggio 2022

LA PRIMA GENERAZIONE CRISTIANAPRIMO SGUARDO SUL SIGNIFICATO RIVOLUZIONARIO DEL CRISTIANESIMO PRIMITIVO

 (segue da qui)


V

PRIMO SGUARDO 

SUL SIGNIFICATO RIVOLUZIONARIO 

DEL CRISTIANESIMO PRIMITIVO

È generalmente ammesso che l'instaurazione del cristianesimo ha portato al mondo una rivoluzione che è stata una delle più considerevoli della storia umana; ancora si deve precisare in cosa è consistita quella rivoluzione e, prima di tutto, in cosa consiste in modo generale ciò che si definisce una rivoluzione. Nel saggio precedentemente citato [1] abbiamo esposto che l'evoluzione dell'umanità sembra operarsi, secondo la legge genialmente enunciata da Auguste Comte e conosciuta sotto la designazione di legge dei tre stadi, tramite il passaggio dallo stadio teologico allo stadio metafisico (che è lo stadio intermedio) poi allo stadio positivo; ma, contrariamente a ciò che ha insegnato Comte, quella evoluzione non sembra compiersi secondo una linea continua e una volta per tutte, ma si rinnova in ciascuna delle civiltà la cui successione costituisce la storia umana, e che conducono tutte dallo stadio religioso allo stadio positivo. La storia umana comporta dunque grandi cicli che corrispondono ciascuno al ciclo di una civiltà; ciascuno comincia con un'epoca che si sviluppa sotto il segno della religione, diciamo, in un modo più generale, sotto il segno di ciò che abbiamo definito l'irrazionale. A poco a poco, l'evoluzione si fa verso i contrari; allorché è arrivata al suo termine, un cataclisma si produce necessariamente. Ad un altro il posto! Che il cataclisma abbia alla volta per scopo e per effetto un nuovo inizio, esso si definirà nell'accezione più ampia del termine una rivoluzione. Una rivoluzione è dunque, e prima di tutto, una distruzione a scopo di ricostruzione, un mondo logoro che prende fine, un mondo nuovo che comincia. Quando il re di Nemi si fa troppo vecchio, un giovane viene, che lo uccide e prende il suo posto. Tale è la legge degli uomini, tale è la legge degli dèi. [2]

Ma il movimento che conduce le civiltà dall'irrazionale al razionale li conduce nello stesso tempo e proprio perciò da uno stato socialmente molto integrato ad uno stato sempre più disintegrato. Abbiamo spiegato nel primo capitolo del presente volume che la Società sembra aver preso nascita dal fatto che al posto di essere bande di bestie ammassate, gli uomini hanno avuto il sentimento di appartenere alla stessa carne e si sono sentiti legati dai vincoli di una parentela irreale che è la parentela di clan. Su questo sentimento di parentela collettiva riposa la Società. Allorché si allenta, vale a dire allorché le preoccupazioni individuali o familiari prevalgono in ciascuno dei suoi membri sulle preoccupazioni sociali, gli uomini ricadono allo stato di bestie ammassate, qualunque sia il «progresso» materiale, industriale, scientifico e persino intellettuale a cui siano pervenuti. Ed è quella società de-socializzata che deve perire, affinché un'altra nasca dove di nuovo gli uomini si sentano «della stessa carne».

All'inizio di ogni evoluzione umana, vi è il Sociale; alla fine, vi è la disintegrazione del Sociale; la storia di ogni civiltà è quella dell'insubordinazione sempre più scatenata della bestia individuale, diciamo dell'individuo, contro la Società. 

Abbiamo definito la Rivoluzione: un atto sanguinoso per mezzo del quale una società è distrutta affinché una società nuova nasca. Precisiamo: un atto sanguinoso per mezzo del quale una società in cui la parentela sociale è scomparsa è distrutta, affinché una società nuova nasca sotto il segno di una nuova parentela. 

Ma quella rivoluzione non è mai quella dei bisogni economici che si rivoltano; essa scoppia quando lo Spirito, vale a dire il sentimento del sociale, [3] riprende i suoi diritti in uno scoppio di violenza irresistibile.

Il male di cui soffriva l'umanità alla fine dell'antichità era proprio la scomparsa dei valori sociali. Bisogna leggere le pagine magistrali dove Ferrero analizza le cause storiche di quella fine di una grande civiltà; [4] ma accanto e alla base delle cause storiche ne esiste una che è dell'ordine dello Spirito. Un profondo sentimento di parentela aveva animato il mondo ebraico; come pure la città antica (malgrado la disuguaglianza; perché parentela non è uguaglianza); non ne sussisteva nulla nel primo secolo tra i cinquanta milioni di abitanti dell'Impero, salvo tra i pochi ebrei che credevano ancora nel destino del popolo eletto, e tra i pochi Romani usciti dalle antiche famiglie o provinciali adattati che, non senza qualche parvenza di ragione, si ritenevano destinati anche loro a governare l'universo. Ma si governa male se non si ama quelli che si governa, e verso la folla che brulicava attorno a loro è impossibile immaginare da parte degli aristocratici romani altri sentimenti rispetto a quelli di un Britannico verso degli uomini di colore. Quanto agli ebrei di nobile nascita, al disprezzo verso i pagani essi aggiungevano l'odio.

È dal seno di quella quasi-orda, e contro questi grandi signori, che il cristianesimo ha avuto per missione di far scaturire la rivoluzione che distrusse un mondo de-socializzato perché nascesse una nuova società dove gli uomini si ritrovassero parenti.


In cosa la rivoluzione che ha messo fine al mondo antico, vale a dire la rivoluzione cristiana, rassomiglia alle altre rivoluzioni che conosce la Storia, e in cosa se ne  differenzia? Non può esserci minimamente questione di assimilare puramente e semplicemente la rivoluzione a forma religiosa che è stata l'instaurazione del cristianesimo alle rivoluzioni politiche che una dopo l'altra hanno trasformato la società moderna. Noi tenteremo, nel corso di questo volume, di determinare ciò che vi è in comune tra queste e quella e in cosa esse si differenziano. Ma diciamolo per non ritornarci più, sia ben chiaro che, per confrontare più rivoluzioni, sarebbe inammissibile prendere di proposito una nel momento in cui si prepara e l'altra nel momento in cui si fa o in quello in cui è fatta, e per confrontare o supporre di confrontare, per esempio, la rivoluzione cristiana e la rivoluzione russa, chiamare fianco a fianco alla sbarra la chiesa perseguitata delle Catacombe e l'attuale governo dell'URSS, o, secondo l'ordine inverso, la chiesa trionfante del quarto secolo e l'era di repressione senza pietà che subisce attualmente il comunismo in Germania.

Il più stretto dovere sarà dunque quello di considerare le rivoluzioni tanto laiche che religiose, nelle stesse fasi del loro sviluppo. Spingendo fino al limite le discriminazioni necessarie, noi ci guarderemo nondimeno dall'attribuire ad una generazione ciò che conviene solo ad un'altra. Altrettanto bene, il nostro obiettivo è qui di ricercare, non come si sia effettivamente realizzata la rivoluzione cristiana, ma quali fossero gli uomini che l'hanno annunciata e preparata e in quali circostanze, e quale fosse il loro obiettivo, quale la loro fede e quale la loro speranza, quale il messaggio che hanno lasciato alle età a venire. Il cristianesimo primitivo in quanto programma rivoluzionario: tale è il titolo che potremmo dare al presente studio, lasciando ad altri il compito di esaminare ciò che è avvenuto del programma. Preluderemo a quella esegesi riconoscendo il principio che è alla base di tutte le rivoluzioni nella dottrina essenziale tanto delle religioni primitive quanto del cristianesimo, nel sacrificio del dio.

Abbiamo visto come il sacrificio del dio si opera, nel cristianesimo come nelle religioni primitive, sotto le due forme principali del sacrificio di Espiazione (più particolarmente del sacrificio di Eliminazione) e del sacrificio di Comunione, e come, sotto queste due forme, esso ha senso e portata solo se il dio è il simbolo del gruppo dove è adorato. L'avventura del dio è simbolicamente quella dei suoi seguaci; l'operazione praticata sul dio ha senso e significato solo in quanto simboleggia l'operazione praticata sul gruppo. Tutto ciò è stato spiegato.

Ma di queste due forme del sacrificio del dio, Eliminazione e Comunione, si deve immediatamente osservare che la seconda, dal fatto che ha per obiettivo il mantenimento della parentela, appare piuttosto come un'operazione conservatrice. Solo può avere una portata rivoluzionaria il sacrificio che distrugge al fine di far rivivere; ed ancora è evidente che ciascuno degli innumerevoli sacrifici nei quali, nel corso della storia e della preistoria, un gruppo ha immolato il suo dio per farlo risorgere, non ha potuto prendere quel valore, ma solo il sacrificio effettuato nella pienezza del suo significato, vale a dire nelle ore di suprema realizzazione.

Se gli dèi sono i simboli del gruppo in cui sono adorati, il dio che nel sacrificio di Espiazione è messo a morte dopo aver ricevuto o assunto il peso delle trasgressioni e dell'invecchiamento del clan, non è dunque altro che la società che è messa a morte quando essa ha fallito e è consumata. Il dio che risorge liberato dalle trasgressioni, ringiovanito e rinnovato, non è altro che la società che rinasce rinnovata. L'operazione di messa a morte del sacrificio di Espiazione, quando il dio è la vittima, non significa altro che il cataclisma tramite cui muore la vecchia società; la resurrezione non è altro che la nascita della nuova società rigenerata. In realtà, ogni rivoluzione è la perpetrazione di un sacrificio, nel senso tecnico e primitivo della parola. Una messa a morte, al fine di resurrezione.

Se è evidente che non si può assimilare la conquista del mondo antico da parte del cristianesimo agli eventi che si sono prodotti, per esempio, nel 1789 e nel 1917, il principio e lo scopo sono in ogni caso gli stessi: sostituire un mondo superato, e che deve essere distrutto, con un mondo nuovo, che non è che quel mondo rigenerato. Senza i colpi di violenza scatenata che la fanno morire e la fanno rinascere, l'umanità andrebbe dall'invecchiamento all'estinzione. Nessuna iniezione di ghiandole interstiziali sarebbe stata capace di rendere al re di Nemi la giovinezza. Il grande movimento che trasporta le civiltà dall'irrazionale al razionale tende dapprima verso una sorta di equilibrio ideale; fintanto che questo equilibrio non sia ottenuto, tutti i progressi possono essere sperati; ma quando è superato, nessun riformismo può sperare di meglio di un risanamento passeggero che non farà che ritardare l'ora inevitabile del sacrificio: morte e resurrezione.

Noi siamo senza dubbio oggi nello stesso punto in cui si trovava la società antica quando il cristianesimo apparve nel mondo mediterraneo. Senza dubbio non vi è più salvezza possibile se non nella morte della società presente e nella sua resurrezione sotto la forma di una società nuova. Solo può essere intravisto il «quarto d'ora di tregua» che ritarderebbe la catastrofe e che potrebbe recare un movimento fascista ben guidato. Ma quando una società è definitivamente consumata, bisogna, un giorno o l'altro, che ciò che deve accadere accada, quale che sia il colore che il mito dà all'operazione. Come gli dèi che i primitivi immolavano periodicamente e che risorgevano ogni volta per poi morire di nuovo, la società sarà distrutta ogni volta che il suo ciclo sarà completato, e rinascerà, di rivoluzione in rivoluzione, fino ai secoli dei secoli. E tale è il Ritorno eterno. 

Il dio di un gruppo umano non è mai altro che l'immagine insanguinata del gruppo stesso, insanguinata quando esso muore, insanguinata quando esso esce dal ventre materno. 

NOTE

[1] Demain, ici, ainsi, la Révolution, pagine 15 e seguenti.

[2] Tra i temi ripresi drammaticamente nel Retour éternel, si ritroverà quest'ultimo a pagina 66 del volume. 

[3] Sull'accezione sociologica nella quale crediamo di poter assumere il termine «Spirito», si veda il nostro ultimo capitolo, a pagina 464 e seguenti. 

[4] Ruine de la civilisation antique, traduzione francese, 1921.

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